Guido Rossa, mio padre
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Guido Rossa, mio padre

  1. 208 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Guido Rossa, mio padre

Informazioni su questo libro

È l'alba del 24 gennaio del 1979. Le Brigate rosse uccidono il sindacalista Guido Rossa, che aveva provato a rompere il clima di omertà che regnava nelle fabbriche intorno ai terroristi. Quasi trent'anni dopo la figlia prova a capire che cosa quel giorno è veramente successo e lo racconta in questo libro. Chi era suo padre? Nessuno aveva mai chiarito il segreto di quell'omicidio: compagni di partito, operai, magistrati, carabinieri. Ed ex brigatisti: anche coloro che parteciparono all'azione armata.

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Informazioni

Editore
BUR
Anno
2013
Print ISBN
9788817010658
eBook ISBN
9788858657676

1

«Cari ex brigatisti, ora voglio sapere…»

Ho scritto una mail a Renato Curcio e l’ho inviata all’indirizzo della sua casa editrice, Sensibili alle foglie. Era il 7 novembre del 2005. Perché a lui? Perché fondando le Brigate rosse nel 1970, con Alberto Franceschini, ha dato inizio a questa storia. Non l’ha mai ricevuta, ho saputo dopo, quando l’ho incontrato. Almeno, così mi ha detto. Forse si era persa tra le sue carte. Comunque, ecco il testo:
«A Renato Curcio. Prendo coraggio e mi decido a scriverti anche perché solo oggi ne ho l’occasione. Da qualche tempo ho intrapreso un percorso di conoscenza e consapevolezza di tutta la vicenda che ha riguardato mio padre, Guido Rossa, ucciso dalle Br nel gennaio del ’79, perché si sostituisca a quella rimozione che ho operato da subito e per diversi anni, per una mia necessità di sopravvivenza e per una incapacità allora di affrontrare i fatti.
In occasione della presentazione da parte tua dei libri della tua casa editrice, qui a Genova, come ricorderai c’è stata una forte polemica, che ha preso l’avvio dalle dichiarazioni degli appartenenti all’Associazione vittime del terrorismo, i quali si ritenevano fortementi contrari.
Io sono stata invitata ad esprimermi e il 14 aprile 1994 al “Secolo XIX” ho dichiarato: “Curcio ha il diritto di venire a Genova; ci mancherebbe negare a qualcuno il diritto di parola”.
Ho altresì condiviso le tue affermazioni: “Con i rimossi non si risolvono i problemi”.
E sono assolutamente convinta che gli ex brigatisti che hanno saldato il conto con lo Stato non possano essere considerati “reati” ma persone, di cui si è disposti a guardare il cambiamento.
Quello che ti chiedo, con questa mail, è un incontro a tu per tu, perché questo mio percorso abbia un senso, sino in fondo.
Non ritengo doveroso da parte degli ex brigatisti incontrare le vittime o i figli di queste, ma sono convinta sia una dimostrazione di sensibilità nei loro confronti e di intelligenza da parte di chi oggi è nuovamente in quel vivere sociale fatto di incontri, scambi e di rapporti civili.
Cordiali saluti.
Sabina Rossa».
Prima di scrivere a Curcio, avevo telefonato a Vincenzo Guagliardo. Faceva parte del commando brigatista che il 24 gennaio 1979 uccise mio padre. Erano in tre, quella mattina. Lui e Riccardo Dura nel gruppo di fuoco, vicino all’auto di mio padre; Lorenzo Carpi, in attesa al posto di guida nel furgone con il quale erano arrivati in via Fracchia. Sì, l’ho chiamato. L’ho rintracciato a Melegnano, nell’hinterland milanese, nella cooperativa dove lavorava: era in semilibertà. Ricordo perfettamente il giorno e l’ora: 23 novembre 2004, le 13. Ricordo anche la durata esatta del colloquio: 7 minuti e 58 secondi. Perché così pignola? Perché non dimentichi la prima volta che parli con uno degli assassini di tuo padre.
Ecco com’è andata.
«Buon giorno, sono una conoscente di Vincenzo Guagliardo, posso parlargli?»
«Per passarglielo devo sapere nome e cognome.»
«Va bene solo il nome? Vorrei fargli una sorpresa.»
«Sì, mi dica il nome.»
«Sabina… »
«Glielo passo, allora… »
Dopo qualche istante, ho sentito la sua voce:
«Pronto?».
«Ciao… Senti, noi non ci siamo mai visti di persona, ma ci conosciamo. So che stai scontando gli ultimi anni della tua condanna.»
«Cosa? Ma chi parla? Io sono un ergastolano, quale fine pena!»
«Scusa, mi hanno informata male. Non sono una giornalista. Vorrei dirti anche che non provo verso di te sentimenti di odio né di vendetta personale. Ti telefono perché tu sei l’ultima persona che ha visto vivo mio padre. Vorrei chiederti un incontro a quattr’occhi, senza testimoni. Sono la figlia di Guido Rossa.»
Silenzio. Poi, ancora la sua voce:
«Mi dispiace…».
«Non ti ho telefonato dopo venticinque anni per sentirmi dire “mi dispiace”. Non mi interessa. Dimmi quello che vuoi, ma non dirmi “mi dispiace”.»
«Voglio parlare da uomo libero, non voglio che questo possa influire in alcun modo, che possa sembrare una speculazione. Io rimango in silenzio fino a che non esco.»
