
- 608 pagine
- Italian
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eBook - ePub
Manuale dell'uomo normale
Informazioni su questo libro
Nel Manuale dell'uomo normale ritroverete l'Uomo Domestico, che cerca di fare dieci cose insieme ma non ha abbastanza mani, e l'Imperfetto Sportivo, che combatte contro palloni e palline, il mare, le salite, l'età e perde sempre. Ai due storici manuali di Beppe Severgnini s'aggiunge il nuovo Manuale dell'uomo sociale, che completa e aggiorna il ritratto dell'Uomo Normale (ammesso che esista). L'Italia vi sfilerà davanti come un paesaggio visto da un treno. Conosciuto, ma commovente. Lo vediamo, ed è già passato.
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Informazioni
Print ISBN
9788817026376eBook ISBN
9788858650929Manuale
dell’uomo domestico
dell’uomo domestico
Dedicato a tutte le donne che mi hanno
sopportato (alcune ancora mi sopportano)
sopportato (alcune ancora mi sopportano)
Italian Polaroid
( Una specie di introduzione)
Questa è un’introduzione coerente scritta da un incoerente. Mi ero ripromesso, dopo il Manuale dell’imperfetto viaggiatore (Rizzoli, 2000), di non raccogliere altri pezzi in un libro. Poi ho scoperto una cosa. Anzi, due. Innanzitutto, è impossibile portare trecento riviste su un treno, a letto o su un prato. E poi, se non avessi deciso di pubblicare questo secondo Manuale, tutto quanto ho scritto per «Io Donna» (non è una dichiarazione esistenziale, ma il femminile del «Corriere della Sera») sarebbe andato perduto.
Voi direte: a chi importa? Be’, a me. E, spero, a qualcuno di voi. Mi illudo infatti che quei corsivi siano piaciuti a chi li ha letti. E possano piacere a chi ancora non li conosce. Non sono, infatti, articoli di un quotidiano, legati all’attualità . Sono tessere di un mosaico. Anzi, sono le Polaroid di questi anni (1996-2002). E sapete? Talvolta le Polaroid sono meglio delle fotografie. Più efficaci e immediate.
Scrivo queste cose perché mi sembra onesto. Ma sono convinto che molti faticheranno a credere che le prossime pagine non siano nate come capitoli d’un libro. Sono rimasto sorpreso anch’io, quando mi sono accorto della facilità con cui una considerazione lasciava posto a un’altra, e tutte insieme illustravano un argomento. Non credevo d’aver scritto tanto di famiglie e bambini, uffici e negozi, automobili e vacanze, dell’avvento della posta elettronica e dell’uso italiano dei cellulari, notoriamente geniale e perverso.
Ma chissà : forse non è così sorprendente. Forse non è del tutto strano che, da una rubrica settimanale, esca un ritratto dell’Italia quotidiana. Se cinquantadue sabati fanno un anno, sei anni fanno un’epoca. Un’epoca in cui sono successe molte cose.
La nostra vita ha subìto una brusca accelerazione, e uno scarto d’umore. Dalla metà degli anni Novanta a oggi sono cambiati le abitudini e le ossessioni, le curiosità e gli acquisti, i timori e l’autoindulgenza (entrambi in aumento), gli umori e i governi. Il mondo è mutato, e l’Italia – anche se ogni tanto se ne dimentica – fa parte del mondo.
Eppure non troverete, in questo libro, riferimenti diretti ai grandi avvenimenti di questi anni, di cui anch’io ho scritto sul «Corriere della Sera» e sull’«Economist». Troverete invece le ricadute di quegli avvenimenti. Il fall-out personale, familiare, sociale e sentimentale di quei fatti (scusate il termine fall-out. Ma se non usassi un’espressione inglese di tanto in tanto, che italiano sarei?).
Nella rubrica di «Io Donna» (come in quella di «Qui Touring», da cui ho tratto qualche spunto per gli ultimi capitoli) ho scelto di concentrarmi sulla nostra vita quotidiana, e analizzarla nei dettagli. Montanelli mi ha insegnato a mettermi sempre nei panni dei lettori. Be’, io vi immaginavo il sabato mattina, finalmente tranquilli, a letto, in cucina o in un bar. E volevo offrirvi quello che, in America, chiamano food for thought, cibo per i pensieri. Cibo divertente, naturalmente: si digerisce meglio.
