Cyberpunk
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Cyberpunk

Antologia assoluta

  1. 1,368 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Cyberpunk

Antologia assoluta

Informazioni su questo libro

GIBSON-STEPHENSON-STERLING
ANTOLOGIA ASSOLUTA
Introduzione di Bruce Sterling
Postfazione di Francesco Guglieri

« Con l'invenzione del cyberpunk e della sua prosa densa e frenetica, volevamo che le cose nuove diventassero pensabili, descrivibili e forse perfino convincenti » dall'introduzione di Bruce Sterling

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2021
Print ISBN
9788804730781
eBook ISBN
9788835707073
NEAL STEPHENSON

SNOW CRASH

[ Traduzione di Paola Bertante ]
CAPITOLO

1

Il recapitator appartiene a un gruppo d’élite, a una sottocategoria onorata. Ha esprit da vendere. Al momento si sta preparando a compiere la sua terza missione della notte. L’uniforme è nera come carbone attivo e assorbe persino la luce dall’aria. Una pallottola rimbalzerebbe sulla sua corazza di aracnofibra come uno scricciolo contro il portone di un patio, ma le zaffate di sudore la trapassano come brezza in una foresta appena napalmizzata. In corrispondenza delle estremità ossute del corpo, la sua tuta è munita di rinfor-gel sinterizzato: addosso fa l’effetto di una gelatina granulosa, ma protegge come una pila di guide del telefono.
Nell’affidargli il lavoro, gli hanno dato una pistola. Il recapitator non tratta mai in contanti, ma può sempre darsi che qualcuno lo insegua, magari per rubargli l’auto o la merce. La pistola è minuscola, aerodinamica, ultraleggera: un’arma che anche uno stilista di moda porterebbe volentieri; spara microfreccette che volano cinque volte più veloci di un aereo spia SR-71 e, quando hai finito di usarla, la infili nell’accendisigari per la ricarica.
Il recapitator non ha mai estratto la pistola in preda all’ira o alla paura. Solo una volta ha dovuto sparare, a Gila Highlands. Alcuni punk di questo elegante residenclave volevano una consegna, ma senza pagare. E credevano di impressionare il recapitator con una mazza da baseball. Il recapitator, allora, ha tirato fuori la pistola e, dopo aver puntato il suo mirino laser sulla mazza Louisville Slugger in posizione, ha fatto fuoco. Il rinculo è stato enorme, come se l’arma gli fosse scoppiata in mano. La parte centrale della mazza si è trasformata in una colonnina di segatura incandescente che schizzava in tutte le direzioni come una stella in esplosione. E il punk si è ritrovato in mano l’impugnatura della mazza da cui si levava un fumo biancastro. Sguardo idiota stampato in faccia. Dal recapitator non aveva avuto che guai.
Da quella volta, il recapitator ha riposto la pistola nel cruscotto per affidarsi a una coppia assortita di spade da samurai che, del resto, sono sempre state le sue armi preferite. Il recapitator era stato costretto a sparare perché i punk di Gila Highlands non si erano spaventati di fronte alla pistola. Le spade, invece, non hanno bisogno di dimostrazioni.
L’auto del recapitator ha abbastanza energia potenziale accumulata nelle batterie da sparare mezzo chilo di pancetta tra gli asteroidi. A differenza dei bimbo box e dei trabiccoli suburbani, l’auto del recapitator scarica la sua potenza attraverso sfinteri ben lucidati che si aprono lampeggiando. Quando il recapitator schiaccia l’acceleratore, succede un gran merdaio. Vogliamo parlare di superfici di contatto? Le auto normali hanno pneumatici con superfici di contatto minuscole: comunicano con l’asfalto in quattro punti larghi quanto la vostra lingua. L’auto del recapitator, invece, monta grossi pneumatici con superfici di contatto larghe come le cosce di una cicciona. Il recapitator aderisce alla strada: parte come un uragano e inchioda su una peseta.
Ma perché il recapitator è così equipaggiato? Perché la gente conta su di lui: il recapitator è un modello di comportamento in azione. L’America è così. La gente fa quel cazzo che le gira – qualcosa in contrario? – perché è suo diritto. E perché ha le pistole, cazzo, e nessuno la può fermare. Proprio per questo, però, l’America vanta una delle peggiori economie del mondo. A conti fatti – a proposito di bilancia commerciale –, dopo che abbiamo esportato tutto il nostro sapere tecnologico, e il divario con gli altri paesi si è ridotto a zero, al punto che abbiamo cominciato a comprare automobili costruite in Bolivia e forni a microonde prodotti in Tagikistan; dopo che il nostro vantaggio nel campo delle materie prime è stato annullato dalle navi e dai dirigibili giganti di Hong Kong, capaci di trasportare il Nord Dakota in Nuova Zelanda per pochi centesimi; dopo che la Mano Invisibile ha preso tutte le iniquità storiche e le ha spalmate sul globo a formare un vasto strato di una roba che un mattonaio pakistano chiamerebbe prosperità – be’, che cosa abbiamo? Che sono rimaste solo quattro cose che noi americani sappiamo fare meglio di chiunque altro:
musica
film
microcadici (software)
consegna di pizze ultrarapida.
Un tempo il recapitator produceva software. E lo fa ancora, a volte. Ma se la vita fosse una simpatica scuola elementare, diretta da pedagoghi benintenzionati, sulla pagella del recapitator si leggerebbe: «Hiro è molto creativo e intelligente, ma deve migliorare le sue capacità di cooperare con i compagni».
Ora ha quest’altro lavoro. Non si richiede creatività né intelligenza, ma neanche spirito cooperativo. Vige un’unica regola: il recapitator va a testa alta e vi consegna la pizza in trenta minuti, altrimenti potete non pagare, ammazzarlo, prendergli l’auto e intentargli causa. Il recapitator fa questo mestiere da sei mesi – una durata niente male per la sua media – e non ha mai consegnato una pizza in più di ventuno minuti.
Ah, prima si litigava spesso per i tempi di consegna, intere annate di lavoro d’autista buttate via: padroni di casa paonazzi e sudati per le loro stesse menzogne e fetenti di Old Spice e stress lavorativo che brandivano il loro Seiko all’entrata gialla fiammante delle loro abitazioni e che, indicando l’orologio sopra il lavandino della cucina, dicevano: «Vi giuro! La sapete leggere l’ora, o no?».
Non è più successo. Il recapito della pizza è ora un’industria di prim’ordine. Un’industria ben organizzata. C’è gente che, per imparare il mestiere, ha frequentato l’Università di CosaNostra Pizza per quattro anni. Sono arrivati dall’Abkhazia, dal Ruanda, da Guanajuato, dal New Jersey del Sud senza sapere scrivere una frase in inglese e sono usciti che conoscevano la pizza più di quanto un beduino conosca la sabbia. E hanno studiato il problema; prodotto grafici sulla frequenza delle liti agli ingressi delle case; piazzato microfoni addosso ai recapitator pivellini per registrare e poi analizzare le tecniche di discussione, gli istogrammi sull’intonazione della voce, le particolari strutture grammaticali utilizzate dai borghesi bianchi dei residenclave di serie A, i quali, contro ogni logica, avevano deciso di cogliere l’occasione per opporre la loro personale e custeriana resistenza contro tutto ciò che vi era di stantio e morente nella loro vita: avrebbero mentito o si sarebbero autoingannati sul momento esatto della chiamata, guadagnandosi così una pizza gratis. Anzi, loro se la meritavano una pizza gratis, insieme alla vita che facevano, alla libertà e a chissà cos’altro: era un loro diritto inalienabile, cazzo. Hanno mandato degli psicologi a casa di questa gente, hanno regalato loro un televisore purché in cambio si sottoponessero a interviste anonime, li hanno attaccati a dei poligrafi e hanno studiato le loro onde cerebrali durante la proiezione di filmati indecifrabili di pornostar, incidenti automobilistici notturni e Sammy Davis jr., li hanno messi in stanze profumate con aromi dolciastri e dalle pareti lilla ponendo loro quesiti sull’etica così imbarazzanti che neanche un gesuita sarebbe riuscito a rispondere senza commettere peccato veniale.
Gli analisti dell’Università di CosaNostra Pizza sono giunti alla conclusione che reazioni di questo genere appartengono alla natura umana e che quindi non ci si può fare niente. Si è optato, allora, per una soluzione tecnica a buon mercato: le scatole intelligenti. La confezione della pizza è ora in simil-carapace, ondulato e rigido, con una piccola spia luminosa su un lato che ricorda al recapitator quanti minuti antieconomici sono trascorsi dal momento della fatidica telefonata. Ci sono i chip e tutto il resto. Le pizze, in numero limitato, sono riposte in alcuni scompartimenti dietro la testa del recapitator. Ogni pizza plana nel suo scompartimento come un circuito in un computer e si sistema al suo posto non appena la scatola intelligente si interfaccia col sistema di bordo dell’auto del recapitator. L’indirizzo del cliente è stato già dedotto dal numero di telefono e inserito nella RAM incorporata nella scatola intelligente. Questa lo comunica al computer di bordo che a sua volta individua e proietta il percorso ottimale sotto forma di mappa luminosa e a colori tracciata sul parabrezza, in modo che il recapitator non debba nemmeno abbassare lo sguardo.