«Capisco. Ma, vedi, io per anni non ho voluto documentarmi e all’epoca non ho letto i giornali. Vorrei sapere qualcosa su mio padre, cosa è successo quella mattina.»
«Non c’era l’intenzione di ucciderlo… È andata come dicono le Brigate rosse.»
«Avete detto che mio padre reagì, e che per questo lo uccideste. È vero?»
«No, non ci fu nessuna reazione particolare. Quando uno si muove i colpi possono finire dove non si vorrebbe…»
«Ma non è sufficiente un solo colpo, per “gambizzare” qualcuno? Voi gliene avete sparati addosso almeno sei!»
«Vedi che si va a finire su cose di cui non posso parlare… Anche agli altri parenti delle vittime dovrò dare spiegazioni.»
«Perché? Chi ti ha cercato? Ti ha forse cercato o telefonato qualcuno? Non credo che ci sarà la fila, quando uscirai.»
«Quando uscirò, da persona libera, potrò incontrarti.»
«Sì, ma quando uscirai?»
«Non lo so. Io sono un ergastolano, il fine pena non esiste. Se ci saranno le condizioni, un’amnistia, forse… Lasciamoci così… Ciao.»
No, non potevo accontentarmi di aver ascoltato al telefono per pochi minuti la voce di uno degli uomini che spararono a mio padre. Guagliardo non poteva cavarsela così, con la promessa di un colloquio il giorno in cui fosse tornato completamente libero. Allora gli ho scritto. Ecco, vedi, questa è la lettera che gli ho spedito l’11 febbraio 2005:
«Ho pensato a lungo a quella telefonata, e ho pensato alle motivazioni del tuo rifiuto che hai sostenuto in modo così determinato.
Credo però che tu non possa nasconderti dietro a questa presa di posizione, perché è assurda e poco credibile. Tu ogni giorno esci dal carcere, incontri persone con cui stabilisci rapporti di lavoro, di amicizia, non puoi scegliere chi incontrerai, così come non puoi escludere me da un possibile incontro.
Questa mia è una richiesta strettamente personale e in forma assolutamente privata, vorrei vederti, magari offrirti un caffè, per fare due chiacchiere, così come vengono.
Non capisci che non può esserci alcuna speculazione? E poi, da parte di chi? Non ho certo l’intenzione di farti un interrogatorio, tanto mi diresti quello che vuoi. E nemmeno andrei in giro a rilasciare interviste, soprattutto perché non ho ambizioni di questo tipo. Se così fosse avrei potuto sfruttare il nome che porto, come hanno fatto in tanti, per “sistemarmi” meglio. Avrei potuto mirare a una carriera politica, a qualche poltrona prestigiosa, anziché accontentarmi di un lavoro dipendente agganciato a un mensile di 1000 euro circa, ma preferisco essere libera di dire e pensare ciò che sento, senza sottomissioni a dogmi di alcun partito.
Sono passati ventisei anni, io non posso rimandare ancora e sono assolutamente convinta che tu un incontro me lo debba adesso.
Io non aspetto che il “mostro” esca dal carcere, non ho questo tipo di visione.
Se ti può fare piacere saperlo, credo che tu abbia già pagato visto che sei in carcere da quasi venticinque anni, mentre altri hanno beneficiato di tutto ciò che era possible e oggi fanno gli imprenditori di se stessi, gli scrittori, gli attori; credo che tu abbia già pagato anche se mi aspetto qualcosa da te.
Vedi, io prima di essere me stessa, di fronte all’opinione pubblica e non solo, sono la figlia di Guido Rossa, e con questa realtà mi devo confrontare praticamente ogni giorno, spesso sono chiamata a rispondere su questioni che riguardano anche il tuo passato, che riguardano le Br e quello che hanno significato. Quindi non parlerei di speculazione, tu in questo modo ti preoccupi solo di preservare la tua persona e la tua immagine, vuoi solo tirarti fuori, ma con me non te lo puoi permettere.
Io rispetto la tua posizione, e mi sembra anche sorretta da una certa coerenza con quello che è stato il tuo comportamento di stretto riserbo fino ad oggi. Credo anche però che ciò riguardi il tuo passato e il tuo rapporto oggi con i media, l’informazione e l’esterno in generale.
Ciò che ti sto chiedendo è un’altra cosa e non fa parte di tutto questo meccanismo.
Io quel giorno non ho potuto scegliere, non ho avuto alcun preavviso, io da quel giorno non ho più rivisto mio padre, mi sono trovata in una vita nuova, che non avevo scelto, né mai immaginato, ma che così è stata, e a sedici anni ho vissuto l’inferno.
Questo l’hai determinato anche tu.
Questa volta non spetta a te dettare le condizioni.
Non credere che per me sia facile mettermi qui e scriverti, o parlarti al telefono, o vederti di persona, ma è una presa di coscienza per me doverosa e importante.
E quando un giorno dovrò raccontare a mia figlia, che oggi ha tre anni, tutto questo, vorrei poterle dire anche di averti incontrato.
Sabina
P.S. Mi aspetto una risposta».
La risposta non è tardata ad arrivare. Pochi giorni dopo avergli spedito quella lettera, ho ricevuto una sua telefonata.

