
- 224 pagine
- Italian
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Adolphe
Informazioni su questo libro
Un giovane uomo, cinico e arido, si invaghisce di una signora più matura, la bella Ellénore. Ricambiato, comincia a sentirsi prigioniero: di una donna che non ama come vorrebbe; di una relazione che vincola la sua libertà ; di un destino segnato per sempre. Constant si rispecchia nella figura di un eroe ambiguo e fascinoso e nella tormentata vicenda di un amore che sa svelare, assieme alle virtù, i limiti degli amanti, ricreando la propria storia in un percorso tra memoria e finzione. Manifesto del Romanticismo europeo, "Adolphe" è un'opera di lucida secchezza e intriganti spunti autobiografici, cui è affidata la fama letteraria di un intellettuale tra i più raffinati e complessi della sua epoca.
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Informazioni
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9788817004954eBook ISBN
9788858650660INTRODUZIONE
LA TENTAZIONE AUTOBIOGRAFICA
Ci sono opere in perfetta sintonia con il proprio tempo, che ne esprimono princìpi, aspirazioni e anche disvalori in una sorta di transfert metonimico tenacemente impresso nella coscienza dei lettori, altre invece, sospinte da un’incessante deriva del senso, travalicano le situazioni storiche, infrangono i codici letterari e le forme narrative tradizionali, incorrendo nell’incomprensione dei contemporanei. Stendhal, per esempio, proiettava oltre la durata della propria vita le sue più che legittime aspettative di successo. Refrattario allo stile del tempo, che considerava pieno di falsità , spietatamente critico nei confronti di mostri sacri del calibro di Chateaubriand, guardava al 1880 come ad una soglia idealmente propizia al riconoscimento delle sue qualità di scrittore «senza affettazione» e soprattutto «vero».1 Allo stesso modo Constant, riflettendo sulla destinazione futura della sua grande produzione sommersa, allorché nel 1810 ne predisponeva accuratamente una copia, si risarciva moralmente della mancata pubblicazione, immaginando che un tempo diverso dal suo ne avrebbe saputo trarre il giusto profitto.2
Ora, nel limbo degli inediti in attesa di pubblicazione, assieme ai grandi trattati politici, vi era anche Adolphe, manifesto unanimemente riconosciuto del Romanticismo europeo, alla stessa stregua di René, Corinne e Oberman. Specchio del proprio tempo per le problematiche trattate e tuttavia al riparo dalla caducità di una eccessiva contestualizzazione, storia di un individuo, più orientata ad illustrare talune leggi generali della natura umana che a definire un caso, il romanzo di Constant rivela una vocazione transtemporale che ne rende il messaggio d’indubbia modernità . Ciò nonostante l’iter creativo che conduce alla pubblicazione di Adolphe è lastricato di «frammenti di vita» e appare, per questo motivo, sostanzialmente sbilanciato in senso autobiografico.
Prima di Adolphe esiste, infatti, un unico progetto narrativo, che Constant annuncia a Isabelle de Charrière nel 1787,3 riproponendolo di lì a poco in versione epistolare per una sola voce, ovviamente la propria («perché tutte queste persone che volevano parlare al mio posto mi facevano perdere la pazienza»),4 con il titolo chiaramente allusivo di Lettres écrites de Patterdale à Paris dans l’été de 1787, adressées à Mme de Charrière de Zuylen, semplice intento o redazione incompiuta, di cui non rimane però alcuna traccia sicura.5 D’altro canto, un recente censimento effettuato in vista della pubblicazione delle opere complete ha evidenziato una sostanziale predominanza di reperti narrativi a carattere memorialistico. Sarebbe già del 1793, per esempio, ma anche in questo caso il testo non ci è pervenuto, un «abbozzo di storia della mia vita»6 che sembra prefigurare Ma Vie, anche se nulla ci permette di stabilire un sia pur minimo rapporto di filiazione tra l’autobiografia e questo ipotetico avantesto.
