Trattasi di fastidioso individuo di sesso univocamente definito, quello maschile. Il suo marcionismo è infatti legato al prolungarsi oltre misura delle passioni musicali contratte in gioventù, passioni musicali che, a loro volta, nel secolo scorso erano appannaggio essenzialmente dei maschi, un fenomeno sul quale sociologi e psicologi ancor oggi si interrogano, ma che pare sia in tutta semplicità legato all’infantile scempiaggine del cosiddetto sesso forte. Stiamo parlando di uomini nati tra il 1950 e il 1970, che oggi viaggiano tra i cinquanta e i settant’anni, dunque professionisti, impiegati, insegnanti, operai, pensionati, che hanno partecipato con insano entusiasmo alle grandi stagioni del rock. Per carità: quasi tutti gli uomini nati in quel lasso di tempo hanno partecipato con insano entusiasmo all’epoca d’oro della psichedelia, dell’hard rock, del rock progressivo, dell’heavy metal, del punk, della new wave, dell’acid jazz, e financo del britpop, ma crescendo sono rinsaviti e oggi si limitano a infilare con circospezione nell’impianto stereo dell’auto, quando viaggiano soli, una chiavetta USB con la musica della loro gioventù, per poi rimuoverla e nasconderla quando caricano i figli. I Marcioni rock, invece, non solo ascoltano la musica delle loro passioni giovanili a ogni ora del giorno e se ne vantano, e la impongono ai figli in tiranniche sedute stereofoniche che ritengono terapeutiche, e irridono tutto ciò che di musicale è venuto dopo, ma si abbigliano e si atteggiano pure come se avessero ancora sedici anni.
Prendiamo il caso più comune, il Metal-marcione. Si tratta di chi nell’adolescenza scuoteva il capo lungocrinito al ritmo di Led Zeppelin e Black Sabbath, o, se di un po’ più giovane, a quello di Iron Maiden e Judas Priest. Costui si aggirerà oggi con gilet nero di pelle, sotto il quale porterà una semplice canottiera, sempre nera ma a rete, e jeans ovviamente anch’essi neri, sorretti da una cintura dotata di fibbione metallico delle dimensioni di un disco volante, per finire con stivaletti neri alla caviglia e una guarnitura di borchie e teschi metallici sparsa a piene mani. Questo habillement aggressivo sarà tristemente coniugato con delle braccia scheletriche sempre esposte fino alla spalla in qualsiasi stagione (causa gilet), dove pelle e muscoli sono tutto un penzolare (causa età), mentre lunghi cespugli di peli grigi saranno visibili sotto le ascelle. Ci sarà un inevitabile orecchino da pirata, un inevitabile ventre a otre che straborderà dai jeans, e gli inevitabili benché deprecabili capelli, la cui attaccatura è risalita dalla fronte fin quasi alla nuca, grigi e screziati di bianco, portati lunghissimi, riuniti in un macilento codino al fondo del quale saranno orribilmente ingialliti. Costui, nella pubblica via, saluterà i conoscenti con quel gesto che sembra corna ma invece, se guardate bene, impiega non due dita tese bensì tre, pollice incluso, gesto che nel codice metal significa pace. Tale Marcione berrà birra anche in un ristorante stellato, direttamente dalla lattina, e poi rutterà. Ove gli sarà possibile, però, eviterà i ristoranti stellati e anche quelli semplicemente decenti, pretendendo di trascinare eventuali sfortunati commensali in bettole per camionisti, entrando nelle quali saluterà l’intera sala con il famoso gesto delle tre dita che sembrano corna e che spesso verrà in effetti scambiato per corna, cosa che condurrà a risse nelle quali il Metal-marcione avrà inevitabilmente la peggio. Nonostante l’aspetto aggressivo, infatti, è fisicamente finito, al massimo può contare sui chili di troppo del girovita e avere la meglio su di un eventuale avversario buttandoglisi addosso a peso morto. Sfogherà allora la sua aggressività rubando il posto alle vecchiette nel parcheggio del supermercato e saltando loro davanti nella coda alle casse. Conserva infatti ancor oggi il concetto anni ’60 che gli anziani (anzi, i matusa) ce l’abbiano con lui in quanto capellone, cosa che, unita al fatto che lui stesso è già irrimediabilmente anziano, lo porta a molesti atteggiamenti da teppista fuori tempo massimo contro inermi ottuagenari. Non pago, questo genere di Marcione spenderà una follia in memorabilia, in vinili rari, in biglietti di concerti-reunion degli Whitesnake a Oslo, e infine avrà da sempre costretto moglie e figli (che, tipicamente, non appena maggiorenni fuggono emigrando in Australia) a viaggiare su di una vecchia Skoda familiare a metano, perché quel poco denaro che gli avanza l’avrà sempre investito nell’acquisto e manutenzione di gigantesche Harley Davidson. Intendiamo quelle che discendono dall’iconografia di Easy Rider, con manubrio di apertura superiore al metro, impossibili da guidare, il motore delicato come un malato di tisi, sempre in panne dal meccanico, e che quando al Marcione riesce di farle partire, una volta a stagione, gli cadono rovinosamente alla prima frenata sul pavé.