Se il tempo limite di trenta minuti scade, la notizia del disastro viene immediatamente comunicata al quartier generale di CosaNostra Pizza che, a sua volta, la trasmette a Zio Enzo in persona – il colonnello Sanders siciliano, l’Andy Griffith di Bensonhurst, il fantasma che brandisce il rasoio in molti incubi del recapitator, Capo indiscusso e figura centrale di CosaNostra Pizza, Inc. – che nel giro di cinque minuti telefona al cliente e inizia a profondersi in scuse. Il giorno dopo, Zio Enzo atterra nel giardino di casa del cliente col suo elicottero a reazione, si scusa ancora un po’ e poi gli regala un viaggio in Italia: al cliente si chiede solo di sottoscrivere una serie di dichiarazioni che faranno di lui un personaggio pubblico e il portavoce ufficiale di CosaNostra Pizza, ponendo fine, in sostanza, alla sua vita privata di sempre. Al termine di tutta questa storia gli rimarrà la vaga sensazione di dovere un favore alla Mafia.
Il recapitator non sa di preciso cosa succeda all’autista in casi del genere, ma ha sentito qualche storia al riguardo. La maggior parte delle consegne di pizze avviene di sera, proprio nelle ore che Zio Enzo considera il suo momento di privacy. E come vi sentireste voi, se foste costretti a interrompere la cena con la famiglia per chiamare un coglione che sbraita in qualche residenclave e a umiliarvi per una fottutissima pizza in ritardo? Zio Enzo non ha passato cinquant’anni della sua vita al servizio della famiglia e della patria, per poi dovere uscire dalla vasca da bagno ancora grondante e – a un’età in cui la maggior parte della gente trascorre il tempo giocando a golf e facendo pat-pat sulla testa delle nipotine – chinarsi a baciare i piedi di uno skate-punk sedicenne che ha ricevuto la sua pizza alle salsicce a trentun minuti dalla chiamata. Oh, Cristo! Il semplice pensiero fa un po’ mancare l’aria al recapitator.
Ma non lavorerebbe per CosaNostra Pizza a nessun’altra condizione. Sapete perché? Perché c’è un che di affascinante nel mettere la propria vita in gioco. È come essere un kamikaze. La mente è serena. Gli altri – commessi di supermercati, giratori di hamburger, ingegneri informatici, tutta quella serie di mestieri insignificanti su cui si fonda la Vita in America – sono improntati alla competizione pura e semplice. L’importante è girare gli hamburger ed eliminare i difetti dalle sub-routine meglio e più rapidamente di quanto non faccia il compagno di liceo due isolati più in là, perché siamo sempre in competizione, e la gente fa caso a queste cose.
Che sistema del cazzo… Per CosaNostra Pizza non esiste competizione. Va contro l’etica della Mafia. Tu non ti impegni perché sei in gara con uno che sta compiendo la tua stessa operazione in fondo alla via. Ti impegni perché hai tutto in gioco: il nome, l’onore, la famiglia, la vita. Quei giratori di hamburger avranno una più alta speranza di vita, ma quale vita?, c’è da chiedersi. Ecco perché nessuno, nemmeno i giapponesi, è in grado di consegnare le pizze più velocemente di CosaNostra. Il recapitator è fiero di indossare l’uniforme, fiero di guidare l’auto, fiero di percorrere la stradine che portano alle innumerevoli case dei residenclave, cupa visione nero-ninja, la pizza sulle spalle e un LED a cifre rosse che fende intrepido l’oscurità: 12.32 oppure 15.15 o a volte 20.43.
Il recapitator è assegnato al distretto di CosaNostra Pizza n. 3569 nella Valley. La California del Sud non sa se darsi una mossa o strangolarsi direttamente. Non ci sono abbastanza strade rispetto al numero di abitanti. La Fairlanes, Inc. continua a costruirne. Per fare questo deve spianare un fottio di isolati, ma tutte quelle costruzioni degli anni Settanta e Ottanta sono lì apposta per essere demolite, o no? Non un marciapiede, non una scuola, niente di niente. Non hanno una loro forza di polizia e non c’è alcun controllo ...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Introduzione. di Bruce Sterling
  4. NEUROMANTE. di William Gibson
  5. SNOW CRASH. di Neal Stephenson
  6. LA MATRICE SPEZZATA. di Bruce Sterling
  7. MIRRORSHADES
  8. Postfazione. Il futuro non è scritto. di Francesco Guglieri
  9. Copyright