La stagione più crudele
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La stagione più crudele

  1. 216 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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La stagione più crudele

Informazioni su questo libro

Asia è in campagna, nel posto dove torna ogni anno e dove per tutto l'anno desidera tornare, e aspetta l'arrivo di Matilde, la sua migliore amica, con cui condivide la libertà che a dodici anni si inizia ad assaggiare nei mesi estivi.

Si prepara perciò a sfrecciare insieme a lei in bicicletta per le vie del paese, a sfuggire gli sguardi inquisitori delle vecchie eternamente schierate sulle panchine, capaci di trasformare le giovani ragazze come loro - Asia e Matilde ne sono certe - in mummie incartapecorite. A mettere da parte le monetine per i videogiochi nel circolo in cui si ritrovano tutti, a lanciare la bici a tutta velocità per esplorare zone del bosco in cui non sono mai state. Un campo di girasoli è la superficie della Luna, ai vecchi lavatoi si nasconde una congrega di vampiri, l'agriturismo abbandonato è infestato di spettri e nasconde il più feroce dei cani assassini. È la magia dei luoghi in cui abbiamo trascorso l'infanzia, e gli scenari della nostra immaginazione si sovrappongono a quelli reali, dando loro una vita che non si estinguerà mai.

Un giorno però succede qualcosa, qualcosa che Asia non confida a nessuno, e che ingigantisce dentro di lei fino a sembrarle inconfessabile. E questo primo segreto se ne tira dietro altri, fino a creare una frattura profonda tra lei e chi le sta intorno.

L'infanzia le si sgretola tra le mani prima che lei abbia la minima idea di cosa mai potrà prenderne il posto e si apre una stagione fatta di inizi: se fino a quel momento le sue paure erano quelle infantili, Asia si troverà ora ad affrontare le prime prove della vita.

Il passaggio dall'infanzia all'adolescenza, le prime incrinature nella pienezza dell'esistere, l'incontro con il dolore e con la morte: temi cruciali su cui Chiara Deiana getta uno sguardo al tempo stesso consapevole e fresco.

Un romanzo d'esordio entusiasmante, che rende onore ai mostri sacri - Stephen King, in primis - con una scrittura duttile e consistente come la cera, piena di carattere, che dà forma a un mondo a colori vividissimi.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2021
Print ISBN
9788804735991
eBook ISBN
9788835708063
Parte seconda

