
- 800 pagine
- Italian
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eBook - ePub
I favoriti della fortuna
Informazioni su questo libro
Mentre Silla esercita spietatamente il potere di dictator, il giovane Pompeo, brillante stratega, conduce difficili campagne militari. E si fa luce Giulio Cesare, sposato alla bella Cinnilla. Mitici eroi di cui l'attrice ripercorre le vicende con impeccabile rigore storico ma nello stesso tempo lasciando ampio spazio alla fantasia. Nel variegato scenario di una Roma a un tempo sfarzosa epopolta, la McCullough dà ancora una volta vita a un'avvincente epopea, confermandosi prodigiosa affabulatrice.
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Informazioni
Parte I
Aprile 83 a.C. - Dicembre 82 a.C.
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L’intendente sapeva che la luce non avrebbe svegliato Pompeo, anche se teneva il lume a cinque fiamme abbastanza in alto da illuminare i due corpi sdraiati sul letto. Solo sua moglie sarebbe stata in grado di farlo. Lei si mosse, aggrottò la fronte, voltò la testa dall’altra parte nel tentativo di continuare a dormire, ma l’ampia casa mormorava oltre la porta aperta, e l’intendente la stava chiamando.
«Domina! Domina!»
Pudica anche se colta di sorpresa – i servi non erano soliti entrare senza annunciarsi nella stanza da letto di Pompeo – Antistia si accertò d’essere convenientemente coperta prima di tirarsi a sedere sul letto.
«Che c’è? Cosa succede?»
«Un messaggio urgente per il padrone. Sveglialo e digli di venire nell’atrium» latrò l’intendente in tono sgarbato. Le fiamme del lume si abbassarono emettendo una voluta di fumo mentre lui girava sui tacchi e se ne andava; la porta si chiuse, sprofondando la stanza nell’oscurità.
Oh, che uomo spregevole! L’aveva fatto apposta! Attirò a sé la veste stesa ai piedi del letto e gridò che le portassero un lume.
Pompeo dormiva come un sasso. Provvista di lume e di uno scialle caldo, Antistia si voltò infine verso il letto e vide che lui era ancora immerso nel sonno. Non sembrava neppure accorgersi del freddo, steso com’era sulla schiena, nudo fino alla vita.
Aveva tentato altre volte – e per altre ragioni – di svegliarlo con un bacio, ma non c’era mai riuscita. Avrebbe dovuto scrollarlo e schiaffeggiarlo.
«Cosa?» chiese infine Pompeo mettendosi a sedere e passandosi le mani sulla folta zazzera bionda; il ciuffo sopra l’attaccatura a punta dei capelli si drizzò spavaldamente. I suoi occhi azzurri si sollevarono a guardarla con altrettanta vivacità. Pompeo era fatto così: apparentemente morto un momento, sveglio come un grillo il successivo. Come tutti i militari, del resto. «Cosa?» chiese di nuovo.
«C’è un messaggio urgente per te nell’atrium.»
Non aveva ancora finito di pronunciare la frase, che Pompeo era balzato in piedi, aveva infilato i piedi nelle pantofole senza tallone e si era buttato frettolosamente la tunica di traverso su una spalla cosparsa di lentiggini. Un attimo dopo se n’era andato, lasciando la porta aperta dietro di sé.
Antistia rimase un momento immobile con aria incerta. Suo marito non aveva preso il lume – vedeva al buio meglio di un gatto – perciò niente le impediva di seguirlo, tranne la convinzione che probabilmente lui non ne sarebbe stato contento. Be’, all’inferno! Una moglie aveva il sacrosanto diritto di conoscere una notizia tanto importante da interrompere il sonno del capofamiglia! Perciò si avviò col piccolo lume che rischiarava a malapena qualche passo del gigantesco corridoio con il pavimento e le pareti di nudi blocchi di pietra. Prima una svolta, poi una rampa di scale – e di colpo si trovò all’esterno dell’orribile fortezza gallica e dentro la civile villa romana, tutta eleganti intronaci e stucchi.
