La chimica segreta degli incontri
eBook - ePub

La chimica segreta degli incontri

  1. 360 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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La chimica segreta degli incontri

Informazioni su questo libro

Londra, anni Cinquanta. Alice è una creatrice di profumi e le sue giornate scorrono tranquille, tra gli incontri con gli amici e le suggestioni che le sue essenze audaci sono in grado di evocare. Un pomeriggio d'inverno, però, dopo aver ascoltato le parole sibilline di una zingara incontrata in un luna park, la sua esistenza cambia improvvisamente. Anche se Alice non è il tipo di donna che crede nelle favole, si ritrova a compiere un viaggio inaspettato in Turchia per scoprire una fondamentale verità su se stessa. Solo quando avrà finalmente svelato il segreto che la accompagna da sempre, le verrà offerta la chiave della felicità e sarà pronta per incontrare l'amore, quello vero, che dura per sempre.

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Informazioni

Editore
BUR
Anno
2013
Print ISBN
9788817066488
eBook ISBN
9788858653487
La chimica segreta
degli incontri

Capitolo 1

Londra, venerdì 22 dicembre 1950
L’acquazzone tamburellava sul lucernario sopra il letto. Una fitta pioggia invernale. Ne sarebbe dovuta cadere ancora molta per lavare via dalla città tutto il sudiciume della guerra. La pace era tornata da cinque anni soltanto e la maggior parte dei quartieri mostrava ancora le ferite dei bombardamenti. La vita riprendeva il suo corso. Si razionava ancora, meno dell’anno precedente, ma abbastanza da continuare a rimpiangere i giorni in cui si poteva mangiare a sazietà e la carne non era solo in scatola.
Alice stava trascorrendo la serata in casa, con i suoi amici più cari. Sam, libraio da Harrington & Sons ed eccellente suonatore di contrabbasso. Anton, falegname e trombettista senza pari. Carol, infermiera da poco smobilitata e subito assunta presso l’ospedale di Chelsea. Eddy, che sbarcava il lunario cantando ai piedi delle scale di Victoria Station o nei pub, quando glielo permettevano.
Nel corso della serata fu lui a lanciare l’idea di fare una gita a Brighton, l’indomani. Il luna park sul molo aveva riaperto e, di sabato, ci sarebbe stato un sacco di movimento: un bel modo per festeggiare il Natale ormai alle porte.
Tutti avevano contato gli spiccioli in fondo alle tasche. Eddy aveva raccolto un po’ di soldi in un bar di Notting Hill. Anton aveva ricevuto dal suo principale una piccola gratifica di fine anno. Carol non aveva un soldo, ma non ne aveva mai e i suoi amici erano abituati a pagare per lei. Sam aveva venduto a una cliente americana appassionata di Virginia Woolf un’edizione originale della Crociera e una seconda edizione della Signora Dalloway, guadagnando in un giorno la paga di una settimana. Alice, dal canto suo, aveva messo da parte qualcosa. Si meritava un po’ di svago: aveva lavorato tutto l’anno con intensità maniacale e avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di trascorrere una bella giornata in compagnia degli amici.
Il vino portato da Anton sapeva di tappo e aveva un retrogusto di aceto, ma tutti ne avevano bevuto abbastanza da mettersi a cantare in coro, in tono un po’ più alto canzone dopo canzone… finché il vicino di pianerottolo, il signor Daldry, non aveva bussato alla porta.
Sam – gli altri non avevano avuto il coraggio di andare ad aprire – si era scusato: avrebbero smesso subito di fare baccano, del resto era ormai tardi e tutti si apprestavano a tornare a casa. Il signor Daldry aveva accettato le scuse, non senza dichiarare in tono sostenuto che lui chiedeva solo di poter dormire e avrebbe apprezzato molto se i vicini non avessero reso la cosa impossibile. Il palazzo vittoriano in cui abitavano non era stato progettato per ospitare un piano bar ed essere costretto a udire le conversazioni altrui attraverso i muri era già abbastanza seccante, aveva concluso. Poi se n’era tornato nel suo appartamento.
Gli amici di Alice si erano passati cappotti, sciarpe e berretti. Si erano salutati dandosi appuntamento per l’indomani mattina alle dieci a Victoria Station, sul binario del treno per Brighton.
Rimasta sola, Alice aveva fatto un po’ d’ordine nella grande stanza che, a seconda del momento della giornata, fungeva da laboratorio, sala da pranzo, salotto o camera da letto.
Era intenta a trasformare il divano in letto quando un pensiero le fece drizzare bruscamente la schiena. Con quale faccia tosta il suo vicino aveva osato interrompere la loro serata, con che diritto aveva fatto irruzione in quel modo a casa sua?, si chiese fissando con astio improvviso la porta dell’appartamento.
