
- 105 pagine
- Italian
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eBook - ePub
La sfida
Informazioni su questo libro
Estate. Tempo di vacanze, di corse in bicicletta, di partite di calcio con gli amici. Non per Danny. Niente è più lo stesso a casa sua dalla sera in cui la mamma rientra scortata da due poliziotti. C'è stato un grave incidente, però la mamma non ne ha colpa. Ma è proprio così? E chi è la ragazzina dai capelli rossi che si presenta a casa loro e dichiara di sapere come stanno davvero le cose? John Boyne ci regala una nuova storia lancinante, in cui ancora una volta sono i bambini a deviare il corso degli eventi. Una parabola moderna, scritta con la voce di un ragazzo di dodici anni, che si legge tutta d'un fi ato e non si cancella più.
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Informazioni
Print ISBN
9788817040228eBook ISBN
9788858651605Capitolo undici
E poi una mattina Andy si risvegliò. Un’infermiera entrò nella sua stanza e lo trovò con gli occhi aperti, sveglio, che si domandava dove fosse e che cosa ci facesse lì, e che chiedeva della sua mamma e del suo papà . Il telefono squillò mentre noi eravamo in cucina a fare colazione. Il papà andò a rispondere e tornò pallidissimo. Nes suno aveva idea di cosa potesse essere successo. Lui andò diritto dalla mamma, che nel frattempo doveva aver immaginato il peggio. E invece lui la abbracciò e le disse che andava tutto bene. Che Andy si era svegliato. Che non era più in coma. Che non sarebbe morto. La mamma si mise a piangere, ma non piangeva come aveva fatto per tutta l’estate. Piangeva perché quell’incubo era finito e Andy, alla fine, sarebbe guarito.
Successe la mattina dopo che ero tornato dall’ospedale. Mi ci avevano portato dopo che Pete mi aveva trovato nel parco e ci ero rimasto sei giorni perché il medico aveva detto che rischiavo di prendermi una polmonite e che ero anche disidratato. Non ricordo molto di quei giorni, tranne il fatto che quando mi svegliai nel letto d’ospedale stavo morendo di fame. Malgrado ciò mi diedero da mangiare solo cose molto leggere, in porzioni piccole perché avevano paura di causare uno shock al mio organismo. Ed erano tutti lì, intorno a me: Pete, il papà e perfino la mamma. La famiglia al completo, di nuovo insieme.
Tornato a casa, mi era stato ordinato di rimanere a letto fino a quando non avessi recuperato le forze. Così avevano detto i medici. Un paio d’ore dopo la telefonata, quindi, ero nella mia stanza quando sentii bussare ed entrò Pete, chiudendosi la porta alle spalle.
«Hai sentito la novità ?» mi chiese, con un grande sorriso stampato sul viso.
«Sì» risposi. Era quasi ora di pranzo e lui si era appena alzato. Era spettinato e aveva bisogno di farsi una doccia.
«Allora, come ti senti oggi?» mi domandò.
«Bene» risposi. «Un po’ stanco. Continuo a dormire e ho sempre fame, anche se mangio.»
«Presto ti rimetterai in forma» mi disse. «Ci hai fatto prendere un bello spavento, lo sai? La mamma e il papà erano fuori di testa.»
Annuii e guardai da un’altra parte. Mi vergognavo un po’, soprattutto perché all’inizio mi era sembrato che nessuno si fosse arrabbiato con me perché ero scappato da casa. Anzi, erano tutti più gentili del solito.
«Quando sei tornato?» chiesi a Pete. «Pensavo che fossi in giro per l’Europa.»
«Ero in giro per l’Europa» disse. «Ero a Praga quando il papà mi ha chiamato per dirmi che eri sparito.»
«E tu sei tornato?»
Si sedette e mi guardò: era stupito. «Certo che sono tornato» disse. «Che cosa credi? Sono tornato subito. Sei ore dopo ero già qui. Ti stavano cercando tutti. Sei stato via tre giorni, Danny» disse, facendosi serio. «Mi vuoi dire che cos’hai fatto?»
