Shaun Squyres è una delle punte di diamante della polizia di Norfolk, anche se ha solo trentatré anni. La sua carriera è stata come il decollo di un aereo: laurea a ventun anni, detective a ventidue, agente sotto copertura nel servizio investigativo navale a ventitré, alla squadra omicidi a ventotto: un’ascesa lineare e costante. È giovane, ma non è certo di primo pelo.
Quando lascia la centrale e si infila in macchina, è pronto a godersi la parte della giornata che ama di più: il ritorno a casa, mezz’ora lungo l’Interstatale 8 da Norfolk fino a Chesapeake, con la radio a tutto volume. Mentre le altre auto lo superano da entrambi i lati, Squyres canta insieme a Kurt Cobain sulle note malinconiche dei Nirvana. È stato un mercoledì tranquillo, dopotutto, a parte una sfuriata del capo perché le indagini sull’omicidio di uno spacciatore, trovato crivellato di colpi tre sere prima, non fanno passi avanti.
Quando l’ispettore è all’imbocco del ponte che attraversa l’Elizabeth River, la radio di servizio comincia a gracchiare, quasi contemporaneamente si avverte un cicaleccio provenire dal cercapersone.
“Proprio adesso?” pensa Squyres, che afferra la ricetrasmittente dal cruscotto e si mette in contatto con la centrale.
«Sono Shaun, che c’è?»
Due agenti di pattuglia vicino al Knitting Mill Creek, aiutandosi con un bastone a punta uncinata e una corda, hanno appena pescato un cadavere dal fiume Lafayette.
«Che cazzo» mormora tra le labbra Squyres mentre imbocca lo svincolo e si prepara a fare inversione di marcia. Già pregustava la cena con la moglie, seguita da un paio di puntate di «Home Improvement», la loro sit-com preferita sulla ABC, infine una birra gelata sul patio di casa.
Quando Squyres arriva al fiume l’area è già stata delimitata.
«Ehi, circolare, non c’è nulla da vedere.» Mentre fende la folla, invita i curiosi a sloggiare ma risulta poco convincente. Non succede mai niente di eclatante in quella parte di città, un cadavere è un evento irripetibile.
«O’Reilly.»
«Ehi, Shaun.»
«Che abbiamo?»
«Donna, bianca, direi sui vent’anni. E una scarpa, probabilmente della vittima.»
L’ispettore strizza gli occhi, che al sole del tramonto luccicano, più celesti del solito. Scruta il fiume, osserva il verso della corrente, poi torna a focalizzare lo sguardo sul corpo senza vita.
«Cercate l’altra.»
«Lo stiamo facendo, ma per ora niente.»
La donna è completamente nuda. Gli arti sono in uno stato di rigor mortis. Le braccia sono piegate in avanti in una posizione da combattimento pugilistico. Le gambe sono ad angolo. La testa è coperta da un liquido grumoso, un misto di sangue rappreso e materia cerebrale, che si impasta con i lunghi capelli color castano chiaro. Sul volto si notano ecchimosi e rivoli rossi.
Squyres sa che le prime ore di indagini sono decisive. È fondamentale dare un’identità a questa poveretta, e in fretta. Mentre infila i guanti di lattice ne osserva il viso. Nota del liquido fuoriuscire dal naso. Forse è stata gettata in acqua da viva. Poi si abbassa e tocca una guancia, è gelata. Deve essere rimasta a mollo parecchie ore. Sul petto, poco sotto il seno, c’è un segno rossastro a forma di V. Lo sfiora con un dito.
«Quella è la corda che abbiamo usato per recuperarla, capo.» La voce dell’agente O’Reilly lo sorprende alle spalle.
«Come l’avete trovata?»
«Ce l’ha segnalata una signora che passeggiava con il cane.»
«Dov’è questa donna?»
«Sparita. La stiamo cercando, abbiamo chiesto anche ai residenti, ma nessuna traccia.»
Squyres torna a concentrarsi sul cadavere. C’è un orologio al polso sinistro. L’ispettore lo tocca, poi slaccia il cinturino e lo sfila non senza fatica. Segna le 6,13. Con l’unghia dell’indice picchietta il vetro del quadrante, e la lancetta dei secondi si rimette in movimento.
«’Fanculo.»
«Che c’è ispettore?» lo soccorre O’Reilly.
