Il colpo del disgregatore centra la betraskana dritta al petto.
Urla, e mentre si accascia a terra con la bava alla bocca la strumentazione digitale che tiene fra le braccia vola via. La scavalco, abbassandomi mentre un altro colpo di disgregatore mi sibila accanto all’orecchio. Il bazar che ci circonda è pieno di gente, la folla si apre davanti a me in preda al panico mentre alle spalle esplodono altri colpi. Scarlett è proprio dietro di me, capelli rosso fiammante incollati alle guance dal sudore. Supera la betraskana e le sue merci sparpagliate scusandosi come può.
«Pardooon!»
Un altro colpo. I gangster che ci inseguono tuonano alla folla di farsi da parte. Saltiamo sopra il bancone dello stand di un venditore di semptar, oltrepassiamo l’allibito proprietario e usciamo sul retro nell’ennesima strada umida e affollata. Hovercraft e rotobot. Attorno a noi pareti verde chiaro; sopra, cielo rosso; sotto, plastcemento giallo; davanti, un arcobaleno di vestiti e di carnagioni.
«A sinistra!» grida Finian dal canale di comunicazione. «Andate a sinistra!»
Obbediamo, precipitandoci in un vicolo sudicio che incrocia la strada principale. Imbonitori e ciarlatani ci fissano mentre gli sfrecciamo davanti pestando forte gli stivali e facendo volare la spazzatura. I minuscoli gangster che ci inseguono raggiungono l’imbocco del vicolo, riempiono l’aria con i BAMF! BAMF! dei colpi di disgregatore. Il sibilo delle particelle cariche mi sfiora le orecchie. In cerca di un riparo scivoliamo dietro un cassone dell’immondizia pieno di rottami meccanici.
«Te l’avevo detto che era una pessima idea!» esclama Scarlett, senza fiato.
«E ti ho risposto che io non ho mai idee pessime!» ribatto, mentre apro una porta con un calcio.
«Ah, no?» fa lei, e spara in direzione dei nostri inseguitori.
«No!» La trascino dentro. «Solo meno incredibili!»
• • • • •
Okay, torniamo un po’ indietro.
Di circa quaranta minuti, prima che iniziassero a piovere spari. So che l’ho già fatto, ma così ci si diverte di più. Fidatevi di me. Fossette, ricordate?
Allora, quaranta minuti fa: sono seduto nel séparé affollato di un bar affollato, con la musica che mi rimbomba nelle orecchie. Indosso una casacca nera attillata e dei pantaloni che lo sono ancora di più, capi che presumo essere alla moda: dopotutto li ha scelti per me Scarlett. Mia sorella è seduta appiccicata a me sul divanetto, anche lei in abbigliamento civile: rosso sangue, aderente, scollato come piace a lei.
Seduti davanti a noi ci sono una decina di gremp.
Ci troviamo in una bettola, tutta luci pulsanti e aria fumosa, piena fino al soffitto. Al centro della stanza, in basso, c’è una grande pista dove immagino si tenga qualche sport sanguinario, ma per fortuna in questo momento nessuno sta uccidendo nessun altro. Tutto attorno a noi brulicano traffici di droga e di corpi, i furfanti da quattro soldi della stazione sono alle prese con il loro lavoro quotidiano. E insieme all’odore del fumo di roccia e alla deepdub martellante delle casse, in testa mi ronza una domanda.
“Come ho fatto, nel nome del Creatore, a finire qui?”
Davanti a noi siedono i gremp: una decina di esseri piccoli e pelosi, stipati sull’altro divanetto del séparé. Tengono gli occhi fissi sul dispositivo che Scarlett ha appoggiato sul tavolo che ci divide. È un uniglass, una lastra di silicio trasparente grossa quanto il palmo di una mano, dotata di proiettore olografico che disegna, qualche centimetro più in alto, l’immagine nitida della nostra Longbow. La nave è a forma di freccia, in carbite e titanio scintillanti. Il simbolo della Legione Aurora e il numero della nostra squadra, 312, campeggiano sulle fiancate.
È all’avanguardia. Stupenda. Insieme ne abbiamo passate tante.
“E ora dobbiamo salutarla.”
A scatti di vibrisse i gremp confabulano nella loro lingua sibilante, fremente. La boss è poco più alta di un metro; tanto, per la loro specie. La pelliccia color guscio di tartaruga che ricopre il suo corpo è acconciata alla perfezione, e il completo bianco perla che indossa grida “gangster chic”. Negli occhi verde chiaro, bordati di ombretto scuro, brilla la scintilla di chi dà la gente in pasto ai propri animali domestici tanto per divertirsi.
«Rischioso, cara terrestre.» La voce della gremp è come morbide fusa. «Rrrischioso.»
«Ci hanno detto che Skeff Tannigut qualche rischio lo sa correre» sorride Scarlett. «Gode di una certa reputazione, da queste parti.»
La suddetta signora Tannigut tamburella gli artigli sulla superficie del tavolo e solleva lo sguardo dall’ologramma della nostra Longbow agli occhi di mia sorella.
«C’è il rischio normale, cara terrestre, e il rischio di farsi vent’anni nella Colonia Penale Lunar. Trafficare apparecchiature rubate della Legione Aurora non è uno scherzo.»
«Nemmeno le apparecchiature lo sono» dico.
Vedo girarsi verso di me dodici paia di occhi a fessura. Dodici mascelle munite di zanne si spalancano. Skeff Tannigut fissa sbalordita mia sorella, e le orecchie le si contraggono in cima alla testa.