«Sono stato in giro» risposi. «Il primo giorno ho mangiato hamburger e sono andato al centro commerciale. Ho provato a dormire in posti diversi, ma non era facile prendere sonno all’aperto. E quella sera, quando sono andato al parco, non mangiavo da un sacco di tempo e non mi sentivo molto bene. Pensavo che sarei morto. Ma poi tu mi hai trovato.»
Lui accennò un sorriso, ma sembrava triste. «Non avresti dovuto farlo, Danny. Lo sai, vero? Non saresti dovuto scappare in quel modo.»
«Ho dovuto farlo» dissi io. «Tu non sai com’era qui. Non c’eri. La mamma non parlava con nessuno e si aggirava per casa come un fantasma. Al papà toccava fare tutto, ma non sapeva fare bene niente. E poi si è arrabbiato con me perché sono diventato amico della sorella di Andy…»
«Sì, l’ho saputo» disse Pete. «Non è stata una grande idea.»
«E perché no?» gli chiesi. «Che c’era di male?»
«Perché passavi il tempo a correrle dietro, a preoccuparti per lei quando avresti dovuto aiutare la mamma. Toccava a noi.»
«Ma lei non mi parlava!» protestai. «Tu non c’eri, Pete. Non lo sai.»
«Sì, è vero, non c’ero, ma…»
«E scommetto che non resterai neanche adesso» aggiunsi.
Pete sospirò. «Be’, l’estate è quasi finita» disse. «Tra qualche settimana dovrò tornare all’università .»
Adesso mi stavo arrabbiando, perché mi sembrava che tutta quella storia non sarebbe mai successa se lui fosse stato lì, con noi. «Ma tu mi avevi detto che non saresti andato lontano per l’università » gli dissi. «Me lo hai detto l’anno scorso, però poi hai cambiato idea e te ne sei andato in Scozia, e invece mi avevi detto che saresti rimasto qui, con me.»
«Dai, Danny, avevo bisogno di un cambiamento…»
«Ma me l’avevi promesso!»
«Non ti avevo promesso niente» disse, cercando di mantenere la calma, nonostante io fossi sempre più agitato. «Ma ti prometto che potrai venirmi a trovare. Tu però prima devi promettere una cosa a me.»
«D’accordo. Che cosa?»
«Che non farai mai più niente di così stupido. Che se ti viene di nuovo in mente di scappare di casa, mi chiami e ne parliamo, va bene?»
«Va bene» dissi, e annuii. «Promesso.»
«Perfetto» disse Pete, poi si alzò e mi arruffò i capelli.
«Allora prometto anch’io. Ora devo proprio farmi una doccia. Sono più morto che vivo.»
«Grazie per avermi salvato» gli dissi. Lui si voltò verso di me e mi sorrise.
«E a che cosa servono i fratelli maggiori, sennò?»
Prima che la scuola ricominciasse, andammo a stare qualche giorno dai nonni. Pete decise di non venire, perché, disse, se si fosse sbrigato avrebbe potuto ancora fare un giro a Vienna e a Berlino. La mamma allora invitò Luke Kennedy. Così venni a sapere che il giorno in cui l’avevo visto allontanarsi in bicicletta con Sarah, erano andati a spiegare ai genitori di lei che non ero cattivo come pensavano. Non era servito a molto, a quanto pareva. E comunque poco tempo dopo noi tre eravamo diventati amici. Il che procurò nuovi problemi più avanti, ma questa è un’altra storia.
«Mi sembra che tu stia meglio, giovanotto» mi disse Benjamin Benson, mentre mi avvicinavo alla macchina. «Che spavento ci hai fatto prendere.»
«Però adesso è tutto passato» disse la signora Kennedy. «Non è stata un’estate facile, eh, Danny?»
«No, credo di no» risposi, sistemando la mia borsa nella macchina. «Grazie per aver dato a Luke il permesso di venire con noi.»