Le considerazioni che leggerete – immagino – le avete fatte anche voi: io vorrei solo aiutarvi a fissarle. Offrirvi materiale per una riflessione, occasioni per un sorriso, pretesti per un esame di coscienza, possibilità di una risata, munizioni per prendere in giro mariti, fidanzati, amici, colleghi. E, naturalmente, mogli, fidanzate, amiche e colleghe (che sono sempre complici, se non altro perché ci sopportano).
Ecco, mi sono confessato. Ora l’assoluzione tocca a voi. Mi auguro che questo Manuale dell’uomo domestico vi diverta e vi faccia pensare al mondo – e al modo – in cui viviamo. L’Italia, infatti, si nasconde nei dettagli, alcuni formidabili e preziosi. Come i cercatori d’oro, io li raccolgo e ve li sottopongo. Fatemi sapere se sono sassi o pepite.
Crema, settembre 2002
1

Le cose che facciamo
IN CASA
IN CASA
Un tempo le case venivano costruite, poi abitate. Oggi siamo al cantiere continuo: demolizioni, apertura di porte e finestre, pavimentazioni e piastrellature. Appena finito, cambia il proprietario. E si ricomincia.
La ristrutturazione ha sostituito la filosofia, nella società moderna. È un modo di occupare il tempo, con la differenza che gli architetti fanno più rumore dei filosofi (e la filosofia non era soggetta all’Iva). Suddividere le stanze, alzare il pavimento, abbassare il soffitto, allargare la cucina: i condomini sono alveari insoddisfatti, e i vecchi edifici sono templi dove le famiglie sfidano gli dèi dell’urbanistica (chiamando «manutenzione straordinaria» una demolizione tellurica). Le strutture portanti delle nostre case sono in pericolo, o meglio: sono nelle mani di allegri muratori bergamaschi, che parlano dell’Atalanta mentre scalpellano le nostre vite.
La ristrutturazione nevrotica ha anche un aspetto ludico: la disposizione delle stanze, nelle abitazioni, cambia continuamente. Così, se andate a cena da vecchi amici e vi dirigete spediti verso il bagno, vi ritrovate nella stanza della baby-sitter (e la ragazza potrebbe non gradire, soprattutto se avete già cominciato a spogliarvi). Un tempo – mi ha scritto un lettore – «gli edifici avevano una struttura logica per ragioni tecniche e d’uso» (le cucine sopra le cucine; i bagni sopra i bagni; le camere da letto sopra le camere da letto). Oggi è l’anarchia assoluta. Ci si trova a mangiare sotto lo scarico di una lavatrice (o peggio), e a dormire sopra un soggiorno popolato di adolescenti rock. Le prese d’aria delle cucine sbucano ovunque. Le facciate sembrano groviera, mentre i balconi offrono al vento le orbite bianche delle parabole e vetrate lattiginose, che sono il modo italiano di ottenere una stanza in più, alla faccia della volumetria.
Cosa ci riserva il futuro? Niente di speciale: probabilmente finiremo per tenerci in casa i muratori, così saranno sempre a disposizione. In fondo, cosa ci vuole? Un bel soppalco, la cucina abitabile, il terzo bagno e cinquantamila euro all’anno per le loro piccole spese.

Acquistare piastrelle viene giudicata un’attività secondaria. È una sciocchezza. Innanzitutto, gli errori in materia sono spesso irreparabili (o meglio, sono riparabili solo acquistando altre piastrelle). Un rivestimento sbagliato vi guarderà biecamente per anni, dalla parete del bagno o dal piano di lavoro della cucina, ricordandovi l’antica leggerezza. Non solo. Le piastrelle sono l’anima rigida e colorata della nazione: si sporcano, si rigano, si crepano, e pongono delicati problemi di coscienza. Prendiamo i nomi. La fantasia dei produttori e dei loro architetti appare senza limiti. I soggetti sensibili rimarranno turbati.