Afferrò lo scialle appeso all’attaccapanni, gettò una rapida occhiata al piccolo specchio dell’ingresso, lasciò perdere lo scialle che la invecchiava e, con passo deciso, andò a bussare alla porta del signor Daldry. Attese che lui le aprisse con le mani sui fianchi.
«Mi dica che è scoppiato un incendio e che la violenza con cui ha appena bussato alla mia porta è dovuta esclusivamente al nobile desiderio di salvare il suo vicino dalle fiamme» sospirò Daldry con aria vagamente disgustata.
«Tanto per cominciare, le undici di un venerdì sera non sono certo un orario impossibile e, in ogni caso, dal momento che io mi sorbisco ore di scale e arpeggi senza battere ciglio lei può ben sopportare un po’ di rumore, per una volta che qualcuno viene a trovarmi!»
«La correggo: i suoi rumorosi amici vengono a trovarla ogni venerdì; in più hanno la pessima abitudine di alzare sistematicamente il gomito, con effetti deleteri sulla qualità del mio sonno. E, per sua informazione, non possiedo alcun pianoforte: le scale che la disturbano tanto devono essere opera di qualcun altro, forse della signora del piano di sotto. Io sono un pittore, signorina, non un musicista, e la pittura ha il pregio di non fare rumore. Ah, com’era tranquilla questa casa prima che lei vi si trasferisse!»
«Lei dipinge? E cosa dipinge, signor Daldry?»
«Paesaggi urbani.»
«Buffo, non avrei mai immaginato che fosse un pittore, me la figuravo piuttosto…»
«Che cosa, signorina Pendelbury?»
«Mi chiamo Alice. Dovrebbe saperlo, visto che non le sfugge nulla delle mie conversazioni.»
«Non è colpa mia se le pareti sono di carta velina. Ora che ci siamo ufficialmente presentati, posso tornare a dormire o desidera continuare questo piacevolissimo scambio sul pianerottolo?»
Alice lo guardò per un lungo istante.
«Qual è il suo problema?»
«Prego?»
«Perché si compiace di essere così distante, così ostile? Tra vicini, potremmo anche fare un piccolo sforzo di civiltà, o almeno fingere.»
«Abito qui da molto prima di lei, signorina Pendelbury. Il giorno in cui si è trasferita nell’appartamento di fronte ho visto sfumare il progetto di appropriarmene; quel che è peggio la mia vita ha subito uno scossone, per usare un eufemismo, e la tranquillità è diventata un lontano ricordo. Quante volte è venuta a bussare alla mia porta perché aveva bisogno del sale, della farina o di un po’ di margarina, quando cucinava per i suoi cari amici, oppure di una candela, quando mancava la corrente? Non si è mai domandata se le sue continue intrusioni potessero disturbarmi?»
«Avrebbe voluto trasferirsi nel mio appartamento?»
«L’avrei trasformato in studio. Lei è l’unica in questo stabile a godere del privilegio di un lucernario. Ma dal momento che a quanto pare il suo fascino femminile ha fatto colpo sul padrone di casa, devo accontentarmi della poca luce che filtra dalle mie misere finestre.»
«Non ho mai incontrato il padrone di casa. Ho affittato l’appartamento tramite agenzia.»
«Possiamo concludere qui, per stasera?»
«È per questo, signor Daldry, perché ho avuto lo spazio che avrebbe desiderato per sé, che mi tratta con tanta freddezza?»
«Signorina Pendelbury, al momento l’unica cosa fredda qui sono i miei piedi. Il pianerottolo è pieno di spifferi. Se lei non ha nulla in contrario, preferirei rientrare onde evitare un raffreddore. Le auguro una buona notte: la mia sarà più breve del previsto, grazie a lei.»
E con ciò il signor Daldry chiuse la porta in faccia ad Alice.
«Che uomo impossibile!» borbottò lei girando sui tacchi.
«Guardi che l’ho sentita!» gridò lui di rimando da dietro la porta. «Arrivederci, signorina Pendelbury.»
Rientrata in casa, Alice fece una rapida toilette prima di andare a raggomitolarsi sotto le coperte. Daldry aveva ragione: l’inverno si era impossessato del vecchio edificio e l’impianto di riscaldamento tentava invano di far salire la colonnina di mercurio. Prese un libro dallo sgabello che usava come comodino, lesse qualche riga e lo rimise a posto. Spense la luce e aspettò che gli occhi si abituassero alla penombra. La pioggia batteva ancora sul lucernario. Alice rabbrividì e immaginò la terra fradicia nei boschi, le foglie in decomposizione nei querceti. Fece un respiro profondo e si sentì pervasa da una nota tiepida di humus.
Alice aveva un dono particolare. Il suo olfatto era straordinariamente sensibile, e questo le permetteva di cogliere ogni minimo sentore e di memorizzarlo per sempre. Trascorreva le sue giornate china sul lungo tavolo da lavoro sormontato da flaconcini di essenze disposti in scomparti sovrapposti, intenta a combinare molecole per ottenere l’accordo che forse un giorno sarebbe diventato un profumo. Alice era un «naso». Lavorava in proprio, e ogni mese faceva il giro dei profumieri di Londra per proporre le sue formule. La primavera precedente era riuscita a convincere un profumiere di Kensington a commercializzare una sua creazione. La sua «acqua di rosa canina» lo aveva sedotto all’istante e in seguito aveva ottenuto un certo successo presso la sua clientela altolocata. Questo le aveva garantito una piccola rendita mensile che le permetteva di vivere con maggiore agio rispetto agli anni precedenti.