Il primo racconto retrospettivo accertato è invece del 1794. Conosciuto solo in tempi relativamente recenti con il nome di Narré,7 esso contiene un resoconto dettagliato delle vicende che indussero Constant a chiedere il divorzio dalla prima moglie, Minna von Cramm. Certo la contingenza conflittuale e la dichiarata finalità difensiva di questo scritto lo collocano ai margini del sistema letterario, tra le opere di circostanza, essendo, di fatto, più simile negli intenti alle petizioni scritte in difesa del padre8 che a un racconto di natura autobiografica, in cui gli eventi traggono significato soprattutto dalla logica interna al testo.
Di questa duplice valenza referenziale e letteraria sarà tuttavia opportuno tenere conto, non solo perché in essa si rispecchiano le due principali articolazioni della ricerca constantiana, il pragmatismo politico e la riflessione filosofica, ma anche perché i testi letterari, siano essi racconti di memoria o di pura finzione, appaiono determinati, nella fase inaugurale, da una precisa motivazione di ordine pratico o psicologico che conferisce un carattere d’urgenza alla loro realizzazione. Come il discorso politico coniuga saldamente i riferimenti al contesto, gli enunciati che lo costituiscono e gli scopi che lo sottendono in funzione dei risultati da ottenere, allo stesso modo il testo letterario conserva la traccia di questo pragmatismo, adibito nella fattispecie a uso autoriflessivo.
L’incipit di Amélie et Germaine illustra perfettamente questo percorso: «Mi trovo attualmente in una di quelle crisi del cuore e della mente che più di una volta mi hanno sconvolto la vita, hanno compromesso tutte le mie relazioni, trasportandomi in un mondo nuovo... ».9 In questo testo dallo statuto narrativo incerto, redatto in forma diaristica nel 1803 e tuttavia suddiviso in paragrafi come un romanzo, Constant dichiara in primo luogo il motivo che ne ha reso, di necessità , improrogabile la redazione — il suo rapporto ormai logoro con Mme de Staël —; quindi espone e sviluppa l’oggetto della trattazione — l’opportunità di sposare la giovane Amélie Fabbri —; e predispone infine ad uso personale una serie di strategie persuasive assolutamente contraddittorie, che lo confinano in una situazione di stallo psicologico da cui uscirà solo abbandonando letteralmente il campo: «Me ne sono andato. Sono dieci giorni che non vedo Amélie. Il ricordo di lei è alquanto debole. Rivedrò altre persone che ben diversamente mi hanno agitato l’animo, e già sento l’influenza di quel mondo in cui non tarderò a rientrare».10 Il carattere pragmatico di questo testo è confermato inoltre da un’osservazione desunta dall’analisi materiale del manoscritto,11 i cui fogli sono redatti interamente, fatta eccezione per la lettera indirizzata ad Amélie, come se lo scrittore, prevedendo a breve termine alcuni interventi correttivi, si fosse riservato a questo scopo il margine necessario. Essendo inserita nel corpo di un racconto continuo è più che legittimo chiedersi se questa lettera non fosse realmente destinata ad Amélie e quindi soggetta a ripensamenti dell’ultimo momento.
Questo significherebbe che il filo della narrazione, per quanto leggermente sfasato rispetto allo sviluppo degli eventi, tende a inglobare il tempo presente anche nella sua dimensione prospettiva. Per cui vita e letteratura si compenetrano ed interagiscono. Se la prima incide sul racconto, quest’ultimo, trasformandosi in banco di prova del reale, mostra di farsi carico dei problemi contingenti.