Per esempio: non credo esista una singola piastrella, nella sterminata produzione nazionale, che ammetta di essere «azzurra». C’è il colore Spinnaker Blu, Azzurro Malva, Scirocco, Acqua di Baia Sardinia e Cielo del Sahara (non invento: cito). In effetti, come qualsiasi bambino può confermare, sono tutte azzurre; ma, poiché i nomi sono gratis e nel Sahara nessuno protesta, le ditte produttrici si sono lanciate. Dubito che abbiano osservato il cielo del deserto. Per quello che ne sanno, potrebbe essere verde pisello. Ma, al momento della scelta, non hanno dubbi: chi trascura una piastrella azzurra, potrebbe farsi tentare dal cielo del Sahara (per schiaffarlo nel bagno di servizio).
Non prendete sottogamba questo esotismo da catalogo. La spericolata citazione cromatica è la prova che siamo arrivati a pigiare tutto nel tritasassi commerciale; poi guardiamo nel foro d’uscita, sperando che esca qualche emozione. Questo vale per le piastrelle e per gli abiti, per le scarpe e per le automobili. Un paio di visite presso concessionari mi hanno rivelato l’esistenza del Bianco Casablanca, del Verde Cosmico, del Blu Jazz, del Rosso Flash e del Nero Vulcano. Termini che nessuno adopera («Cara, posso prendere la macchina Bianco Casablanca?» «Caro, dimmi: hai bevuto di nuovo?»), nemmeno gli agenti della stradale («L’autoveicolo Verde Cosmico procedeva in direzione sud, quando il furgone Blu Jazz si è immesso sulla carreggiata...»). Confesso: vorrei psicanalizzare l’inventore di quei nomi. Ma, poiché non sono uno psicanalista, mi accontenterei di invitarlo a colazione, fissarlo negli occhi Nero Vulcano, e vederlo diventare Rosso Flash.

Ecco alcune richieste dei milanesi nel più rinomato ferramenta della città , «Meazza». Le frasi sono state raccolte, nel corso degli anni, dai commessi. Il documento completo (nove pagine) è stupefacente. Quando sono di cattivo umore, ne leggo qualche riga. Tra parentesi, alcune possibili spiegazioni: ma la mente del «bricoleur» è misteriosa, e chissà cosa nasconde.
Avete il pongo per incastonare una cucina?
(stucco?)
Avete i meccanismi per le finestre evariste?
(vasistas?)
Sto cercando le maniglie con pisellino.
Avete i chiodini autoadesivi?
Avete i paraventi per gatti?
Mia nuora mi ha chiesto il nastro adesivo con gli spilli che messo sulla ringhiera del balcone fa pungere le mani dei miei nipotini così non s’appoggiano.
(bambini o piccioni?)
Avete i portacravatte a pile?
Avete i ganci per appendere un piatto vinto col «Sale di Sicilia»?
Il commesso mostra al cliente una ruota da mobile, e dice: «Vede, rispetto alla sua è un pochino più bassa». Cliente: «Ma crea problemi per la velocità ?».
Avete i carabinieri per le persiane?
Avete i pompelmi per mobili?
(pomelli?)
Avete i chiodi magici?
Non ha qualche maniglia un po’ movimentata?
Avete profilattici di alluminio?
Vorrei uno zoccolino in plastica con ascella.
C’è qualcosa per avvitare una farfalla?
Dove posso vedere le zampe da tavolo?
(di solito si parla di «gambe». Ma il cliente deve aver trovato affinità tra il tavolo e il cane di casa)
Avete una calamita per il vetro?
Queste ruote non le avete un po’ più quadrate?
Scusi, vorrei un metro da cinque metri.
Cercavo l’uomo morto per vestiti.
(ometto?)
Avete maniglie abbronzate?
Mi serve una serratura per una maniglia che gira in folle.
Avete l’assorbente per i caloriferi?
Cerco un bastone per tende ramificato.
(ramato?)
Scusi, questa pattumiera va bene per il mio bagno?
