Cronache di spogliatoio
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Cronache di spogliatoio

  1. 264 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Cronache di spogliatoio

Informazioni su questo libro

Tutto comincia all'interno dello spogliatoio, il luogo sacro e poetico nel quale nascono emozioni, amicizie, gioia, dolore, vittoria o sconfitta. Uno spogliatoio scalcinato, come tanti, di una squadra amatoriale di calcio, come tante. All'inizio della stagione l'obiettivo dell'US Montrione è uno solo: vincere il campionato di Promozione. Lo ha detto chiaro e tondo il Presidente, coi suoi modi un po' grotteschi. Lo sa il capitano Federico, con la sua solita serenità, e lo sanno il genio e sregolatezza del 10, Filippo, così come la perseveranza ostinata del suo panchinaro, Marco. Lo sa Paolo, il bomber, con la sua glaciale freddezza sotto porta, ma anche la grinta rocciosa del centrale Yari. E lo sa pure il custode Mario, che cura l'erba del campo come fosse quella del suo giardino di casa. Ma soprattutto lo sa mister Silvio, per cui quei ragazzi che corrono inseguendo una palla in un campo da calcio sono più che una famiglia. Una stagione ambiziosa, difficile e lunghissima, da affrontare tutti insieme, come una vera squadra.

Giulio Incagli e Stefano Bagnasco da anni raccontano il calcio professionistico e non solo attraverso gli occhi di due ragazzi innamorati delle storie vere che nascono ogni volta che la maglia è sporca di fango, le ginocchia sbucciate e i polmoni bruciano per la fatica.

Un romanzo di squadra in cui le vicende all'interno del campo si intrecciano pagina dopo pagina con quelle fuori dal terreno di gioco.

Perché il calcio è molto più che uno sport e, in fondo, il risultato non ha nessuna importanza.

Domande frequenti

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2021
Print ISBN
9788804737735
eBook ISBN
9788835708322
1