L’atrium era inondato di luce; i servi si erano dati doverosamente da fare. Ed ecco là Pompeo, con una semplice tunica indosso, eppure vivente personificazione di Marte – oh, era stupendo!
Forse aveva addirittura sperato che lei lo seguisse, perché i suoi occhi registrarono la sua presenza. Ma in quel momento entrò di corsa Varrone con aria affannata, e Antistia perse ogni speranza di prender parte personalmente a ciò che stava suscitando tutto quel trambusto.
«Varrone, Varrone!» gridò Pompeo. Quindi ululò, emettendo uno strido acuto e soprannaturale che non aveva niente di romano; così avevano ululato i Galli che un tempo si erano riversati giù dalle Alpi appropriandosi d’interi lembi d’Italia, incluso il Piceno di Pompeo.
Antistia sussultò, poi rabbrividì. Altrettanto, notò, fece Varrone.
«Che c’è!»
«Silla è sbarcato a Brindisi!»
«Brindisi! Come lo sai?»
«Che importanza ha?» chiese Pompeo, attraversando il pavimento di mosaico, afferrando per le spalle il minuscolo Varrone e scuotendolo. «È qui, Varrone! L’avventura è iniziata!»
«Avventura?» ripeté incredulo Varrone. «Oh, Magnus, deciditi a crescere, una buona volta! Non è un’avventura, è la guerra civile – e ancora una volta in terra italica!»
«Non m’importa!» gridò Pompeo. «Per me è un’avventura. Se soltanto sapessi quanto ho desiderato ricevere questa notizia, Varrone! Da quando Silla se n’è andato, questa terra è stata più mansueta del cagnolino di una Vergine Vestale!»
«E l’Assedio di Roma?» chiese Varrone sbadigliando.
L’espressione di allegra euforia sparì dal volto di Pompeo, che lasciò ricadere le mani lungo i fianchi; poi indietreggiò, e guardò trucemente Varrone. «Preferirei dimenticare l’Assedio di Roma!» scattò. «Hanno trascinato il cadavere nudo di mio padre legato su un asino attraverso le loro miserabili strade!»
Il povero Varrone arrossì con tanta intensità che la sua pelata si chiazzò di scarlatto. «Oh, Magnus, ti chiedo scusa! Non... non volevo... sono tuo ospite... ti prego, perdonami!»
Ma la collera di Pompeo era già sbollita. Scoppiò a ridere, poi dette una pacca sulla schiena dell’amico. «Oh, non è stata colpa tua, lo so bene!»
Nell’immenso locale faceva un freddo pungente; Varrone si strinse le braccia intorno al corpo. «È meglio che parta subito per Roma.»
Pompeo lo guardò con aria stupefatta. «Per Roma? Tu non andrai a Roma, verrai con me! Cosa credi che accadrà a Roma? Un branco di pecore che corrono qua e là belando, le vecchie comari del Senato che discutono per giorni e giorni... vieni con me, sarà molto più divertente!»
«E dove vorresti andare?»
«A raggiungere Silla, naturalmente.»
«In tal caso non ti servo, Magnus. Salta in sella al tuo cavallo e parti al galoppo. Silla sarà felice di trovarti un posto tra i suoi giovani tribuni militari, ne sono certo. Non sei un pivello.»
«Oh, Varrone!» Pompeo agitò le braccia, tradendo la sua esasperazione. «Non ho la minima intenzione di diventare tribuno militare giovane di Silla! Gli porterò tre nuove legioni! Io, lacché di Silla? Mai! Voglio essere suo socio alla pari, in quest’impresa»
L’incredibile affermazione lasciò a bocca aperta sia la moglie di Pompeo sia il suo ospite e amico; consapevole di aver ansimato e quasi espresso ad alta voce la propria angoscia, Antistia si affrettò a spostarsi in un angolo in cui gli occhi di Pompeo non avrebbero potuto vederla. Si era completamente dimenticato della sua presenza, e lei voleva continuare ad ascoltare. Aveva bisogno di sapere.
