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Inizia la storia
Le stelle, per chi ci crede – e Mario Draghi non è fra questi –, hanno puntato su di lui. Nato sotto il segno della Vergine con l’ascendente nel Capricorno, ha potuto contare su “temperanza, serietà, pulizia morale, rispetto delle regole, razionalità logica, forza di carattere, senso di comando”. E anche su un personalissimo carisma, uno charme frutto della “strettissima congiunzione del Sole a Venere”. Caratteristiche di spicco che, astri o non astri, gli hanno comunque fatto comodo nel corso della vita.
È nato a Roma nel quartiere Pinciano e ha condiviso l’infanzia con la sorella Andreina e il fratello Marcello, più giovani di lui. I genitori, scomparsi a pochi anni di distanza quando i ragazzi erano ancora adolescenti, venivano l’uno, il padre Carlo, dal Nord, da Padova, l’altra, la mamma Gilda, farmacista, dal Sud, dalla terra irpina. E certo il papà, un uomo dell’altro secolo che aveva partecipato giovanissimo alla Grande Guerra, ricevendo per i suoi meriti il grado di capitano a soli 19 anni e la decorazione con medaglia d’argento, ha lasciato un segno preciso in quella che sarebbe stata la strada professionale del figlio maggiore.
Il primo impiego di Carlo Draghi era stato infatti proprio in Banca d’Italia, dove era entrato come volontario, che era il primo grado della carriera, nel 1922. I registri dell’epoca segnalano che il suo stipendio d’ingresso era di 200 lire. Quando ne uscì dodici anni dopo, per passare all’Iri, guadagnava 11 mila lire e aveva collaborato con Donato Menichella, che a quei tempi si occupava delle pratiche relative alla liquidazione della Banca italiana di sconto.
La carriera, però, Carlo l’ha fatta in Bnl, dove era arrivato, dopo il passaggio per l’Iri, alla guida della sezione speciale per il credito e la cooperazione e, in seguito allo sbarco degli alleati nel ’45, era stato fra i protagonisti del rilancio della banca dopo il fascismo.
I fatti furono questi: dopo la liberazione di Roma, il nome dell’allora direttore generale della Banca nazionale del lavoro, Domenico De Ritiis, che pure vantava rapporti con i centri antifascisti in esilio, era comparso nelle liste dei collaboratori dell’Ovra, la polizia segreta fascista. Avevano quindi preso corpo e via via si erano rafforzate le spinte per una liquidazione o uno smembramento della banca che veniva considerata, in particolare nel mondo anglosassone, strettamente legata al regime di Mussolini.
Un gruppo di dirigenti, tra i quali appunto Carlo Draghi, riuscì tuttavia a ottenere, nel novembre del ’45, la nomina a direttore generale dell’ingegner Imbriani Longo, proveniente dall’Iri, che fu il principale artefice della crescita della Bnl negli anni del miracolo economico. Tra il ’46 e il ’48 Carlo Draghi divenne poi segretario del Collegio commissariale dell’istituto di credito, che sostituiva il Consiglio di amministrazione.
Un anno dopo la sua morte, avvenuta nel 1963, la famiglia, con il grande impegno della moglie Gilda, ha raccolto e fatto pubblicare i suoi Scritti di tecnica bancaria con la presentazione di Alberto De Stefani, economista, ministro delle Finanze e del Tesoro del governo Mussolini dal 1922 al 1925, poi docente e commentatore.
Al padre Draghi ha dedicato uno dei rari ma intensi ricordi dell’infanzia: “A cavallo tra le due guerre, in Germania, mio padre vide un’iscrizione su un monumento. C’era scritto: se hai perso il denaro non hai perso niente, perché con un buon affare lo puoi recuperare; se hai perso l’onore, hai perso molto, ma con un atto eroico lo potrai riavere; ma se hai perso il coraggio, hai perso tutto”.