Al di là del ponte

Filtra poca luce.
Non è facile stare seduti senza pensare a niente, chiusi nel respiro sospeso a metà tra la meditazione e un viscerale impulso di spaccare il mondo.
Lo spogliatoio è lo specchio che riflette ciò che siamo. Possiamo solo raggomitolarci in una stanza ovattata della nostra mente, chiudendo la testa tra le mani con i gomiti che si appoggiano sulle ginocchia. Se facciamo particolare attenzione ai dettagli, riusciamo a sentire il respiro che sbuffa poderoso a ritmo di musica e rimbomba in mezzo a mille idee che schizzano fuori con disordinata violenza, provando a farsi spazio tra i denti e le palpebre serrate. Là fuori c’è un gran casino, ci sono tutte le domande più pesanti che pretendono risposte.
Nel percorso della vita di ognuno di noi c’è un momento in cui non ci si può tirare indietro, quando si è costretti ad affrontare una nemica subdola e silenziosa che si nutre delle insicurezze che ci portiamo dentro: la paura di sbagliare.
Passiamo giorni interi a costruire una corazza pensando di poter scampare al giudizio degli altri. Ma, sebbene ci sforziamo per convincerci che non sia così, dovremo sempre dimostrare qualcosa a qualcuno.
Dimenticate quello stucchevole aforisma che ci viene spesso propinato: “C’è solo una persona alla quale dovrai rendere conto nella vita: te stesso”. È una favola a cui non conviene credere.
Per raggiungere obiettivi e tagliare traguardi è necessario conoscere i propri fratelli e studiare a fondo i nemici. Discutere, parlare, confrontarsi, decidere insieme e poi sbagliare, riprovarci con fatica per poter sbagliare ancora.
Non è una guerra personale, non si può vincere da soli.
Le tavole che contengono i comandamenti sono custodite all’interno di queste quattro mura, sciupate dalle crepe che conservano un’antica memoria, gonfie di un odore acre e pungente, di quelli che ti si attaccano addosso per sempre. Sulle panchine, dentro le docce sgangherate, nel maleodorante cesso alla turca: le regole dello spogliatoio nascono qui.
È un mondo fatto di condivisione e d’introspettiva solitudine.
Se chiudi gli occhi riesci a sentire quel rumore.
La porta gratta sfregando contro il lucchetto arrugginito e sembra che possa spalancarsi da un momento all’altro, come una fragile barriera che ci protegge da tutto il resto.
Il campo sportivo di Montrione è stupendo. Se ogni suo filo d’erba potesse raccontare tutti gli aneddoti a cui ha assistito, ci troveremmo di fronte alla stesura di uno dei più grandi romanzi mai prodotti nella storia dell’umanità.
Quando il sole sceglie di accarezzare il prato, il verde scintilla e si impadronisce del colore più bello del mondo, che non può essere raccontato così facilmente. È possibile osservarne i dettagli solo se ci si sdraia a pancia in giù dentro l’area piccola, sotto la traversa, e si dirige lo sguardo verso il lato opposto del campo, strofinando il mento sull’erba.
A bordo campo, addossati alla rete che fa da recinzione, ci sono tre palloni sbucciati. Nessuno forse li ha ritenuti degni di essere riposti nel magazzino polveroso costruito malamente qualche metro più in là. Chissà quante volte si sono infranti contro i fili di ferro che sporgono dai pali della luce traballanti che circondano il rettangolo di gioco. Quei tagli tra il cuoio e le cuciture ricordano maledettamente le cicatrici sul cuore di chi ha dato tutto su questo prato. Forse non è un caso che qualcuno abbia lasciato lì quei tre palloni, una sorta di monito per gli sventurati che volessero calcare il palcoscenico per la prima volta. Il piacere sarà proporzionato al sacrificio. Ecco le regole.
Per tutti coloro che si sono sporcati la maglietta di terra e sangue dopo aver rincorso l’avversario lungo la fascia, non sono previsti premi particolari. Un applauso sordo del compagno, che nasce e muore in un secondo, niente di più.
Questa è la casa dell’US Montrione 1909, signorilmente protetta dalle braccia dell’Appennino centrale e cullata dal mormorio dei sassolini spinti a valle da un vento leggero ma costante.
A pochi metri dall’ingresso, sulla destra, un cartello consumato ricorda a tutti il peso dei giorni che hanno forgiato questo luogo: BENVENUTI AL CAMPO SPORTIVO DELL’US MONTRIONE.
Lapidario.
