Lok stava correndo il più velocemente possibile. Aveva il capo chino e teneva orizzontalmente il suo cespuglio spinoso per restare in equilibrio, mentre con la mano libera scostava i profluvi di germogli dai colori vivaci. Liku gli stava a cavalcioni sul dorso, ridendo, afferrandosi con una mano ai riccioli castani che gli crescevano sul collo e lungo la schiena, mentre con l’altra teneva la piccola Oa bene al riparo sotto il mento di Lok. I piedi di Lok erano ingegnosi. Vedevano. Gli facevano scansare le radici affioranti dei faggi, scattavano in un balzo ogni qual volta una pozzanghera si trovasse su quella traccia di sentiero. Liku gli martellava il ventre con i calcagni.
«Più veloce! Più veloce!»
I piedi ora gli davano fitte lancinanti; Lok sbandò, rallentando. Adesso potevano udire il fiume, che scorreva parallelo, ma nascosto, alla loro sinistra. I faggi si aprirono, i cespugli scomparvero e loro si ritrovarono nella piccola striscia di fanghiglia dove era il gran tronco d’albero.
«Ecco, Liku.»
L’acqua color onice della palude si stendeva davanti a loro, dilatandosi fino a diventar fiume. La pista lungo il fiume riprendeva dall’altra parte, su un terreno che saliva fino a perdersi tra gli alberi. Lok, con un sorriso di contentezza, fece due passi verso l’acqua e si fermò. Il suo sorriso si spense e la bocca gli si aprì fino a lasciar penzoloni il labbro inferiore. Liku, scivolandogli lungo il ginocchio, calò a terra. Si portò la testa della piccola Oa alla bocca e guardò al di sopra di lei.
Lok ebbe un riso incerto.
«Il tronco non c’è più.»
Chiuse gli occhi e si accigliò all’immagine del tronco. Era sempre stato nell’acqua dall’una all’altra riva, grigiastro, putrido. A camminarci sopra nel suo centro potevi sentir l’acqua che ti scorreva sotto gorgogliando, acqua orribile, in certi punti profonda fino all’altezza della spalla di un uomo. L’acqua non era desta come il fiume o la cascata, ma assopita, fluendo là verso il fiume, risvegliandosi, distendendosi a destra nelle solitudini di paludi intransitabili, di boschi e pantani. Era stato così certo, Lok, di quel tronco, che la gente usava sempre, che riaprì gli occhi, cominciando a sorridere come se stesse destandosi da un sogno; ma il tronco non c’era più.
Fa venne trotterellando sulla pista. Il piccolo le dormiva sulla schiena. Non aveva paura che le cadesse perché ne sentiva le mani che le si aggrappavano ai peli della nuca e i piedi che le stringevano i peli della schiena, ma trotterellava dolcemente, per non svegliarlo. Lok la udì venire prima ancora che Fa comparisse tra i faggi.
«Fa! Il tronco non c’è più!»
Lei venne sul bordo dell’acqua, guardò, annusò l’aria, poi si volse con aria di accusa verso Lok. Non ebbe bisogno di parlare. Lok cominciò a scuotere il capo, in risposta.
«No, no. Non sono stato io a rimuovere il tronco per far ridere la gente. Se n’è proprio andato.»
Lok allargò le braccia per indicare la totalità di quell’assenza, vide che Fa aveva capito, e le lasciò ricadere lungo i fianchi.
Liku lo chiamò.
«Fammi dondolare.»
Lei stava allungando il braccio verso un grosso ramo di faggio che pendeva dall’albero come un lunghissimo collo, risaliva verso la luce e offriva una bracciata di gemme verdi e marrone. Lok abbandonò il tronco che non c’era più e spinse Liku dentro l’incavo del ramo, spostandosi di lato, sempre più all’indietro a ogni passo che faceva, mentre il ramo scricchiolava.
«Ecco!»
Lasciò libero il ramo e si acquattò sui talloni. Il ramo scattò via e Liku lanciò un urlo di gioia.
«No! No!»
Ma Lok la spinse in alto ancora e ancora e la bracciata di foglie trasportò Liku, che urlava e rideva e protestava, lungo il bordo dell’acqua. Fa continuava a guardare l’acqua e poi Lok e poi ancora l’acqua. S’era accigliata di nuovo.