dp n="14" folio="12" ? In due anni e mezzo di matrimonio, Pompeo non si era mosso dal suo fianco che un solo giorno, in un’unica occasione. Oh, che delizia era stata! Godere della sua totale attenzione! Solleticata, rimproverata, scarruffata, abbracciata, morsa, ammaccata, sbatacchiata... Come in un sogno. Chi l’avrebbe immaginato? Lei, figlia di un senatore di rango appena intermedio e non certo ricchissimo, data in sposa a Gneo Pompeo che si faceva chiamare il Grande! Abbastanza fornito da sposare qualunque ereditiera, padrone di mezza Umbria e mezzo Piceno, e tanto biondo e bello che tutti lo consideravano una vera e propria reincarnazione di Alessandro Magno – che marito le aveva trovato suo padre! Oltretutto, dopo che per anni lei stessa aveva disperato di trovare un partito adatto, tanto misera era la sua dote!
Naturalmente aveva sempre saputo perché Pompeo l’aveva sposata; aveva bisogno di un grande favore da suo padre. Il quale, guarda caso, era giudice al processo di Pompeo. Era stata una faccenda pilotata, questo è ovvio. Lo sapeva tutta Roma. Ma Cinna aveva un bisogno disperato d’ingenti somme per completare la sua campagna di arruolamento, e la ricchezza del giovane Pompeo gli avrebbe fornito quelle somme. Per questa ragione il giovane Pompeo era stato accusato di colpe che avrebbero dovuto essere mosse più correttamente al suo defunto padre Pompeo Strabone – in particolare, che si fosse appropriato con mezzi illegali di parte del bottino della città di Ascoli Piceno. Vale a dire, una rete venatoria e alcune sacche piene di libri! Inezie. La trappola non consisteva tanto nella gravità del reato, quanto nella multa; se Pompeo fosse stato condannato, i leccapiedi di Cinna incaricati di decidere l’ammontare della sanzione avrebbero avuto ampia facoltà di confiscargli l’intera fortuna.
Un vero romano avrebbe deciso di difendersi dalle accuse in tribunale e, se necessario, di corrompere la giuria; ma Pompeo – i cui stessi lineamenti tradivano una discendenza gallica – aveva preferito sposare la figlia del giudice. Si era in ottobre, allora, e il padre di Antistia era riuscito a procrastinare con grande abilità ogni azione del tribunale per tutto novembre e dicembre. La causa del suo nuovo genero in realtà non fu mai discussa, rimandata continuamente per infausti auspici, accuse di corruzione ai giurati, riunioni del Senato, febbri malariche e pestilenze varie. Con il risultato che a gennaio il console Carbone aveva persuaso Cinna a cercare altrove il denaro di cui avevano un disperato bisogno. La minaccia al patrimonio di Pompeo era svanita.
dp n="15" folio="13" ? Appena diciottenne, Antistia aveva accompagnato il proprio smagliante trofeo matrimoniale nei suoi possedimenti siti a nordest della penisola italica, e laggiù – nell’opprimente edificio di pietra nera della roccaforte pompeiana – si era tuffata gioiosamente nell’ebbrezza di essere la sposa di Pompeo. Per fortuna era una graziosa giovanetta tutta curve e fossette, ormai pronta a, gustare i piaceri del sesso, perciò la sua felicità era rimasta a lungo incontaminata. E quando si erano profilate le prime fitte d’inquietudine, non erano provenute dall’adorato Magnus, ma dai suoi fedeli cortigiani, servi e vassalli che, non contenti di trattarla con disprezzo, si sentivano in dovere di farle capire che la consideravano con disprezzo. Non era un gran peso... finché Pompeo era abbastanza vicino da rientrare a casa tutte le sere. Ma adesso parlava di andare in guerra, di reclutare legioni e di abbracciare la causa di Silla! Oh, cosa avrebbe fatto senza l’adorato Magnus che la proteggeva dal disprezzo della sua gente?