Ed è così che il coraggio è diventato un elemento costante delle sue esortazioni da governatore: “Noi ne abbiamo, forse è sparso, spesso non sappiamo neanche di averne tanto; ma questo coraggio, insieme con la condivisione di fondo della diagnosi e delle terapie per i nostri problemi, è il terreno da cui partire assieme, per andare, pur senza negarli, oltre gli individualismi, per rilanciare la crescita”, ha detto dopo aver riferito l’insegnamento paterno, a Rimini, davanti alla platea del meeting di Comunione e Liberazione il 29 agosto del 2010, dove era andato per la prima volta per parlare delle difficoltà del mondo giovanile.
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In Veneto, i Draghi avevano e hanno tutt’ora una villa a Stra, il paese lungo la riviera del Brenta dove viveva la zia Giuseppina che, ricordano gli anziani del paese, considerava speciale quel suo nipote.
I ragazzi passavano là le vacanze e in una delle tante serate estive, a casa di amici, Mario ha incontrato la futura moglie. Aveva 19 anni e Serena Cappello qualcuno di meno. Da allora non si sono più lasciati, anche se hanno aspettato sette anni, quelli del completamento degli studi, per sposarsi nella cappella della villa dei Cappello, discendenti di Bianca, sposa del Granduca di Toscana Francesco de’ Medici. Festa di nozze a Villa Antonibon Cappello, ma niente luna di miele. Il viaggio sì, quello lo hanno fatto, per Boston dove Mario si stava specializzando per ottenere il suo dottorato.
Serena, laureata a Venezia in letteratura inglese, ha sempre seguito il marito, mettendo su casa e traslocando in giro per il mondo, con discrezione e, come racconta chi la conosce meglio, con tanta allegria.
L’understatement è un vizio di famiglia per i Draghi. La figlia maggiore Federica, nata a Boston, è apparsa solo una volta accanto al padre ad ascoltarlo in una conferenza all’Università Cattolica di Milano, la città dove vive. Anche lei cittadina del mondo, ha studiato biochimica e business negli Usa ed è diventata una brillante dirigente di una multinazionale biotech. Ha avuto una bimba e Mario Draghi è diventato nonno, un nonno felice come tanti altri, solo più impegnato.
Il figlio minore, Giacomo, è apparso alle cronache per le sue nozze, fotografato accanto alla neomoglie Valentina, nel duomo di Città della Pieve. E per un aneddoto: la sua festa di laurea – in economia, presa alla Bocconi con Francesco Giavazzi, docente e commentatore, amico da sempre del governatore – si è svolta non in un locale esclusivo bensì in una frequentatissima pizzeria milanese. Per lui l’attività di trader e la carriera in Morgan Stanley a Londra.
Quanto al resto della famiglia, la sorella Andreina è un’apprezzata storica dell’arte che nel 1999 ha portato alla luce un ciclo di affreschi medievali nel complesso dei Santi Quattro Coronati a Roma, alle spalle della basilica di San Giovanni. Il fratello Marcello condivide con Mario la passione per lo sport e fa l’imprenditore.
Supermario
Mario Draghi non ama i soprannomi che gli sono stati via via dati nel corso della sua carriera. Reagisce infastidito quando se ne fa cenno. Il signor Altrove, Supermario, l’Americano, l’Atermico e ora il Prussiano.
Il primo appellativo, tradotto da Reuters “Mister where is he?”, risale ai tempi in cui era direttore generale del Tesoro e non si sa se a darglielo sia stata spiritosamente la moglie o Lamberto Dini, il quale, quando da ministro doveva partecipare ai vertici internazionali, voleva avere sempre accanto il suo direttore generale che gestiva i dossier degli incontri.
Il fatto è che Draghi ha una marcia in più e non solo in relazione alle sue capacità, ma anche alla sua velocità. È rapido, non ama i tempi morti e quando magari gli altri sono ancora intenti a esaminare una questione lui ha già completato l’approfondimento ed è passato ad affrontare la successiva. “Sa qual è la differenza tra noi? Che lei usa l’ascensore e noi le scale, per cui diventa faticoso seguirla” gli disse un parlamentare nel corso di un’audizione per giustificare l’ennesima richiesta di spiegazione di una norma tecnica difficile da capire.