Infine, va detto che il Metal-marcione coltiverà la scarsa igiene personale che, nella sua ottica distorta, si adatta a una vita on the road, all’insegna della musica hard anziché del sapone, per cui si spiega appieno la sua denominazione: oltre all’aspetto metaforicamente simile a materiale organico in decomposizione, dal Marcione rock si solleverà sempre una sottile ma inequivocabile puzza di andato a male.
Ora, se siete suoi familiari o colleghi o amici, oltre alla nostra solidarietà facilmente vi sarà già capitato di ricevere un avviso di garanzia per le indagini relative al suo omicidio. È tale il fastidio provocato dal Marcione rock che chi è costretto a stargli vicino è infatti spesso costretto anche a sopprimerlo per sopravvivere. Dunque sono in realtà pochi i Marcioni che ancora popolano il mondo. Essi sono scapoli, oppure hanno una compagna dotata di una pietas degna di Madre Teresa di Calcutta, e fanno un lavoro che li tiene separati dai colleghi, tipo guardiano del faro. Tali esemplari di Marcione riescono a sopravvivere indefinitamente. Mettiamo allora che voi siate vagamente appassionati di musica hard rock e un giorno vi troviate ad Amsterdam per lavoro – immaginiamoci dunque in un respirabile periodo pre o post pandemia –, e abbiate pensato di allietare una serata altrimenti solitaria acquistando un biglietto del locale Teatro delle Arti, dove si tiene un concerto-evento per l’uscita dell’ennesimo LP dei Saxon. Sarà lì, ahivoi, che incontrerete uno o più Metal-marcioni.
In questo tipo di concerti i posti sono assegnati e le poltrone numerate, stiamo infatti parlando di un teatro, non del prato di Hyde Park, e voi avete investito un discreto patrimonio per un posto in prima fila. Appena vi sedete, leggete e rispondete alle ultime email sullo smartphone prima di spegnerlo. Dopo qualche minuto speso immersi in questa attività, con le orecchie saturate dal rock anni ’70 diffuso a tutto volume in attesa del concerto, tornate alla realtà perché vi accorgete che c’è qualcosa che vi disturba. Ma sì, è come se fosse… Alzate la testa, fiutate l’aria. Essì, è proprio quello: un sottile odore di andato a male. Quando vi voltate a guardare chi c’è nella fila dietro, eccoli: non uno ma tre Metal-marcioni. Spesso girano insieme, si sa, ma per loro non è un problema, con gli odori intensi i recettori dell’olfatto si saturano, e dunque, tra colleghi, non si accorgono della puzza. In ogni caso voi li guardate stupefatti, giacché il teatro è in realtà gremito da signori di mezz’età come voi, gentiluomini in maglioncino di cachemire o in giacca. Questi tre abbigliati da metallari sedicenni invece vi salutano con il gesto che sembra le corna ma non lo è. Inarcate solo le sopracciglia, più stupefatti di prima, e ritornate composti, rituffando gli occhi e il naso (turato) nello smartphone. Ma purtroppo non è finita. Uno dei tre Marcioni, dietro, rutta possentemente e dice qualcosa in olandese, poi tutti e tre ridono sguaiatamente, proprio come farebbero dei sedicenni alticci, battendosi grandi manate sulle ginocchia e poi urtando in malo modo, con quelle ginocchia, il vostro schienale. Chiaro, stanno facendo apposta a darvi noia: siete uno dei gentiluomini con maglioncino di cachemire e giacca, avete inarcato le sopracciglia invece di ricambiare il saluto a tre dita, dunque ce l’hanno con voi, immediatamente sistemati nella casella dei benpensanti che detestano i capelloni. Ma ecco che si spengono le luci, ecco che partono delle chitarre fracassone, ecco che la batteria prende a martellare un ritmo durissimo e bum, quando le luci si riaccendono i Saxon sono lì sul palco, vecchissimi, immersi in una cortina fumogena. Dietro di voi, i tre Marcioni balzano istantaneamente in piedi, le braccia puntate verso il cielo con entrambe le mani tese nel gesto delle corna che non sono corna. Al secondo pezzo, benché con manovra lentissima data l’artrosi, i tre fanno di più: mettono un piede sulla spalliera della vostra fila e uno su quella della loro poltroncina, sparando al soffitto il cornuto gesto delle tre dita. Poi, non ancora soddisfatti, terminato il pezzo scavalcano la vostra fila schierandosi tra voi e il palco. Esaltati, a gambe larghe si voltano verso la platea e di nuovo sparano al cielo il gesto delle corna che non sono tali, raccogliendo indifferenza salvo che da altri due Marcioni come loro, seduti in balconata.