Pompeo stava ancora cercando di convincere Varrone che l’unica alternativa ragionevole fosse quella di accompagnarlo da Silla, ma quell’omuncolo altezzoso e pedante – e spaventosamente maturo, se si considera che era senatore da appena due anni! – gli opponeva ancora resistenza.
«Di quanti uomini dispone Silla?» stava chiedendo Varrone.
«Ha cinque legioni di veterani, seimila cavalieri, numerosi volontari della Macedonia e del Peloponneso, e cinque coorti di Spagnoli fedeli a quello sporco imbroglione di Marco Crasso. Circa trentanovemila uomini in tutto.»
Tale risposta aveva fatto alzar le braccia al cielo a Varrone. «Ti ripeto, Magnus, deciditi a crescere! Vengo adesso da Rimini, dove Carbone si è accampato con otto legioni e uno smisurato corpo di cavalleria... e questo è solo l’inizio! In Campania soltanto ci sono altre sedici legioni! Per tre anni Cinna e Carbone hanno continuato ad ammassare truppe... in Italia e nella Gallia Cisalpina ci sono centocinquantamila uomini armati! Come vuoi che Silla possa opporsi a tali forze?»
«Silla le annienterà» replicò Pompeo senza batter ciglio. «Inoltre, io gli porterò tre legioni di collaudati veterani di mio padre. I soldati di Carbone sono tutte reclute con la bocca che puzza ancora di latte!»
«Hai davvero intenzione di procurarti un esercito tutto tuo?»
«Certo che ne ho l’intenzione!»
dp n="16" folio="14" ? «Ma hai appena ventidue anni, Magnus! Non puoi aspettarti che i veterani di tuo padre si mettano al tuo servizio!»
«Perché no?» chiese Pompeo, sinceramente stupito.
«Per prima cosa, solo tra otto anni potrai aspirare a entrare al Senato. Solo tra venti potrai aspirare al consolato. E anche se i soldati di tuo padre fossero disposti ad arruolarsi al tuo servizio, è assolutamente illegale che tu chieda loro di farlo. Sei un privato cittadino, e i privati cittadini non arruolano eserciti.»
«Da più di tre anni il governo di Roma è illegale» ribatté Pompeo. «Cinna è stato console quattro volte, Carbone due, Marco Gratidiano praetor urbanus due volte, quasi metà del Senato è fuorilegge, Appio Claudio è stato esiliato con il suo imperium intatto, Fimbria scorrazza in Asia Minore facendo affari con re Mitridate – è tutto da ridere!»
Varrone assunse l’espressione di un mulo pomposo, cosa tutt’altro che difficile per un sabino dei rosea rura, dove i muli abbondavano. «La faccenda va risolta in modo costituzionale» disse.
Stavolta Pompeo non riuscì a trattenere una risata. «Oh, Varrone! Mi sei molto simpatico, ma sei un inguaribile utopista! Se questa faccenda potesse essere risolta in modo costituzionale, perché mai ci sarebbero in Italia e nella Gallia Cisalpina centocinquantamila soldati?»
Varrone alzò di nuovo le braccia al cielo, ma stavolta con aria rassegnata. «Oh, benissimo, allora! Verrò con te.»
Pompeo sorrise, cinse con un braccio le spalle di Varrone e lo guidò lungo il corridoio che portava nelle proprie stanze. «Splendido, splendido! Potrai scrivere la storia delle mie prime campagne militari – hai uno stile più forbito del tuo amico Sisenna. Sono l’uomo più importante del nostro tempo, merito di avere al mio fianco uno storico personale.»
Ma fu Varrone ad avere l’ultima parola. «Ma fammi il piacere... importante! Ci vuole una grande faccia tosta – buona, questa! – a chiamarti Magnus!» Sbuffò. «Il Grande! Il Grande, a ventidue anni! E pensare che tuo padre si è contentato di chiamarsi lo Strabico!»
Pompeo ignorò totalmente il suo spirito, tutto preso com’era a impartire una sfilza d’istruzioni all’intendente e all’armiere.
Alla fine l’atrium vivacemente decorato e dorato rimase deserto, a parte Pompeo. E Antistia. Lui le si avvicinò.