«Permetti al tuo maschio di parlare in pubblico?»
«È… vivace» sorride Scarlett, rivolgendomi uno sguardo obliquo che invoca taaaci.
«Vuoi che ti venda un collare da tortura?» propone la gangster. «Per addestrarlo.»
Inarco un sopracciglio. «Grazie, ma… ahi!»
Sotto al tavolo, afferro lo stinco che mi è stato colpito e guardo in cagnesco Scarlett, che si sporge in avanti per guardare dritto negli occhi la boss della banda criminale.
«Se ti senti così generosa, saltiamo i preamboli, ti va?» Indica l’ologramma della Longbow. «Centomila ed è tua. Compresi i codici di accesso alle armi.»
Tannigut si consulta brevemente con i compari. Visto che non ho voglia di beccarmi un’altra pedata tengo la bocca ben chiusa e osservo il locale.
Il bancone ospita file di bottiglie colme di arcobaleni e le pareti sono coperte di proiezioni olografiche che mostrano partite di jetball, gli ultimi rapporti economici dalla Centrale e le notizie di navi Indomite in rotta verso le zone neutrali. Questa stazione è molto lontana dal Centro, ma continua a sorprendermi quante specie diverse la abitino. Da quando abbiamo attraccato, due ore fa, ne ho contate almeno venti: pallidi betraskani, gremp pelosi, grossi chelleriani azzurri. Questo posto è una specie di sudicia fetta dell’intera Via Lattea intinta in un losco calderone suborbitale.
Il pianeta su cui è sospesa la stazione è un gigante gassoso, leggermente più piccolo del nostro Giove. Si trova nella stratosfera, per la precisione sopra una tempesta vecchia quattro secoli e larga ventimila click. L’aria è filtrata, la città galleggiante sigillata in una cupola trasparente di particelle ionizzate che crepitano appena nei cieli sopra le nostre teste. Però riesco a sentire l’odore pungente del cloro che conferisce alla tempesta il suo colore e al quale la stazione deve il proprio nome.
Bevo un sorso d’acqua. Guardo il sottobicchiere.
BENVENUTI NELLA CITTÀ DI SMERALDO! recita. NON GUARDATE GIÙ!
I gremp hanno smesso di parlottare, e lo sguardo scintillante di Tannigut è tornato su Scar. La gangster si liscia le vibrisse con una zampa e prende parola: «Te ne do trentamila. Prima e ultima offerta».
Scar solleva un sopracciglio curato alla perfezione. «E da quando i gremp fanno gli attori comici?»
«Da quando i legionari Aurora vendono le loro navi?» ribatte la gremp.
«Magari l’abbiamo rubata, questa bimba. Cosa le fa pensare che siamo della Legione?»
Tannigut indica me. «Il suo taglio di capelli.»
«Cos’ha che non va il… ahi!»
«Con tutto il rispetto, le nostre motivazioni non le devono interessare» dice Scarlett con calma. «Nell’intera galassia non esiste una tecnologia pari a quella che esce dai laboratori Aurora. Centomila è un affare, e lei lo sa.» Scarlett si scrolla il caschetto rosso fiamma dagli occhi e riesce nell’intento di non apparire disperata come siamo in realtà. «E quindi, signora, le auguro una buona giornata.»
Scar fa per alzarsi, e Tannigut si protende per fermarla quando al bancone esplode il trambusto. Guardo verso il rumore per vedere di cosa si tratta e mi accorgo che sugli schermi le partite di jetball e le quotazioni azionarie sono state interrotte da un notiziario speciale.
Quando leggo il messaggio che scorre in basso, mi si ribalta lo stomaco.
LEGIONARI AURORA COMPIONO ATTENTATO
Un grosso terrestre chiede alla barista di alzare il volume. Un chelleriano ancora più grosso grida di rimettere sulle partite. Scoppia una piccola rissa, la barista abbassa il volume della deepdub e trasmette il notiziario dalle casse del pub.
«… L’attentato è costato la vita a oltre settemila profughi syldrathi, mentre i governi terrestre e betraskano si dicono indignati di fronte al massacro…»
Sento un colpo al cuore, che inizia a martellarmi nel petto mentre osservo le immagini. Mostrano le schegge grigio canna di fucile di una trivella per le lavorazioni minerarie annidata sulla fiancata di un asteroide enorme, sospeso in un mare di stelle.
Riconosco all’istante la struttura: è la Stazione Sagan. La piattaforma di trivellazione su cui è stata mandata la nostra squadra per la prima missione fuori dall’Accademia Aurora. Là ci ha attaccati un cacciatorpediniere terrestre, e l’AIG ci ha imprigionati. Hanno distrutto Sagan per mettere a tacere chiunque potesse averli visti prendere Auri. Ora di quel posto non restano altro che macerie.
“È difficile credere che siano passati solo pochi giorni…”
Le immagini mostrano una nave che scende in picchiata e spara una raffica di missili che inceneriscono la stazione. Ma, quando le riprese si concentrano sul vascello aggressore, mi accorgo che a far partire il colpo mortale non è lo scafo dal muso tozzo di un cacciatorpediniere terrestre. La nave che attacca è a forma di freccia, in carbite e titanio scintillanti, il simbolo della Legione Aurora e il numero della squadra campeggiano sulle fiancate.
«Buon Creatore…»
Lancio un’occhiata a Scarlett. La voce fuori campo si leva sopra il tafferuglio sempre più co...