Sarà a questo punto che si volteranno verso i Saxon ripetendo il medesimo gesto, ottenendo dalla band solo un modesto cenno del capo, da cui però si sentiranno incoraggiati. Dunque continueranno. Resteranno lì davanti per tutto il concerto, vagando imbesuiti, impedendo la visuale a voi e a tutta la prima fila che resterà invece, come tutti nel teatro, compostamente seduta. Spesso barcolleranno cadendovi addosso. Causa enfasi, movimento, sudorazione, il sentore di andato a male per cui sono noti diventerà sempre meno lieve. Almeno fino al punto in cui metterete in atto una esasperata
ELIMINAZIONE DEL MARCIONE ROCK
Saltate sul palco. Avrete alcuni secondi prima che la security possa intervenire, dei Saxon invece non preoccupatevi, hanno una quindicina d’anni più di voi e dunque riflessi addio. Approfittatene per fregargli una chitarra. Indi, dopo esservi ricordati che più che ai metallari voi vi siete sempre considerati vicini ai mod, come Pete Townshend degli Who spaccate la chitarra, ma non contro un amplificatore, bensì sulla testa dei Marcioni. Ah, non dimenticate: prima di sferrare loro il colpo di grazia fategli il gesto della corna che non sono corna. D’altronde è proprio la pace che stanno per raggiungere, quella eterna.
Recenti studi sostengono che il peculiare, insopportabile comportamento dell’Odio tutti abbia origini genetiche. Inizia le sue attività allo scoccare del trentesimo anno, quando le sue illusioni di gioventù si sono infrante come quelle di tutti, e a lui o a lei (poiché vi sono Odio tutti di ambo i sessi) non sarà rimasto altro che il perfezionamento della specialità dettata dai suoi geni, l’odio, come scopo nella vita. Di conseguenza, poiché la perfezione non esiste, proseguirà a odiare fino alla morte con crescente intensità. È interessante notare che il suo odiare tutto e tutti fa sì che possegga altre caratteristiche insopportabili come l’avarizia (odia spendere), l’invidia (odia che altri abbiano ciò che lui non ha), l’impazienza (odia perdere tempo), la litigiosità (odia essere contraddetto), l’ignoranza (odia fare la fatica di informarsi, figuriamoci studiare), ma, paradossalmente, non il razzismo. Non confondiamoci: ella/egli odia ardentemente qualsiasi razza, etnia o nazionalità diversa dalla propria, nonché il sesso diverso dal proprio, per non parlare degli orientamenti di genere non rigorosamente etero come il suo, e dunque gli stranieri, le donne se uomo, gli uomini se donna, e indistintamente tutti gli omosessuali, per non parlare dei trans. Tuttavia, questa sua avversione è estrinsecata con tale abbandono e completezza che se esistesse un misuratore d’odio, questo andrebbe sempre fuoriscala. Il suo è un odio totale, che si avvicina misticamente al concetto di Assoluto. Capite? Come si può tacciare di razzismo uno che odia allo stesso modo – il massimo possibile – uomini e donne, nigeriani e rumeni, meridionali e settentrionali, gay e lesbiche, sua madre, suo padre, suo nonno, sua nonna e pure il di lei cane bassotto? Ah, naturalmente odierà anche voi, e già questo basta a farvi accarezzare l’idea di eliminarlo dalla faccia della terra. Poi, quando sperimenterete di persona la sua essenza maligna, ecco che troverete motivazioni sufficienti a pianificare senza esitazione il suo omicidio.