D’altronde Amélie et Germaine non costituisce un caso isolato. Percorrendo i Journaux intimes, in rapporto alla genesi di Adolphe, è possibile osservare che eventi fittizi e reali entrano sovente in risonanza con un effetto di duplicazione talvolta estraniante. Constant vi registra le principali fasi del suo «delirio d’amore» per Charlotte de Hardenberg («Voglio Charlotte, la voglio ad ogni costo», J., 26 ottobre 1806)12 e, contestualmente, il suo progetto di scrivere un romanzo; vi spiega le ragioni di fondo dei suoi repentini disincanti («Mi faccio amare da donne che non amo. Poi improvvisamente l’amore si leva come un turbine nel mio cuore e il risultato di un legame, che avevo inteso intrecciare solo allo scopo di non annoiarmi, finisce per sconvolgermi la vita», J., 27 ottobre 1806); teorizza strategie indolori di comportamento («Bisogna arrecare il minor male possibile», J., 30 ottobre 1806); esibisce senza mezzi termini la propria impotenza ad agire, crogiolandosi nell’illusione che ad altri spetti il compito dell’iniziativa («Prenderà [Mme de Staël] la decisione di rompere?», J., 1 gennaio 1807); finisce per tradire, in definitiva, una totale dismissione dalle proprie responsabilità , pur proclamando a gran voce l’ineluttabilità della rottura («Quanto al mio progetto, voglio scrivere a mio padre che mi chieda di andarlo a trovare. Una volta fuori, non rientrerò più in questa gabbia di ferro», J., 30 dicembre 1806).
Ora, in questi pochi frammenti dettati dall’incalzare delle vicissitudini personali, sono iscritte le linee essenziali dell’articolazione narrativa di Adolphe. L’evento fittizio vi appare talmente imbricato che una sua incidenza sull’evoluzione delle azioni di Constant non può essere esclusa a priori. Anzi la contiguità del doppio registro funge da amplificatore dell’esperienza letteraria e individuale. I due percorsi sono sostanzialmente speculari, cosicché può persino accadere che il referente convocato nel testo risulti ambiguo: «La lettura di ieri [di Adolphe] mi ha provato che a fornire delle motivazioni non ci si guadagna per niente. Bisogna rompere e basta. Gli altri dicano pure ciò che vogliono» (J., 25 febbraio 1807). Sarà Ellénore oppure Mme de Staël la destinataria implicita di questa annotazione diaristica? Indubbiamente entrambe. Tuttavia questa coincidenza non eccede la mera registrazione giornaliera dei fatti. Se i Journaux intimes annunciano un possibile percorso narrativo, il romanzo in realtà trascende l’esperienza vissuta e non autorizza, malgrado talune innegabili affinità , una lettura in chiave autobiografica. Adolphe si presenta piuttosto, e avremo modo di constatarlo, come la felice deviazione di un progetto memorialistico mirato, a sua volta inserito in un’esperienza narrativa condotta principalmente all’insegna della soggettività .
Ma Vie, autobiografia a pieno titolo, potrebbe costituire anch’essa, a rigor di termini, un lacerto narrativo di quel corpus più ampio, poi abbandonato, da cui prenderà vita Adolphe, un frammento forse solo rimaneggiato o addirittura riscritto nel 1811 nella forma dell’autografo pervenutoci.
Lo stesso tipo di considerazione può essere avanzato per Cécile. Le testimonianze contemporanee di Pagès e di Coulmann, che conobbero personalmente Constant, confermano la sua intenzione, di fatto mai realizzata, di fondere in un unico corpo, secondo un progetto originario, le due anime separate di Cécile e Adolphe. Secondo Pagès, infatti: «La dolce e lunga pace che gli procurò il matrimonio con Charlotte de Hardenberg gli ispirò il romanzo Cécile, episodio di Adolphe, che lo concludeva come la calma segue l’uragano e dal quale egli lo separò tuttavia a malincuore, su consiglio di Lady Holland, per non frammentarne l’interesse».13 La redazione di Cécile si situa attorno agli anni 1810-11, ma i due testi hanno certamente avuto un’origine comune, cosicché non si può escludere che la versione pervenutaci possa essere il rimaneggiamento di uno stadio di scrittura precedente e, più precisamente, di quel romanzo incentrato su Charlotte rapidamente sacrificato all’aneddoto di Ellénore.