Riaccese la lampada sullo sgabello-comodino e si sedette al tavolo da lavoro. Prese tre striscioline di carta che immerse nel liquido di altrettanti flaconi e, fino a tarda notte, ricopiò sul suo quaderno le note ottenute.
***
Il trillo della sveglia la strappò al sonno. Alice le lanciò contro il cuscino per farla tacere. Un sole velato illuminava la stanza.
«Maledetto lucernario» sospirò.
Poi si ricordò di un certo appuntamento a un certo binario e la voglia di crogiolarsi sotto le coperte le passò di colpo.
Saltò giù dal letto, prese dall’armadio i primi vestiti che le capitarono sotto mano e si precipitò sotto la doccia.
Uscendo di casa, controllò l’orologio: in autobus non sarebbe mai arrivata in tempo a Victoria Station. Fischiò per chiamare un taxi, salì a bordo e pregò l’autista di prendere l’itinerario più veloce.
Quando arrivò in stazione, mancavano solo cinque minuti alla partenza del treno e davanti alla biglietteria si snodava una lunga fila di viaggiatori.
Lanciò un’occhiata verso il binario e lo raggiunse di corsa.
Anton l’attendeva accanto al primo vagone.
«Ma dove diavolo ti eri cacciata? Avanti!» la esortò, aiutandola a montare sul predellino.
Alice prese posto nello scompartimento in cui la aspettavano gli altri.
«Secondo voi, quante probabilità ci sono che passi il controllore?» domandò con il fiatone.
«Ti darei volentieri il mio biglietto, se ne avessi uno» rise Eddy.
«Cinquanta e cinquanta» dichiarò Carol.
«Di sabato mattina? Mah, io sarei più ottimista. Comunque non possiamo far altro che restare a vedere» concluse Sam.
Alice appoggiò la testa contro il finestrino e chiuse gli occhi. Il viaggio da Londra alla cittadina di mare verso cui erano diretti durava un’ora. Dormì per tutto il tempo.
Stazione di Brighton: un controllore attendeva i viaggiatori al varco, in testa al binario. Alice si fermò davanti a lui e fece mostra di frugare nelle tasche. Eddy la imitò. Anton sorrise e consegnò un biglietto a ciascuno.
«Li avevo io» spiegò al controllore con disinvoltura.
Mise un braccio intorno alla vita di Alice e si avviò verso l’uscita della stazione.
«Non chiedermi come ho fatto a indovinare che saresti arrivata in ritardo. Tu sei sempre in ritardo! Quanto a Eddy, lo conosciamo bene: è un inguaribile scroccone. Ho preferito non rischiare che la nostra gita venisse rovinata prima ancora d’iniziare.»
Alice prese due scellini dalla tasca e li porse ad Anton, il quale però richiuse la mano dell’amica sulle due monetine.
«Lascia stare» disse. «La giornata passerà fin troppo in fretta, non c’è tempo da perdere!»
Alice lo guardò avviarsi con il suo passo elastico. Ebbe una visione fugace dell’adolescente che aveva conosciuto e sulle labbra le affiorò un sorriso.
«Allora, vieni?» la esortò lui, voltandosi.
Percorsero Queen’s Road e West Street, giù fino al lungomare. C’era già parecchia gente. Due grandi moli si protendevano sulle onde. Gli edifici in legno che li sormontavano li rendevano simili a immense navi.
Il luna park si trovava sul Palace Pier. Arrivarono ai piedi del grande orologio all’entrata. Anton comprò il biglietto per Eddy e fece segno ad Alice: aveva già pensato anche al suo.
«Non avrai intenzione di offrire per tutto il giorno?» gli sussurrò lei all’orecchio.
«Perché no, se mi fa piacere?»
«Perché non c’è nessun motivo per…»
«“Mi fa piacere” non ti pare una buona ragione?»
«Che ora è?» intervenne Eddy. «Ho fame.»
A pochi metri da lì, davanti all’imponente edificio in cui aveva sede il giardino d’inverno, c’era una bancarella di fish and chips. La puzza di fritto e aceto arrivava fino a loro. Eddy si diede un colpetto sulla pancia e trascinò Sam verso la bancarella. Alice si unì al gruppo con una smorfia di disgusto. Ognuno fece la sua ordinazione, Alice pagò il venditore e sorrise a Eddy porgendogli un cartoccio di pesce.
Mangiarono in piedi appoggiati al parapetto. Anton, silenzioso, guardava le onde insinuarsi fra i piloni del molo. Eddy e Sam discutevano di politica. Il passatempo preferito di Eddy consisteva nel criticare il governo. Accusava il primo ministro di non fare abbastanza per i più poveri, di non aver saputo intraprendere lavori di una certa portata che avrebbero accelerato la ricostruzione di Londra. Dopotutto, per risolvere la situazione sarebbe bastato assumere tutta la gente senza lavoro e a corto di cibo. Sam gli parlava di ec...

Indice dei contenuti

  1. Cover
  2. BUR
  3. Frontespizio
  4. La chimica segreta degli incontri
  5. Ringraziamenti