Per Draghi comunque la velocità e l’organizzazione sono anche un fatto di disciplina, necessaria se, come capita a lui, si deve far fronte a molti impegni che richiedono concentrazione. Quando sale su un aereo per i continui viaggi di lavoro, per prima cosa guarda l’orologio e quindi si organizza anche il sonno. Lo ha imparato quando, nel periodo in cui era dirigente della Goldman Sachs, doveva fare avanti e indietro tra la City e Wall Street.
Poi non gli piace perdere tempo. Ne sanno qualcosa gli addetti al cerimoniale della Banca d’Italia che spesso hanno dovuto anticipare gli orari dell’aereo e trovare itinerari complicatissimi, per consentirgli di partire non appena una riunione era finita e di arrivare alla meta il prima possibile.
Difficile stargli dietro. Anche perché, proprio per evitare intralci, Draghi viaggia con meno bagaglio possibile al seguito, generalmente un trolley, che si porta da solo per limitare i ritardi. Di questa sua rapidità nell’agire approfitta per sfuggire agli impegni che non lo appassionano o che non sono di stretto rigore. In questi casi fissa lui i tempi ed è difficile fargli cambiare idea.
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Mario Draghi è un pragmatico che ha fatto del suo pragmatismo quasi una forma di snobismo. Nel settembre del 2007 ha sorpreso tutti prendendo il primo treno in partenza, un intercity da Brescia a Milano, invece di rischiare il traffico di un viaggio nell’automobile d’ordinanza. Quella volta ha acquistato un biglietto di prima classe, ma in un’altra occasione, tornando a Roma da Verona, si è seduto tranquillamente in seconda classe dove c’erano più posti disponibili. Non ha disdegnato neanche il viaggio low cost quando si è rivelato il più comodo e il più rapido.
Draghi veste sempre di blu e indossa la camicia bianca senza gemelli. La ricerca del colore è nelle cravatte classiche, che alterna in estate e in inverno.
Solo una volta è stato visto, in situazioni ufficiali, con il primo bottone del colletto della camicia sbottonato: ma lo avevano anche gli altri governatori e ministri presenti al G7 finanziario di Osaka, nel caldo di giugno del 2008, per seguire tutti assieme l’indicazione giapponese di vestirsi leggeri per evitare di consumare troppa energia elettrica con l’aria condizionata a tutta potenza.
Non porta mai il cappotto. Tanto che circola l’aneddoto che, incontrandolo per la prima volta in un giorno di inverno, il futuro suocero, credendolo povero, gli offrì dei soldi perché si comprasse un soprabito.
Si dice quindi che non soffra né il caldo né il freddo. Ma non è vero, o meglio non è vero del tutto, perché anche in questo caso potrebbe essere il suo spirito pratico a influenzarlo, a suggerirgli di non portarsi dietro, soprattutto nelle riunioni ufficiali, un impiccio in più da lasciare e riprendere nei guardaroba. Senza contare che tale abitudine era in voga nei campus delle università americane che Draghi ha frequentato dopo la laurea romana.
Anche il presidente della Federal Reserve, Ben Bernanke, che ha frequentato come il governatore italiano il Mit di Boston, o il segretario al Tesoro Usa Tim Geithner girano spesso senza cappotto. Basta evitare – ed è il loro caso – di stare troppo all’esterno e utilizzare l’auto anche per i tragitti più brevi.