Restano da prendere in considerazione i misteriosi Carnets che ci sono pervenuti grazie a una trascrizione di Sainte-Beuve.14 A esclusione dell’infanzia e della prima giovinezza, già trattate in Ma vie, essi ripercorrono la vita dell’autore dal suo soggiorno a Brunswich, interrompendosi bruscamente il 3 ottobre 1815. È stato affermato che questa rapida cronologia fu iniziata allorché Constant non poteva più disporre dei suoi Journaux intimes. In realtà , l’ipotesi non è convalidata dai fatti. Constant se ne separerà soltanto l’anno dopo, a Bruxelles, al momento di rientrare in Francia per lanciarsi nell’avventura politica della Restaurazione. Inoltre la trascrizione sintetica degli eventi e l’importanza accordata ad alcuni a discapito di altri suggeriscono un progetto autobiografico mirato, piuttosto che la registrazione indiscriminata di fatti giornalieri, tipica della scrittura diaristica.
Non mancano dunque le prove di una decisa propensione di Constant per il racconto retrospettivo e la rievocazione puntuale. Nell’intento di mostrare le origini e il perdurare della vocazione romanzesca accanto a quella più marcatamente autobiografica, Carlo Pellegrini, in un noto saggio su Constant,15 faceva osservare come i Journaux intimes contengano ritratti e puntualizzazioni di episodi salienti che annunciano una retorica narrativa di tipo fittizio. Tuttavia, ancor più che la commistione di generi diversi, assai frequente in questo tipo di scrittura, colpisce l’irregolarità della misura ritmica, dovuta all’intrusione di racconti di diversa ampiezza che ne modificano la normale scansione sincopata. Assai regolarmente, soprattutto in occasione della propria ricorrenza genetliaca, Constant inserisce nei Journaux intimes alcune analessi di diversa ampiezza, che rallentano il fluire sostenuto della narrazione, costituendosi in racconto autonomo: cellule generative accuratamente predisposte all’interno di un discorso refrattario al principio di coerenza come quello dei Journaux intimes, e tuttavia destinate a prendere corpo un giorno in un progetto autobiografico preciso. Alla data del 25 ottobre 1804, per esempio, Constant apre una lunga parentesi retrospettiva: «E il giorno della mia nascita. Oggi compio trentasette anni. La parte migliore della mia vita è già trascorsa». Segue un resoconto dei suoi studi, amori e follie che oltrepassa il limite cronologico di Ma vie, lasciando presagire un racconto autobiografico di più ampie proporzioni.
Ritornando all’argomentazione di Carlo Pellegrini, sembra dunque di poter affermare che la genesi della pratica romanzesca in Constant è riscontrabile non tanto nelle deroghe alla scrittura diaristica, ma proprio nella sua logica interna, nelle sue potenzialità narrative, in quella sua capacità di organizzarsi in sequenze autonome: «Questo mio diario è una specie di storia, e io ho bisogno della mia storia, come se si trattasse di quella di un altro, per non scordarmi continuamente di me stesso, per non ignorarmi» (J., 21 dicembre 1804). D’altro canto, Adolphe è virtualmente iscritto nei diversi livelli di fabulazione che caratterizzano il racconto di memoria. Perfino nel più autoriflessivo dei generi da lui adottati, i Journaux intimes, troviamo considerazioni che tradiscono un suo rapporto problematico con il linguaggio e ricusano alla parola letteraria ogni velleità di trasparenza: «Quando ho iniziato [il diario] mi sono imposto, come regola, di scrivere tutto ciò che avrei provato. E, questa regola, l’ho osservata meglio che ho potuto; pure, l’abitudine di parlare a beneficio della platea è tanto forte che qualche volta non l’ho interamente rispettata. [...] S’indossa un carattere come si indossa un abito, per ricevere degli ospiti» (J., 18 dicembre 1804). Allo stesso modo il racconto autobiografico, breve parentesi diaristica o testo separato come Ma vie o Cécile, mette in campo un io narrante che muta in funzione dei destinatari e delle circostanze redazionali, una costruzione testuale che eccede semanticamente il proprio referente, di gran lunga più simile a un originale d’invenzione che a una copia del reale.