Il profumo di vernice fresca che proviene dalle pareti esterne dello spogliatoio inebria l’aria. Il gesso che delimita il campo è sbavato, logoro come i legamenti di Mario, il custode che da quarant’anni a Montrione è l’unico ad avere le chiavi del centro sportivo. Le gocce di sudore gli si impastano con la polvere bianca che cade dal foro di una carriola sbilenca troppo vecchia per essere vera. Le sue braccia ruvide e nervose non hanno mai dato la sensazione di piegarsi all’incedere del tempo, sebbene le rughe scavate nel volto potrebbero affermare il contrario.
Tutti vogliono bene a Mario, un burbero dal cuore d’oro.
Montrione ha una straordinaria caratteristica, quasi fiabesca: è il cuore d’Italia. Questo paese di 12.000 anime, sperduto da qualche parte in Umbria nella Conca ternana, è il centro geografico della penisola. Per intenderci, se fosse possibile colorare con un enorme pennarello l’ombelico del Bel Paese, il cerchio verrebbe posto proprio sul campo sportivo Renato Proietti: la dimora dell’US Montrione.
Una tribuna di cemento diroccata in grado di accogliere 250 tifosi, un ufficio rimasto gelosamente intonso dagli anni Ottanta, dove Maurizio, lo storico segretario, ti obbliga ogni anno a leggere tutti i documenti prima di firmare il tesseramento, e un piccolo bar.
Il centro d’Italia, il centro del mondo.
In pochi lo sanno, ed è proprio per questo che tutti gli abitanti di Montrione non perdono occasione di ricordarlo. Se qualche malcapitato turista si fosse spinto fino a questo punto, avrebbe a malapena notato nello spiazzo in terra battuta che precede il ponte sul fiume Miglia una targa divelta e sbiadita: BENVENUTI A MONTRIONE, IL CENTRO D’ITALIA.
Non ci sono molti rumori che spezzino il placido scorrere dei pomeriggi d’estate, qui nel centro d’Italia. Si può persino sentire il suono delle foglie che si strusciano aggrappate ai platani piantati in fila lungo il bordo della strada.
All’improvviso il passaggio di un motorino singhiozzante, blu come il cielo terso di questo torrido agosto, solleva un polverone. Filippo stringe tra gli incisivi una sigaretta spenta e dà gas ruotando con forza la manopola del suo Phantom, mentre guida sicuro con la maglietta che gli sbatte sul ventre titillata dalle raffiche di vento.
Le sue spalle robuste sorreggono il borsone che rimbalza sulla sella con ritmo regolare, ammortizzando i continui sussulti provocati dalle buche che tormentano il cammino. La scia giallastra di terriccio sollevata dalla ruota posteriore dipinge una nuvola che si dissolve a due metri dal suolo, impregnando l’aria di quell’odore secco tipico dell’estate.
Filippo fruga nella tasca senza decelerare ed estrae un accendino color argento che si abbina perfettamente allo scintillio del suo ingombrante orologio. Ha un portamento fiero e consapevole, gli occhi nascosti dietro a un paio di occhiali scuri fendono il percorso come una lama che penetra il burro senza fatica.
Il fumo della sigaretta incastrata tra le labbra scivola via a lato del casco, mentre il frastuono della marmitta corre veloce al di là del ponte che separa il borgo dalla strada bianca che tira dritta verso il cimitero e il campo sportivo Proietti.
Non si scappa da un paese di 12.000 abitanti, Filippo lo sa bene. Ma essere così affezionato alla propria squadra gli provoca una sensazione particolare: quando da lontano inizia a scorgere il campo, il suo cuore si placa. Non ha più bisogno di gonfiare il petto per sentirsi più forte degli altri. Quel prato è un sedativo naturale, il portale d’accesso a una dimensione parallela, dove ogni gesto è impregnato di un significato più profondo, dove il tempo e lo spazio si dilatano e si smette di essere giovani o vecchi. Semplicemente si vive e si muore in fretta, riscaldati dal calore di una fiamma primitiva e totalizzante. Chi ha giocato a calcio lo sa, ogni novanta minuti si consuma una storia sempre differente che brilla di una luce propria, irripetibile.
L’equilibrio che non si trova da nessun’altra parte.
Quando Filippo arriva nel parcheggio antistante il cancello d’ingresso si accorge di essere il primo. La fretta di rituffarsi in una nuova stagione gli ha fatto perdere di vista la realtà: la convocazione è stata fissata dal mister alle 18, un’ora e mezza dopo, e lui di solito è sempre l’ultimo ad arrivare. Appoggia il motorino alla recinzione metallica e si sfila il borsone dalle spalle, mentre con lo sguardo prova a individuare il grande Mario, che senza dubbio sarà già impegnato a stramaledire il cielo.