NEL PAESE

19

Riprese la bicicletta e lottò per muoverla, i pedali erano duri, molto più di poco prima. Scalò di due marce e lentamente riuscì a rimettersi in moto ondeggiando da un lato all’altro. La strada che aveva percorso all’andata sembrava lunga il doppio e più in salita. Aveva la testa annebbiata e passando davanti al circolo impiegò diversi secondi a riconoscere il Bracco che la salutava. Alzò una mano verso di lui e si trascinò dentro il paese. Andava avanti solo perché i piedi erano aggrappati ai pedali e le gambe continuavano a muoversi da sole.
Si fermò lasciando la bici a terra e appoggiò la fronte contro il portone scuro, era fresco contro il viso bollente. Aveva smesso di piangere, ma sentiva gli occhi e la bocca gonfi, pensò che doveva avere un aspetto orribile ma non le importava più di niente. Nemmeno che a breve sua nonna si sarebbe accorta che non era a casa o che suo padre avrebbe scoperto che era stata lei a trovare D. Il mondo era finito, l’uragano che aveva immaginato la sera prima aveva risucchiato tutto, per davvero.
La porta si aprì con uno scatto della serratura, Asia non si era accorta di aver suonato e riuscì appena a spingerla. Matilde la aspettava in cima alle scale con uno sguardo preoccupato, ad Asia bastò un’occhiata per accasciarsi sul primo gradino. Ogni volta che provava a parlare le parole si incastravano tra balbettii e singhiozzi e alla fine rinunciò a dire qualsiasi cosa.
Matilde era scesa, si era seduta sullo stesso gradino e le accarezzava la schiena in silenzio. Anche lei aveva gli occhi lucidi e le labbra piegate verso il basso, ma quando parlò la sua voce era dolce e ferma come sempre. «Zanna, non piangere» le sussurrò passandole un braccio sulle spalle.
«Mi sento così male.»
Matilde le spostò i capelli dagli occhi. «Lo so» le disse aiutandola ad alzarsi.
Salirono le scale e Asia si tenne contro il muro, era freddo e ruvido e dava un po’ di sollievo a quel dolore pulsante che sentiva dentro.
«Tranquilla, nonna non c’è» disse Matilde andando nella stanza accanto.
Asia rimase immobile, tutte le energie rimaste le aveva usate per riprendere la bici e arrivare lì, adesso era completamente svuotata. Fece qualche passo nel corridoio e si guardò attorno con gli occhi pesanti. Negli anni era entrata in quella casa, e aveva aspettato che Matilde finisse di fare colazione, più volte di quante ne potesse contare, ma non aveva mai guardato le foto appese sopra il tavolino del telefono. Erano tutte di lei: da piccola in braccio a suo padre, più grande ma ancora nella carrozzina che rideva verso l’obiettivo, in una gita a Venezia con un cappellino di paglia in testa, e ce n’era una in cui si arrampicava sul tasso del giardino dei nonni. Asia non riusciva a ricordare il momento in cui Matilde era stata quella bambina, eppure sapeva di averla conosciuta. Erano amiche da sempre, lei era il suo branco.
«Allora, che fai?»
Asia la guardò e scosse la testa.
Matilde la raggiunse e le prese la mano. «Vieni» le disse portandola in salone.
Si sedettero sul tappeto rosso scuro, Asia si concentrò sui disegni floreali studiandoli da vicino.
«Sei andata nel bosco?» Matilde prese un cuscino dal divano e si stese accanto a lei accarezzandole i capelli con la punta delle dita.
Asia odiava quell’abitudine da femmine di pettinarsi a vicenda e di farsi le trecce, ma in quel momento non si scostò, anzi, era bello essere toccata.
«A tua nonna cosa hai detto?»
«Sono uscita e basta» disse. Fissava il soffitto, era simile a quello della sua stanza, con le travi in legno a vista. In sottofondo un orologio ticchettava nel silenzio.
«Ti hanno vista?»
Scosse la testa.
«Allora dille che sei venuta direttamente qui.»
«Hanno messo dei nastri per chiudere il sentiero.»
Matilde fermò la mano corrugando le sopracciglia. Tirò appena, ma le dita si erano incastrate in un nodo e Asia si lamentò piano. «Scusami» disse rimettendo la mano lungo il fianco.
«Vorrei svegliarmi e scoprire che è stato tutto un incubo.»
Matilde rimase in silenzio.
«Invece è vero, lo hanno portato via» disse Asia strofinandosi gli occhi.
«So che stai male e che sei triste. Però adesso ascoltami: è tutto risolto e non dobbiamo più parlarne, mai più.»
«Lo hanno portato via» ripeté Asia. Questa volta in mezzo al dolore aveva sentito una vena di sollievo, non avrebbe più dovuto preoccuparsi, lui era al sicuro, lo avrebbero finalmente sepolto. Fece un lungo sospiro.
Matilde la guardò preoccupata. «Nessuno ci chiederà niente, ma tu ricordati, se ti facessero delle domande: a volte siamo andate al Bellavista, ma non siamo mai passate per quel punto del bosco.»
«Non ce la faccio.»
«Zanna, devi concentrarti.»
«E il rifugio?»
«Ne troveremo un altro.»
Asia mugugnò un “sì”, poi passò un braccio sotto il cuscino e nascose il naso nell’incavo della spalla di Matilde. Rimasero in silenzio per molti minuti, abbracciate. Lentamente si calmò, non sarebbe più dovuta tornare nel bosco per controllare D, lui non sarebbe peggiorato ancora.
«Mi mancherà» sussurrò Asia. «Sarà strano non tornare lì.»
«Anche a me.»
Asia la guardò stupita. «Pensavo che lo odiassi.»
«Scherzi? Quel capanno era la cosa più bella che avevamo.»
Asia sciolse l’abbraccio. Non parlavano della stessa cosa, su quello non potevano capirsi. Si alzò per mettersi seduta sul divano. Matilde la raggiunse e accese il televisore. Su un canale di musica passava il video di una canzone che avevano cantato per tutta l’estate precedente.
«Buck?»
«Sì?»
«Quindi non diremo nulla, giusto?»
«Nulla.»
«È il nostro segreto.»
«Mmh-mmh» rispose lei passandosi la mano tra i capelli. «Ricorda: noi non abbiamo fatto niente.»