Ha comparve sulla pista, a passo rapido, ma senza correre, uomo più riflessivo di Lok, particolarmente abile nel risolvere situazioni complicate. Quando Fa cominciò a chiamarlo, non rispose subito, ma guardò l’acqua deserta e poi più a sinistra, dove si poteva vedere il fiume oltre l’arco dei faggi. Quindi ispezionò la foresta con l’udito e il fiuto, qualora vi si trovassero degli intrusi, e solo quando fu certo che tutto era sicuro depose a terra il suo cespuglio spinoso e s’inginocchiò presso l’acqua.
«Guarda!» disse.
Il suo dito puntato indicava gli squarci sotto l’acqua, là dove il tronco si era spostato. Gli orli erano ancora precisi, e frammenti di terra strappata restavano nelle buche, non ancora disgregati dalla corrente che li ricopriva. Lui seguì il contorno degli squarci che s’incurvavano nell’acqua, fino a scomparire in quell’oscurità. Fa spinse lo sguardo sull’altra riva, là dove ricominciava la pista interrotta. C’era della terra risucchiata nel punto in cui era stato l’altro capo del tronco. Fa rivolse ad Ha una domanda e Ha le rispose usando le parole.
«Un giorno. Forse due giorni. Non tre.»
Liku stava ancora urlando di gioia.
Ora comparve Nil sulla pista. Gemeva sommessa, come soleva fare quando era stanca e affamata. Ma sebbene la pelle ricadesse flaccida sul suo corpo massiccio, le sue mammelle erano tese e ricolme e il bianco latte spuntava sui capezzoli. Chiunque altro avesse dovuto patir la fame, non sarebbe certo stato il piccolo. Gli lanciò un’occhiata mentre se ne stava aggrappato alla criniera di Fa, vide ch’era addormentato e allora si avvicinò ad Ha e gli toccò il braccio.
«Perché sei andato via? Hai nella testa più immagini di Lok.»
Ha indicò l’acqua.
«Sono venuto in fretta per vedere il tronco.»
«Ma il tronco non c’è più.»
I tre stettero a guardarsi. Quindi, come accadeva spesso alla gente, ci fu uno scambio di sentimenti fra loro. Fa e Nil ebbero in comune un’immagine di Ha che pensava. Lui aveva pensato di doversi accertare che il tronco fosse ancora al suo posto, perché, se l’acqua aveva portato via il tronco o se il tronco se n’era andato via per suo conto, allora la gente avrebbe dovuto sottoporsi a una marcia d’un giorno per fare il giro della palude, e ciò significava pericolo o disagi ancor più grandi del solito.
Lok gettò ora tutto il suo peso contro il grosso ramo e gli impedì di sollevarsi ancora. Zittì Liku e lei sdrucciolò giù e gli rimase accanto. La vecchia stava venendo sulla pista, potevano udirne lo scalpiccio, il respiro. La videro comparire da dietro l’ultimo tronco, era piccina e grigia, curva, remota nella contemplazione del fardello avvolto di foglie che si teneva stretto nelle mani presso il seno avvizzito. La gente se ne stava raccolta e la salutò col suo silenzio. Lei non disse nulla ma rimase in attesa, con una specie di umile pazienza, di ciò che poteva venire. Soltanto il fardello le calò un poco tra le mani e fu risollevato in modo che la gente rammentasse quanto era pesante.
Lok fu il primo a parlare. Si rivolse agli altri in generale, ridendo, ascoltando soltanto le parole che uscivano dalla sua bocca, ma con una gran voglia di ridere. Nil ricominciò a lamentarsi.
Ora potevano udire tutti l’ultimo del gruppo venire per la pista. Era Mal, che camminava a passo lento e tossicchiava ogni tanto. Comparve da dietro l’ultimo tronco d’albero, si fermò presso il margine della radura, si piegò a fatica sull’estremità spezzata del suo cespuglio spinoso e cominciò a tossire. E mentre lui si piegava gli altri poterono vedere dove la capigliatura bianca era caduta lungo una striscia che partiva da dietro le sopracciglia sulla testa e proseguiva dentro la massa villosa tra le sue spalle. La gente non disse nulla mentre Mal tossiva, ma aspettò, immobile come cervo all’erta, col fango che saliva in malloppi quadrati e poi si allungava e rovesciava tra le dita dei piedi. Una nuvola modellata con perfetto rilievo si stava allontanando dal sole e gli alberi filtravano la fredda luce del sole sui corpi nudi.