Quanto a Draghi, in occasione del G20 finanziario che si è svolto nel febbraio del 2010 a Iqaluit, a 200 chilometri dal circolo polare artico, per gli spostamenti in quell’affascinante angolo di mondo completamente coperto dal ghiaccio indossava maglione, pantaloni di velluto e un vero giaccone antifreddo con tanto di cappuccio imbottito e ornato di pelo, messo a disposizione dei ministri e dei governatori dal governo canadese. E nelle giornate fredde di Bruxelles e Basilea, dove si reca mensilmente per partecipare alla riunione della Bri, la Banca dei regolamenti internazionali, sfoggia una sciarpa, blu anch’essa, attorno al collo.
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Il terzo presidente di Eurotower, il grattacielo sede della Bce a Francoforte, ha anche la fama di essere un freddo che non si lascia trascinare dalle emozioni. E certo è incredibile, per chi ha avuto l’occasione di seguirlo in convegni o in dibattiti che richiedono pause di attesa per i partecipanti sul palco, vedere come riesca a rimanere impassibile, senza muovere un muscolo per ore.
Forse è perché si annoia o molto più probabilmente perché ha imparato che per risolvere i problemi bisogna essere il più possibile prudenti e distaccati e fa esercizio quando può.
“Anche gli economisti hanno un cuore” ha però smentito lui descrivendo, in una delle pochissime interviste rilasciate nel corso degli anni, al direttore del Corriere della Sera Ferruccio de Bortoli, la particolare emozione che provava nel lasciare dopo dieci anni, nel 2001, la direzione generale del Tesoro dove aveva condotto la più grande operazione di privatizzazioni del paese.
Sa essere distaccato ma anche ironico, amante della battuta. Dipende da quanto è stanco. Con i giornalisti si dice timido. Della stampa ha grande rispetto, pensa che un’informazione corretta sia fondamentale per l’attività pubblica. Ma non si fida troppo. Ritiene che giornali, radio e tv possano modificare i toni delle cose dette nella ricerca della sensazionalità della notizia, cambiandone il significato. Timido? Forse, prudente certamente.
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Se Draghi vuole massimizzare il suo tempo è però anche per ritagliarsi spazi da dedicare al privato. Alla famiglia, allo sport e, fino a quando lo ha avuto, alle lunghe passeggiate col suo cane, un bracco ungherese, a Villa Borghese, vicino casa.
E poi lo sport. Ne ha sempre fatto tanto, dal basket al tennis, allo sci, alle camminate in montagna, con tanto di ferrate tra i rifugi alpini. Pratica jogging, spesso col fratello Marcello. Un colpo di telefono e nel giro di pochi minuti si trovano a correre a Villa Borghese, con l’idea, comune a tutti coloro che praticano tale attività, che l’importante sia tenersi in forma utilizzando anche il poco tempo che si ha a disposizione. Qualche anno fa, prima di diventare governatore, di tanto in tanto amava anche confondersi tra i podisti che abitualmente frequentano lo stadio dell’Acqua Acetosa a Roma.
Da qualche anno si dedica anche al golf. La cosa è risaputa tanto da aver provocato al suo arrivo in Banca d’Italia, nel gennaio 2006, una vera ondata di neo appassionati allo swing. Gioca quando può ed è iscritto al club più antico della capitale, l’Acquasanta; ha frequentato anche le 18 buche dell’Olgiata e in estate non disdegna il campo di Aprilia vicino alla casa che ha sul mare, a pochi chilometri da Roma, dove riunisce nei momenti di relax la famiglia, che si ritrova anche nel buen retiro da poco acquistato nella campagna umbra.
Gli piace il calcio e tifa per la Roma, squadra della capitale, anche se non va quasi mai allo stadio, dove comunque preferisce i posti in curva, i più popolari, in cui è più facile per lui passare inosservato e godersi la partita.
Con un occhio alla forma fisica, Draghi apprezza la buona cucina anche se nella ricerca dei ristoranti a Roma, oltre a sperimentare le novità, privilegia i luoghi più decentrati dove spera di non incontrare persone conosciute, alle quali è difficile sottrarsi per un saluto o per uno scambio di battute. All’estero capita anche di vederlo seduto da solo al tavolo, mentre a casa si dedica volentieri alla cucina.