È il caso di quando ve lo ritrovate come nuovo inquilino del vostro condominio. Capita in un inizio agosto in cui siete solo a casa, perché la vostra consorte ha già potuto prendere le ferie ed è in vacanza con i vostri figli dalla fine di luglio, mentre voi siete ancora in città, costretti al lavoro per un’ultima settimana. Nell’appartamento dell’inquilino del piano di sotto, in procinto di traslocare, è stata mandata un’impresa a effettuare dei “piccoli” lavori di ristrutturazione proprio in questa vostra settimana solitaria, lavori che hanno comportato l’emissione di fischi assordanti, clangori, vibrazioni strutturali e misteriose esplosioni che sarebbero state accolte con gioia da un Filippo Tommaso Marinetti in trance creativa durante la stesura della Battaglia di Adrianopoli. Contro ogni regolamento di condominio, o anche di legislazione giuslavoristica, le attività cominciavano alle sei di mattina e finivano alle nove di sera, con voi ancora (o di nuovo) ampiamente in casa. Tuttavia avete subìto in silenzio in nome del buon vicinato, perché è normale fare qualche lavoro prima del trasloco, no? E sopportare un piccolo fastidio per dar modo agli altri di sistemarsi fa parte del civile convivere. O così almeno la pensate voi. Sfortunatamente di certo non un Odio tutti.
È venerdì, i lavori sono stati finalmente ultimati e in giornata è stato fatto pure il trasloco. Quando i furgoni dell’impresa se ne vanno e il su e giù dei facchini con l’ascensore è terminato, alle otto di sera, dopo una doccia ristoratrice ecco che vi preparate a uscire per cena, vestito elegantemente e di splendido umore giacché domattina partirete per raggiungere i vostri cari al mare. Sul pianerottolo chiamate l’ascensore.
«Epporcodue!» sentite esclamare dalla tromba delle scale. È una voce che non conoscete: che sia il nuovo inquilino? Quando giungete al piano terra c’è questo individuo né giovane né vecchio – facciamo che sia un maschio per semplicità narrativa – bassino, bruttino, con i piedi a papera e in mano un cartone della pizza.
«Oh, ma non ha sentito che chiamavo l’ascensore?» vi apostrofa, scuro in volto.
«Spiacente, no» dite, sorridendo, domandandovi se per caso l’avesse chiamato a voce come nella famosa barzelletta, e voi non l’abbiate udito: perché altrimenti come diamine avreste potuto accorgervene?
«Lei è il nuovo inquilino?» chiedete comunque, senza smettere il sorriso, per quanto vi si sia già un po’ incrinato.
«No, sono il puffo del giroscale» sbotta lui a denti stretti, strappandovi una risata di cortesia.
«Io invece niente cartoni animati, sono un suo vicino di casa» dite, sperando in una contro-risatina di restituzione-cortesia. Ma quello invece sbuffa.
«Per dirla meglio, sono quello che abita nell’appartamento sopra il suo» continuate, porgendo la mano, con un sorriso che ormai è pura teoria.
«Se abita di sopra veda di non fare casino» risponde, ignorando la vostra mano anzi scansandovi per entrare in ascensore. Voi cercate di giustificarlo: è di cattivo umore per la giornata di trasloco e non vi ha stretto la mano perché altrimenti gli sarebbe sfuggito il cartone della pizza. Ma dentro la cabina lui subito libera una delle sue manine grassocce e pigia il tasto del terzo piano.
«Be’, allora buonasera» dite, mentre le porte scorrevoli si chiudono. Il neo-vicino, scuro in volto come se avesse trovato la macchina rigata, continua a ignorarvi, scrutando con rancore la pulsantiera. L’ascensore va. È solo quando il quadro luminoso indica che è al secondo piano, e voi ancora fissate esterrefatti le porte chiuse, che dalla cabina lontana sentite giungere uno schianto come se qualcuno avesse sferrato un calcio a una parete. Poi questo ringhio:
«Epporcotré! Proprio uno sfronzo di vicino mi doveva capitare?!»
È qui che cominciate a sospettare che il neo-traslocato non sia di cattivo umore per via dell’insostenibile giornata, ma che, semplicemente, sia un nefasto Odio tutti.
La mattina seguente i vostri sospetti saranno purtroppo confermati. Di ottimo umore, caricherete sull’auto la vostra valigia e prima di partire per il mare entrerete nel bar sotto casa per fare colazione. Lì, appoggiato al bancone, troverete il nuovo inquilino. Avrà occhiaie scure in fondo alle quali bruceranno occhi febbricitanti. Non lo sapete, ma gli Odio tutti si accalorano così tanto nel loro odio verso il mondo che, di notte, ripercorrono il vastissimo catalogo mentale di persone e cose che detestano, ringhiando e guaendo anziché dormire (ecco, a proposito, cos’erano i versi animaleschi che avete udito).
«Buongiorno» gli direte con entusiasmo va...