«Speravo fosse non impermeabile perché l’ora segnata avrebbe fissato il momento in cui il corpo è stato buttato nel fiume, minuto più minuto meno. Invece le lancette hanno ripreso a correre. Archivialo comunque come prova.»
Squyres continua a scrutare il corpo steso a terra, quando un altro particolare lo attira. È un anello, sul dito anulare della mano destra. Squyres si abbassa per guardarlo da vicino. Bingo! È l’anello che viene donato alle matricole della Old Dominion University, il college che dista non più di un miglio. Lo sa bene perché anche lui ha studiato lì. Sa che sulla base piatta vengono incise le iniziali del proprietario. E infatti, eccole, in rilievo: SJW.
«Centralino della Old Dominion University, come posso aiutarla?»
Nel giro di pochi minuti il detective ottiene l’accesso all’elenco delle studentesse del primo anno. Tra di loro c’è anche una certa Sarah Jeanne Wisnosky, residente al dormitorio di Rogers Hall. Ha diciassette anni, è iscritta a Biologia. È originaria del profondo Nord, Peterborough, quattro strade in croce e poco più di cinquemila abitanti, nel New Hampshire. Poi i genitori si sono trasferiti in Virginia, a Lynchburg, e per lei è stato naturale scegliere una delle università più conosciute dello Stato.
Alle 21 Squyres entra nel dormitorio e bussa alla stanza di Nicki Vanbelkum. «Eccome se conosco Sarah» dice Nicki. Condividono la camera da un mese, da quando entrambe hanno iniziato il college. Però Nicki non vede e non sente l’amica dal giorno prima. Verso le 15 si erano salutate nel corridoio, con l’intento di ritrovarsi per cena. Ma poi non l’aveva vista né in mensa, né fare ritorno. Finalmente l’aveva sentita verso le 23. Sarah aveva telefonato a un vicino di stanza di Nicki e aveva chiesto di poterle parlare. «Tutto bene?» le aveva domandato l’amica. «Sì, certo» aveva risposto Sarah, e le aveva detto che sarebbe rimasta lì per la notte.
«Lì, dove?» chiede Squyres.
«Da Serf.»
«Chi?»
«È un ragazzo che Sarah frequenta da un po’.»
Poi Nicki si ricorda di un particolare. «Guardi qui, ispettore.» E gli mostra un foglio di carta a quadretti, sul quale Sarah le ha lasciato un messaggio.
Vado e non torno mai più. Scherzo, dai. Mi trovi al 677-9503. Ci vediamo più tardi. Sarah.
Nicki sgrana gli occhi: «Oddio, ispettore, ma è successo qualcosa alla mia amica?».
Squyres mette una mano sulla spalla della giovane: «Mi spiace, ma temo che dovrà venire a riconoscere il suo corpo all’obitorio».
La ragazza si abbandona sul letto, cacciando un urlo di dolore, subito coperto da singhiozzi.
L’ispettore si inginocchia per farle sentire un po’ di calore. «È dura Nicki, ma le devo chiedere un grande sforzo in questo momento.»
La pausa successiva dura il tempo di un respiro.
«Chi è questo Serf?»
La casa al numero 824 della 48esima strada è a due piani. Se fosse in una zona esclusiva, ci si potrebbe ricavare una villa per una famiglia numerosa, con un bel giardino tutto intorno. Ma quel quartiere non fa parte della «Norfolk bene», anzi girare soli la sera non è sempre una buona idea. La porzione di verde di fronte alla porta principale è di fatto il parcheggio di tre macchine, messe alla rinfusa. La facciata esterna, scrostata in più punti, tradisce una certa incuria.
La struttura è immersa nel buio, non si notano movimenti né si intravedono luci all’interno. Ma è anche l’una di notte.
Squyres è accompagnato da tre colleghi. Inizia a esplorare l’edificio, dal lato sinistro. Mentre si avvicina al portico lo sguardo si poggia per terra. E lì la vede: una scarpa marrone di cuoio, sembra uguale a quella ritrovata al fiume.