Quest’ultima domanda è la mia preferita. Come vorrei vederlo, quel bagno milanese.

Se fossi un sociologo, mi prenderei come assistente un corniciaio. Ciò che gli italiani mettono dentro un quadro – e poi, purtroppo, appendono ai muri – non rappresenta solo un’indicazione delle turbe individuali, ma un campionario delle fissazioni nazionali.
Sospettavo da tempo che il problema fosse serio; e alcune recenti visite in un negozio di cornici mi hanno convinto d’avere ragione. Disseminati sui banconi e addossati ai muri, pronti per i posteri (che, essendo posteri, non possono protestare) c’erano gli oggetti più strani: finti papiri egizi e riviste, agghiaccianti gigantografie di bambini e fogli di calendario, stampe antiche di almeno tre anni e maxi-poster dei Caraibi che, appesi nella camera di un’adolescente, possono spiegare una fuga da casa.
Il corniciaio, vedendo il mio stupore, ha sorriso. Con la calma serena del saggio, ha detto: «Ciò che lei vede, non è niente». Nell’ultima settimana – ha spiegato – aveva dovuto incorniciare una maglietta da calcio sudata (gli era stato proibito lavarla) e un paio di calzettoni (portavano un autografo, apparentemente); otto stampe pornografiche, dozzine di oleografie e innumerevoli riproduzioni, ognuna delle quali valeva un decimo della cornice che la conteneva. Il giorno prima gli era toccato costruire una cornice speciale – una sorta di cofanetto pensile – per esporre un reggiseno che un cliente aveva ricevuto in dono in discoteca (questa, almeno, la versione ufficiale).
Provate a pensarci. Il fenomeno turistico che gli antropologi chiamano «incorniciamento ed elevazione» (più un oggetto viene messo in evidenza, più appare appetibile) si è ormai trasferito nella vita domestica. In altri paesi non avviene. Negli Stati Uniti, per esempio, i prezzi delle cornici su misura sono proibitivi, e questo scoraggia gli esperimenti. Nel mondo arabo manca la tradizione; in Giappone mancano i muri. In Italia, invece, siamo ormai alla tassidermia del passato prossimo: siamo tutti ansiosi di imbalsamare i ricordi, prima che ci scappino di mano e di mente.
Non si salva più nessuno. Non il sottoscritto, che ha un conto dal corniciaio; non il corniciaio, che – sospetto – potrebbe incorniciare queste pagine del sottoscritto.

Osservateli, quando andate in casa d’altri. Sono lucidi, robusti, intensi e intonsi. Sono i celebri Libri della Scala, un patrimonio segreto della cultura italiana.
I Libri della Scala, naturalmente, non stanno solo sulle scale, ma anche di fianco ai caloriferi, lungo i corridoi, sdraiati sotto il televisore (perché sono sempre un centimetro troppo alti). Si occupano di cose magnifiche (scavi, chiese, pittura, storia, viaggi, spiagge e gastronomia) e hanno illustrazioni spettacolari. Raramente sono stati acquistati. Quasi sempre arrivano da soli, come i pensieri. Chi li diffonde è pieno di buone intenzioni. Banche, associazioni, società , enti, fondazioni: una fiumana che non si riversa nel mare del mercato, ma prende canali misteriosi. Regali, omaggi, ricordi per l’ospite, doni al conferenziere. In sedici anni di incontri presso Lions e Rotary (1984-2000, ora sono un baby-pensionato del ramo) ho accumulato una gigantesca bibliografia sui campanili d’Italia. La scala di casa Severgnini potrebbe fare a meno dei muri. Basterebbero i volumi.
Ripeto: quasi sempre i Libri della Scala sono ottimi. Belli, profumati di carta lucida, aperti da una prefazione in cui qualcuno si chiede come l’umanità (la banca, il paese, la provincia, il club, l’associazione, la comunità montana) abbia potuto farne a meno, fi...
Indice dei contenuti
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- Prefazione
- MANUALE DELL’UOMO SOCIALE
- MANUALE DELL’IMPERFETTO SPORTIVO
- MANUALE DELL’UOMO DOMESTICO
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