20

All’imbocco della via di casa c’era sua nonna, era curva e sembrava ancora più piccola, indossava la gonna da casa appena sopra il ginocchio e una camicetta leggera sotto cui si intravedeva la sottoveste con le spalline sottili. Asia pensò che doveva essere uscita di corsa, senza controllarsi allo specchio.
«Nonna…»
«Dove sei stata?» disse afferrandola per un braccio.
«Da Matilde.»
«Sei pazza a uscire senza avvisarmi? Ah, ma dopo lo senti tuo padre.»
«Papà è a casa?»
«È tornato ed è uscito di nuovo.»
Asia mugugnò piano. «Quindi lo sa.»
«Certo che lo sa! Era fuori da ogni grazia.» Sua nonna camminava a scatti e parlava con sforzo. «Vedrai quando rientra.»
Tornarono al portone insieme e Asia rallentò per adeguarsi al suo passo zoppicante. Ricordava che quando era piccola doveva correre per starle dietro, fuori casa la cercava sempre con gli occhi, aveva il terrore di perderla. Ora faceva di tutto per poter sfuggire al suo sguardo.
«Io, bimba, davvero non lo so che t’è successo quest’estate» disse sua nonna scuotendo la testa.
«Ma che dici» rispose Asia.
«Ah, lo sai solo te, non ti si riconosce più.» Cercò di infilare la chiave nella serratura del portone, ma la mano le tremava troppo.
«Dammi, ci penso io.»
Lei si scansò senza protestare, fino all’inverno prima l’avrebbe mandata al diavolo, e Asia sentì la mancanza del tono acido con cui le ricordava che era ancora in grado di badare a se stessa.
La stanchezza le calò addosso tutta insieme. Si ricordò di aver dimenticato la bici da Matilde, avrebbe dovuto andare a riprenderla, ma non ne aveva le forze, voleva solo stendersi un po’ prima dell’ora di cena.
Si chiuse nella sua camera e diede un giro di chiave il più silenziosamente possibile.
D le mancava. Senza di lui si sentiva svuotata come i piccioni che sua nonna spelava e passava sul fuoco. Chiuse gli occhi sperando di riuscire a vederlo, ma stava già cominciando a dimenticare il suo viso.
Si buttò sul letto e affondò nel cuscino. Fece ripartire la cassetta dei Nirvana dall’inizio e alzò il volume finché non ci fu altro che la musica.
A cena mangiarono in silenzio con il televisore spento e ad Asia andava bene così, non le interessava il telegiornale: sapeva già tutto, lo sapeva meglio di chiunque altro.
«Non è buona?» le chiese la nonna.
«Cosa?» chiese Asia sovrappensiero, aveva tagliato la carne in pezzi sempre più piccoli.
«La bistecchina impanata di solito ti piace.»
«È solo che non ho tanta fame» Asia sospirò tirando indietro la sedia. «Sono molto stanca. Posso alzarmi?»
«No, anche se non mangi, stai a tavola con noi» rispose suo padre.
Lei roteò gli occhi, spinse di nuovo la sedia in avanti e appoggiò il mento sulla mano.
«Stai composta e niente gomiti sul tavolo.»
Asia si fermò appena prima di chiedergli se nel bosco lo avesse morso una serpe. La poca fame che aveva scomparve del tutto e si pizzicò il labbro inferiore con le dita cercando di calmarsi.
«Asia, la smetti?» gli disse suo padre. «Ma che c’hai stasera?»
Si fissarono per qualche secondo. Le veniva da piangere dalla rabbia. «Posso alzarmi? Per favore.»
Lui sembrava più stanco che arrabbiato. «Vai, che a vederti così fai venire l’angoscia.»
Non se lo fece ripetere, andò fuori e si mise sotto il pergolato a guardare il cielo diventare scuro.
Quella sera era freddo e sua nonna aveva acceso il caminetto. L’aria era umida e Asia si era seduta a fissare le fiamme. L’odore del fuoco si mischiava a quello della cenere, mentre il viso era così caldo che si sentiva la febbre. Suo padre le arrivò accanto e infilò un nuovo pezzo di legno nel camino, con il ferro lo spostò di lato e il ciocco cadde alzando delle scintille tutto attorno. Lei fissava il fuoco, suo padre era solo una figura sul lato.
«Dobbiamo parlare» le disse sedendosi accanto a lei. Teneva le dita intrecciate e si leccò le labbra prima di continuare.
Asia istintivamente si voltò verso la porta della cucina. Voleva nasconde...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. La stagione più crudele
  4. Parte prima. Nel bosco
  5. Parte seconda. Nel paese
  6. Parte terza. Fuori
  7. Copyright