Profondamente radicato in questo humus esistenziale («È pur vero che il mio non è un racconto di fantasia. Non ignara mali», J., 28 dicembre 1806), il romanzo che prenderà il nome di Adolphe intraprende sulle prime un percorso tangenziale tra memoria e finzione. L’autobiografia cede assai rapidamente il passo all’invenzione in una sorta di compromesso che, senza escluderla, la confina tuttavia in una zona d’ombra, dietro le quinte dell’opera, tra quei materiali di costruzione messi da parte o così radicalmente trasformati da apparire irriconoscibili e, in ogni caso, poco pertinenti ai fini dell’esegesi. In un certo senso Constant continua a raccontarsi, ma lo fa ricreando la propria storia, proiettandosi in quella dimensione di molteplicità indefinibile che caratterizza la grande letteratura. Può essere interessante osservare come Adolphe traduca in maniera significativa, trasferendolo dal piano discorsivo a quello estetico, uno degli assunti più caratterizzanti del personaggio protagonista, la sua cosiddetta centralità diffratta («non mi interessavo che di me, ma mi interessavo fiaccamente anche di me stesso»), fondendo in tal modo coerenza narrativa e intento poetico in una sorta di precipitato testuale che riflette l’intera dialettica del romanzo.
UNA GENESI CONTROVERSA
È possibile ricostruire le tappe essenziali della genesi di Adolphe grazie a talune rapide annotazioni contenute nei Journaux intimes. Esse ci forniscono utili informazioni sui tempi della redazione, sul coinvolgimento dell’autore durante le diverse fasi della stesura, sulle prime reazioni alle letture pubbliche del romanzo. Ci lasciano altresì intravedere un travaglio sul piano formale che purtroppo non può essere elucidato a dovere per mancanza di testimonianze esaurienti. Come spesso succede, anche in questo caso l’evasività documentaria è compensata dalla sovrabbondanza delle ipotesi, talvolta ingegnose e verosimili, spesso fuorvianti o abusive. Che la storia lacunosa della genesi di Adolphe costituisca di per sé un invito alle interpolazioni critiche, è più che comprensibile. Si tratta in definitiva di ricreare un percorso in cui testimonianze e documenti trovino una loro plausibile collocazione nel rispetto di quel principio di coerenza che informa ogni progetto letterario. Cerchiamo di ricostruire a nostra volta questo percorso.
Alla data del 30 ottobre 1806, Constant registra nei suoi Journaux intimes l’atto di nascita di «un romanzo che sarà la nostr...
Indice dei contenuti
- Copertina
- Frontespizio
- Copyright
- INTRODUZIONE
- GIUDIZI CRITICI
- CRONOLOGIA DELLA VITA E DELLE OPERE
- BIBLIOGRAFIA
- PREFAZIONE ALLA SECONDA EDIZIONE OVVERO SAGGIO SUL CARATTERE E IL RISULTATO MORALE DELL’OPERA
- PREFAZIONE ALLA TERZA EDIZIONE
- AVVERTENZA DELL’EDITORE
- CAPITOLO I
- CAPITOLO II
- CAPITOLO III
- CAPITOLO IV
- CAPITOLO V
- CAPITOLO VI
- CAPITOLO VII
- CAPITOLO VIII
- CAPITOLO IX
- CAPITOLO X
- LETTERA ALL’EDITORE
- RISPOSTA