«Sciocca gattina, ti buscherai un raffreddore» la rimproverò, e la baciò con affetto. «Torna subito a letto, tesoruccio.»
«Non posso aiutarti a fare i bagagli?» chiese lei con aria sconsolata.
dp n="17" folio="15" ? «Ci penseranno i miei servi, ma se vuoi puoi assistere.»
Stavolta uno schiavo li precedette portando un massiccio candeliere; camminando a fianco di Pompeo, Antistia (che aveva sempre in mano il suo piccolo lume) entrò nella stanza in cui lui teneva l’equipaggiamento militare. Una raccolta impressionante. Ben dieci diverse corazze complete pendevano da alcuni pali a forma di T – corazze d’oro, d’argento, d’acciaio, di cuoio legate con phalerae o borchie metalliche – e spade ed elmi pendevano da ganci alle pareti, insieme alle parti inferiori delle armature, specie di gonnellini fatti di strisce di cuoio, e a vari tipi d’indumenti protettivi imbottiti.
«Ora mettiti qui e fa’ il bravo topolino silenzioso» disse Pompeo sollevando la moglie come una piuma e depositandola sopra un paio di grandi casse, con i piedi che ciondolavano nel vuoto.
E lì venne dimenticata. Pompeo e i suoi schiavi esaminarono i capi a uno a uno – poteva essere utile, sarebbe stato indispensabile? Quando infine ebbe saccheggiato tutti gli altri bauli sparsi nella stanza, Pompeo trasferì distrattamente sua moglie su un altro trespolo per frugare nelle due casse sulle quali era stata seduta, lanciando vari oggetti agli schiavi in attesa, e parlottando tra sé con un’aria talmente felice che Antistia non si fece alcuna illusione sul fatto che potesse sentire la mancanza della moglie, della casa e della vita di tutti i giorni. Naturalmente aveva sempre saputo che Pompeo si considerava innanzitutto e soprattutto un soldato, che disprezzava le normali occupazioni dei suoi pari – la retorica, il diritto, l’amministrazione statale, le assemblee, gli intrecci e le trame della politica. Quante volte gli aveva sentito dire che sarebbe balzato sul seggio d’avorio del consolato grazie alla propria lancia, e non alle belle parole e alle vuote frasi? Ecco che adesso metteva in pratica quelle vanterie, e il figlio guerriero di un padre guerriero partiva per la guerra.
Appena l’ultimo schiavo uscì dalla stanza barcollando sotto una caterva di accessori, Antistia si lasciò scivolare a terra e affrontò il marito.
«Prima che tu parta, Magnus, devo parlarti» disse.
Era evidente che lui considerava la richiesta uno spreco del proprio tempo prezioso, ma si fermò. «Be’, di che si tratta?»
«Quanto tempo starai lontano?»
«Non ne ho la minima idea» rispose lui allegramente.
«Qualche mese? Un anno?»
«Qualche mese, credo. Silla annienterà Carbone.»
«Allora vorrei tornare a Roma e vivere a casa di mio padre, durante la tua assenza.»
dp n="18" folio="16" ? Ma lui scosse la testa, evidentemente stupefatto da quella richiesta. «Neanche per sogno!» esclamò. «Non permetto che mia moglie se ne vada in giro nella Roma di Carbone mentre io combatto a fianco...
Indice dei contenuti
- Copertina
- Frontespizio
- Parte I - Aprile 83 a.C. - Dicembre 82 a.C.
- Parte II - Dicembre 82 a.C. - Maggio 81 a.C.
- Parte III - Gennaio 81 a.C. - Sestile (agosto) 80 a.C.
- Parte IV - Ottobre 80 a.C. – Maggio 79 a.C.
- Parte V - Sestile (agosto) 80 a.C. – Sestile (agosto) 77 a.C.
- Parte VI - Settembre 77 a.C. - Inverno 72-71 a.C.
- Parte VII - Settembre 78 a.C. – Giugno 71 a.C.
- Parte VIII - Maggio 71 a.C. – Marzo 69 a.C.