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In giro per il mondo, dove si reca di continuo per i vertici internazionali, è facile incontrarlo nei musei e alle mostre. Non era raro anche che lasciasse il suo studio in Banca d’Italia per visitare una nuova esposizione nei prestigiosi musei vicini a via Nazionale, dove è la sede della Banca centrale italiana.
Ama l’arte ma ha congelato gli investimenti dell’Istituto in dipinti e opere perché, ha detto, non era il caso di impegnare risorse in quella direzione in un momento in cui la Banca stava cominciando a razionalizzare l’organizzazione e le spese.
È comunque grazie anche a lui che la Banca è riuscita a recuperare, avviandone il restauro, il monumentale fregio di Arturo Dazzi (1881-1966) dedicato alla “ricchezza e al benessere nazionale trionfante”, pesante 7 tonnellate, lungo 11 metri e alto 2,5. Opera che un tempo ornava il salone del pubblico nel Palazzo Nuovo della Banca d’Italia, in piazza del Parlamento a Roma, ma era stata abbandonata in un cortile dopo la ristrutturazione dello stabile in occasione del passaggio della proprietà al Banco di Santo Spirito, poi confluito nella Banca di Roma.
Quando è arrivato a Palazzo Koch, storica sede della Banca d’Italia in via Nazionale, Draghi ha rinnovato completamente il suo studio con un occhio all’arredamento minimale moderno e l’altro al classico. Alla sua passione per l’arte ha contribuito l’amicizia con l’economista e collezionista finlandese Pentti Kouri, conosciuto a Cambridge e scomparso nel 2009, di cui ama ricordare “le passeggiate assieme attraverso le collezioni e le aste d’arte” col piacere di provare “That willing suspension of disbelief”, quella volontaria sospensione dell’incredulità, per dirla con il poeta inglese Samuel Taylor Coleridge, che “sola ci può rendere liberi di penetrare nell’opera d’arte”.
Si deve ancora a Draghi l’apertura al pubblico di Palazzo Koch nelle giornate del Fai.
Costruito in stile neorinascimentale tra il 1888 e il 1892 dall’architetto Gaetano Koch, il cui progetto prevalse su quello presentato da Pio Piacentini, l’edificio occupa un intero isolato con il secentesco quartiere Monti alle spalle e il Quirinale di fronte. La storia della sua costruzione si intreccia con le vicende che hanno portato alla costituzione della stessa Banca d’Italia nel 1893 e con quelle, più generali, legate allo sviluppo urbanistico di Roma, nuova capitale del Regno a partire dal 1870.
Curiosando negli archivi della Banca si scopre infatti che la necessità di trasferire a Roma la Banca nazionale dello Stato sabaudo (progenitrice della Banca d’Italia) seguì la decisione della realizzazione di una nuova infrastruttura di comando del Regno d’Italia nella capitale, volutamente distinta da quella del precedente Stato pontificio. Tale strategia portò ad attribuire al Quirinale, residenza estiva dei papi, il rango di palazzo reale e a definire, con la costruzione dei principali nuovi ministeri – fra i quali in particolare quello del Tesoro – lungo la vicina via XX Settembre, un asse amministrativo che parte proprio dal Palazzo del Colle.
Studente
Se c’è un luogo in cui più di altri Mario Draghi si trova a suo agio questo è l’università o la scuola in genere, sede di insegnamento e apprendimento.
“Questo tipo di inviti è uno dei pochi che accetto sempre con piacere”, ha detto una volta, intervenendo ai festeggiamenti per il centenario della facoltà di Economia della Sapienza di Roma, dove ha preso la laurea col massimo di voti nel ’70. “Sono grato per il ritorno fra gli studenti” ha aggiunto, esprimendo così il suo attaccamento non solo alla memoria del suo periodo “scolastico” vissuto in entrambi i ruoli...