2

Il viaggio sull’autobus 120

L’autobus che da San Donato Milanese, porta a Melegnano, è il numero 120. Sono salita su quel pullman dieci giorni dopo aver scritto la mia lettera a Guagliardo. Durante il tragitto non ho fatto altro che pensare a lui, al personaggio che stavo per incontrare e al suo passato di brigatista.
Arrestato una prima volta, nel 1978, fu condannato a cinque anni nel processo contro i capi storici delle Brigate rosse, a Torino. Scarcerato per decorrenza dei termini, in attesa dell’Appello, fece perdere le sue tracce e tornò nella clandestinità. Pochi mesi dopo era nel commando che uccise mio padre: sparò i primi quattro colpi, anche se nessuno mortale. Soggetto particolarmente pericoloso, secondo la definizione dei magistrati e degli inquirenti. Nel gennaio del 1981, esattamente due anni dopo l’assassinio di mio padre, i carabinieri di Torino posero fine alla sua carriera di terrorista: lo catturarono insieme a Nadia Ponti, la sua futura moglie. Sotto le giacche, nascondevano due pistole, una bomba a mano e svariate munizioni. Tipo freddo, austero, impenetrabile e di poche parole. Lo hanno descritto sempre così. L’unica volta che gli è capitato di esprimere pubblicamente il suo pensiero, nel processo dopo il secondo arresto, minacciò il suo avvocato d’ufficio, che si sentì gelare il sangue: «Avvocato, taccia, se non vuole fare la fine del suo collega Fulvio Croce! Nella mia veste di brigatista rosso non voglio essere difeso da nessuno!». Raramente ha parlato davanti a un giudice. Fredda e burocratica la risposta che compare di frequente nei verbali di interrogatorio agli atti delle inchieste: «Non intendo rispondere delle contestazioni mossemi dal mandato di cattura sopra elencato».
Di lì a pochi minuti me lo sarei trovato di fronte.
Ho seguito scrupolosamente le indicazioni che avevo ricevuto. Scesa dall’autobus, mi sono diretta verso una stradina alla periferia di Melegnano. Al numero civico che mi era stato indicato, ho trovato il portoncino di legno e, sul citofono, il nome della cooperativa. Nevicava. Non ero agitata, ma stranamente tranquilla e serena. Quell’incontro lo avevo fortemente voluto. L’ho affrontato da sola, così come, in assoluta solitudine, mio padre a...

Indice dei contenuti

  1. Guido rossa, mio padre
  2. Copyright
  3. Presentazione
  4. 1. «Cari ex brigatisti, ora voglio sapere…»
  5. 2. Il viaggio sull’autobus 120
  6. 3. Mio padre
  7. 4. «Hanno ammazzato papà!»
  8. 5. La rimozione, poi la ribellione
  9. 6. Quel colpo al cuore
  10. 7. Il «postino» delle Br
  11. 8. «Qualcuno ordinò: uccidete Rossa!»
  12. 9. Il tabù infranto
  13. 10. Un quarto uomo?
  14. 11. L’acqua dei pesci brigatisti
  15. 12. «Quel gioco di sponda tra le Br e lo Stato»
  16. 13. I rossi, i neri e i segreti di Edgardo Sogno
  17. 14. «Il confessionale»
  18. 15. Il segreto di mio padre
  19. Documenti
  20. Indice