La scarpa è proprio di fronte alla porta di ingresso laterale della casa. Squyres la raccoglie, la tiene tra le mani pochi secondi, sembra scorgervi una qualche macchia scura, forse è sangue, poi la appoggia a ridosso di un palo di sostegno. È insolito toccare e spostare un oggetto dalla scena del delitto prima di scattare foto, ma la scarpa è nella traiettoria di cammino verso la porta, dunque l’ispettore vuole evitare che qualcuno la calpesti.
È il momento di bussare e Squyres lo fa con energia, mentre un paio di agenti tengono le mani vicino al calcio della pistola. Non si sa mai. Dopo un paio di minuti appare un uomo. Si qualifica come Troy Manglicmot, è il proprietario. Quando gli investigatori entrano si materializzano gli altri inquilini: Michael Bain, un dipendente della Nations Bank, David Wirth, impiegato in un’azienda di Virginia Beach, Justin Dewall, studente della stessa università della vittima e la fidanzata di quest’ultimo, Annette. Sono tutti coetanei, sui venticinque anni.
Squyres è sbrigativo. «Vive qui un ragazzo che di nome fa Serf?»
È Manglicmot ad annuire e indicare una porta, giusto al loro fianco, al primo piano. Squyres si avvicina e bussa. Una volta, due, tre, in modo sempre più insistente. «Serf?!» Ma raccoglie solo silenzio. Al che l’ispettore gira la maniglia per entrare. È chiusa a chiave.
Poi si rivolge agli altri: «Abbiamo il sospetto che in questa casa possa essere stato compiuto un omicidio. Dovete seguirci alla centrale». Non è una domanda, la sua, e nonostante le facce stranite e assonnate i cinque ci mettono un attimo a capirlo.
Il mandato di perquisizione della stanza di Serf viene firmato dal giudice e consegnato nelle mani di Shaun Squyres all’alba. E lui, direttamente dall’ufficio del procuratore, torna sulla 48esima strada insieme a due colleghi. Un colpo netto alla serratura e i tre sono sulla soglia.
C’è una finestra, proprio di fronte a loro, al centro della parete. A destra il letto, che occupa gran parte dello spazio. Ha un materasso ad acqua e ai suoi piedi c’è un ventilatore acceso. A fianco del letto c’è uno scrittoio con dei fogli sparpagliati.
Squyres entra, facendo attenzione a dove mette i piedi e osservando i dettagli della camera. C’è una coperta gialla sul materasso, buttata in modo disordinato. Mancano le lenzuola. Il cuscino è senza federa. La stanza sembra in uno stato di abbandono. Squyres si infila un paio di guanti, sposta la coperta. Poi si inginocchia, si avvicina ed eccole lì, proprio sul bordo: macchie rosse, sparse qua e là, non più grandi di uno o due centimetri di diametro.
Sangue?
«Chiamate la scientifica. Raccogliete ogni tipo di impronta. Hanno ucciso quella povera ragazza, in questa stanza.»
Mentre i poliziotti procedono con i rilievi, Squyres esamina i documenti sullo scrittoio. Una carta è indirizzata a Serafino Barnabay. Sotto a essa ci sono altri fogli, uno in particolare è di una banca del New Jersey: una comunicazione stringata con la quale si nega l’apertura di una linea di credito. La lettera è indirizzata alla Northfield Kitchens & Baths a nome Derek Barnahei, al numero 1226 di Tilton Road, Northfield, New Jersey. Ma c’è un terzo biglietto che cattura l’attenzione dell’ispettore. È un post-it, attaccato alla parete, sul quale c’è una frase scritta a penna: LE DONNE PROPRIO NON CI ARRIVANO.
«Capo, abbiamo trovato qualcosa.» Squyres si rigira tra le mani il foglietto, poi lo affida a un agente: «Questa registrala come prova». Pochi istanti dopo una collega della omicidi fa capolino nell’atrio principale.
«Guardi qui, erano abbandonate nel cassetto dell’immondizia sulla strada.» Sono due calze bianche.
«Bene, repertale.» Squyres esce per prendere una boccata d’aria quando incrocia un poliziotto della sezione forense: «Shaun, guarda cosa ho recuperato». Tiene in mano un asciugamano color pesca, con chiazze rossastre.
«Dov’era?»
L’altro si gira appena di lato: «Laggiù, per terra, tra questa casa e quell’altra, che è il civico 826».
«Consegnalo alla scientifica.»
I rilievi durano tutto il giorno, e proseguiranno il giorno s...