Un’imprecazione infatti precede un tonfo che sembra provenire da dietro il magazzino degli attrezzi. Eccolo là.
«Ma chi te lo fa fare… tutti gli anni!» urla Filippo al custode, intento a spostare sacchi di cemento senza un motivo apparente.
«Eh, aveva proprio ragione mia moglie, io ci morirò su questo campo.»
Mario era rimasto vedovo un paio d’anni prima e da allora aveva deciso di dedicarsi ancora di più all’ultimo grande amore della sua vita: il calcio.
La sua Enrica se n’era andata via all’improvviso, in silenzio, durante una notte autunnale qualunque. Al risveglio, Mario l’aveva trovata accanto a sé, come sempre, raccolta in una fredda smorfia che assomigliava a un sorriso appena accennato. Si racconta che i vicini lo avessero sorpreso abbracciato a lei quando aprirono la porta di casa a forza, preoccupati dall’assenza prolungata dei due. Non avrebbe voluto lasciarla mai, le si era avventato addosso come un maniaco alla ricerca dell’ultimo tiepido alito di vita che stava fuggendo via. Lui è così, lo è sempre stato. Si farebbe in quattro per migliorare la condizione degli altri.
Mario suda, ma nessuno lo ha mai visto implorare per avere un sorso d’acqua. Si sbuccia le ginocchia e si riempie le mani di vesciche, ma non ha mai chiesto a nessuno di dividere il peso della fatica.
«Pensate solo a giocare, va’, che già così avete problemi. Lasciatemi lavorare.»
«Mi apri il cancello, così entro mentre aspetto gli altri?» chiede Filippo. «Almeno ne approfitto per scegliere il posto nello spogliatoio. Quest’anno voglio proprio…»
«No, no, no!» lo interrompe bruscamente il custode. «Finché non arriva Federico tu non vai da nessuna parte. Io ti conosco fin troppo bene.»
«Ma dai, cosa vuoi che gli freghi al capitano dove mi metto a sedere. A 26 anni avrò pur diritto a qualcosa…»
«Dobbiamo aspettare Federico. Qui funziona così.»
Gli occhi di Filippo scappano veloci dal confronto, non sono più in grado di sostenere la conversazione. Recupera il telefono dalla tasca laterale del borsone e solleva la custodia sotto la quale aveva strategicamente nascosto i famosi “cinque euro di emergenza”, mai come in questo caso utili per dirottare il discorso verso lidi più sereni.
«Andiamo al bar, ti offro da bere.»
«Ti accompagno ma io non prendo nulla.»
«Lo so.»
In paese, specialmente fra i tesserati dell’US Montrione 1909, lo sanno tutti. Mario ti accompagna al bancone e ti versa da bere, ma non beve.
Il baretto del Proietti è uno squallido container di tre metri per quattro all’interno del quale è incastrato un frigo dozzinale alto poco più di un metro e ottanta, che occupa gran parte dello spazio. Sulla mensola, fissata all’altezza della vita, sono appoggiate una vecchia macchinetta del caffè a cialde e due torri di patatine al formaggio infilzate da una bacchetta metallica. Niente di più.
Mario ha le chiavi del bar, ma non vuole sentir parlare di gestione. Un posto così non si gestisce, si rimpinza di schifezze e si tiene moderatamente pulito.
«Ma dimmi un po’» incalza Mario mentre stappa una madida Heineken e la affianca a un bicchiere di plastica, «hai finito di studiare? Ormai assomiglia più a una barzelletta…»
Filippo si passa una mano tra i capelli neri corti, manifestando un accenno di nervosismo. «Il lavoro mi distrugge. Davvero, non ho mai fatto così tanti contratti come quest’estate. Sembra che tutto il paese di colpo si sia svegliato e abbia scoperto il meraviglioso mondo delle assicurazioni. Mi stanno tirando scemo.»
Mario scoppia in una risata e alza un pugno in aria che atterra pesante nei pressi del bicchiere ancora pieno.
«Ehi, stai attento! Se mi rovesci addosso la birra chi glielo spiega al mist...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Cronache di spogliatoio
  4. 1. Al di là del ponte
  5. 2. Il centro del mondo
  6. 3. Siamo sulla stessa barca
  7. 4. Sangue in bocca
  8. 5. Il signore vale per tutti
  9. 6. Il dieci e il sedici
  10. 7. Molliche di pane
  11. 8. La scatola delle multe
  12. 9. Tutti contro tutti
  13. 10. Vodka liscia
  14. 11. O palla o gamba
  15. 12. Quattromilacentododici
  16. 13. B come Bresaola
  17. 14. Passamela e vieni ad abbracciarmi
  18. 15. Luci blu
  19. 16. La galera
  20. 17. La legge del campo
  21. 18. Giocare a fare Dio
  22. 19. La Bianchi Colorado
  23. 20. Poltiglia
  24. 21. Qu33n
  25. 22. La resa dei conti
  26. 23. Il coraggio
  27. Copyright