«Il permesso?» disse lei, e si mise a ridere. «Santo cielo, Danny. Non avrei avuto pace se gli avessi risposto di no. Detto tra noi, neanche a lui è andata molto bene quest’estate. Avrebbe dovuto stare con suo padre, ma…» Scrollò le spalle, poi si raddrizzò e scosse la testa. Il signor Benson le passò un braccio intorno alla vita. «Oh, eccolo qua» disse poi la signora Kennedy, vedendo Luke uscire da casa mia insieme alla mamma; Luke le stava portando la valigia.
«Un perfetto gentiluomo, eh?» disse la mamma con un sorriso che non le vedevo da secoli. Il giorno prima era anche stata dal parrucchiere e ricominciava a sembrare quella di una volta. Indossava jeans nuovi e un top bianco e pareva proprio che morisse dalla voglia di passare qualche giorno fuori di casa. «È entrato e si è offerto di aiutarmi. L’hai educato proprio bene, Alice.»
La signora Kennedy si mise a ridere e osservò: «A casa non fa così.»
«Non è vero» brontolò Luke, infilando la valigia nel portabagagli.
Nei giorni che seguirono facemmo lunghe passeggiate nei campi intorno alla casa dei nonni. Luke mi raccontò che non vedeva suo papà da poco prima di Natale e che quando lo chiamava al telefono lui lì per lì sembrava contento di sentirlo, ma poi, dopo pochi minuti, lo salutava, spiegando che doveva andare. E quando si mettevano d’accordo perché Luke andasse a trovarlo, all’ultimo minuto tirava sempre fuori una scusa e rimandava. Tanto che Luke aveva deciso di non chiederglielo più perché lo faceva stare troppo male.
«Benjamin» mi disse un pomeriggio mentre gironzolavamo alla ricerca di conigli «non è poi così male, no?»
«A me piace, è divertente» dissi.
«È un po’ scemo.»
«Be’, sì. Un po’. Ma mi fa ridere.»
Luke annuì. «Mi ha dato venti sterline prima di partire. E mi ha detto di non dirlo alla mamma e di spenderle tutte in caramelle e in cose che non dovrei mangiare. E poi mi ha anche detto che quando tornerò a scuola e ricomincerà il campionato, mi porterà a vedere qualche partita, se voglio.»
«E tu che cosa gli hai detto?»
Fece spallucce. «Che non mi importa» rispose, ma io sapevo che voleva dire che ci sarebbe andato.
L’ultima sera delle vacanze, la mamma bussò alla porta della mia camera per darmi la buonanotte. Io mi ero appena messo a letto.
«Posso entrare?» mi chiese. Annuii. Mi spostai un po’ per farle posto sul letto.
Si sedette e mi fissò per qualche secondo, come se cercasse di capire qualcosa. Poi mi sorrise e scosse la testa.
«Tutto pronto per domani?» mi chiese.
«Mi sembra di sì» risposi.
«Bene. Mi dispiace, non hai fatto tante vacanze quest’estate.»
«Non importa» dissi.
«Sì che importa, Danny. È stato un periodo bruttissimo. So che nessuno potrà mai capire quello che ho passato, quello che si prova a essere responsabile di una cosa del genere, ma il solo pensiero di aver fatto male a quel bambino… Non so che cos’avrei fatto se non fosse guarito. E a dirla tutta, penso che non riuscirò più a mettermi alla guida di un’automobile.»
«Ma non è stata colpa tua.»
«Lo so, lo so» disse lei, e sorrise. «Non è quello il punto. Penso che non mi sentirei più sicura. Guarda quante persone ho coinvolto. E guarda che cosa ho fatto a te.»
«Ma non mi hai fatto niente» mi affrettai a dire, perché non potevo sopportare l’idea che la mamma mi chiedesse scusa per qualcosa. Ero io che di solito le chiedevo scusa per quello che combinavo.
«Sì, invece» disse. «Ti ho deluso. Nelle ultime ...
Indice dei contenuti
- La sfida
- Copyright
- Capitolo uno
- Capitolo due
- Capitolo tre
- Capitolo quattro
- Capitolo quinto
- Capitolo sei
- Capitolo sette
- Capitolo otto
- Capitolo nove
- Capitolo dieci
- Capitolo undici