Finalmente Mal finì di tossire. Cominciò a raddrizzarsi appoggiandosi sul cespuglio di rovi e portando le mani una sull’altra lungo il bastone formato dal cespuglio. Guardò l’acqua, poi ognuno dei presenti, a turno, e loro stavano sempre in attesa.
«Ho un’immagine.»
Liberò una mano e se la mise piatta sulla testa come per tenervi racchiuse le forme che vi ronzavano.
«Mal non è vecchio, ma si aggrappa alla schiena di sua madre. C’è dell’acqua non soltanto qui ma lungo la pista dove siamo venuti. C’è un uomo saggio. Fa prendere agli uomini un albero che è caduto e…»
I suoi occhi molto incassati nelle orbite si volsero verso la gente implorandola di condividere con lui un’immagine. Tossì ancora, sommessamente. La vecchia sollevò meticolosamente il suo fardello.
Finalmente, Ha parlò.
«Io non vedo questa immagine.»
Il vecchio sospirò e si tolse la mano dal capo.
«Trovate un albero che sia caduto.»
Docilmente uomini e donne si sparsero sull’argine. La vecchia si avvicinò al ramo su cui s’era dondolata Liku e vi posò sopra le mani giunte. Ha fu il primo a chiamarli. Gli corsero accanto e si misero ad annaspare nella liquida fanghiglia in cui erano affondati fino alle caviglie. Liku trovò delle bacche annerite, avanzate dalla stagione della frutta. Mal sopraggiunse e rimase a guardare accigliato il tronco. Era quello di un faggio, non più grosso della coscia di un uomo, un tronco semisepolto nella melma e nell’acqua. La scorza si staccava in vari punti e Lok cominciò a strapparne via le fungosità colorate. Qualche fungo era buono da mangiare e Lok lo dette a Liku. Ha, Nil e Fa cominciarono a porre mano goffamente al tronco. Mal sospirò ancora.
«Aspettate. Ha laggiù. Fa qui. E anche Nil. Lok!»
Il tronco venne su facilmente. Vi erano attaccati ancora dei rami, che s’impigliavano nei cespugli, pescavano nella fanghiglia e li intralciavano, mentre lo trascinavano faticosamente all’indietro, verso la nera strozzatura dell’acqua. Il sole si nascose ancora una volta.
Quando arrivarono sull’argine, il vecchio rimase a guardare con la fronte aggrottata la terra smossa sull’altra riva.
«Fate galleggiare il tronco.»
Cosa che si rivelò delicata e difficile. Comunque maneggiassero il legno inzuppato, i loro piedi finivano sempre nell’acqua. Alla fine il tronco si stabilizzò in superficie, e Ha si sporgeva sulla corrente e ne teneva l’estremità. L’altro capo affondò un poco. Ha cominciò a sostenere con una mano e a tirare con l’altra. La testa fronzuta del tronco avanzò lentamente nell’acqua e andò infine a posarsi sulla melma dell’altra riva. Lok si mise a farfugliare beato di ammirazione, la testa rovesciata all’indietro, mentre le parole gli uscivano a casaccio. Nessuno badò a Lok, ma il vecchio si era accigliato e si premeva entrambe le mani sul capo. L’altra estremità del tronco era sommersa per forse due volte la lunghezza di un uomo, ed era inoltre la parte più sottile. Ha guardò interrogativamente il vecchio, che si premette ancora le mani sul capo e tossì. Ha trasse un sospiro e deliberatamente mise un piede nell’acqua. Quando vide ciò che stava facendo, la gente si mise a gemere in segno di solidarietà. Ha si calò con somma cautela storcendo la faccia, e la gente storse la faccia insieme a lui. Ansimò, a corto di fiato, costringendosi a scendere fino ad avere l’acqua al ginocchio, e le sue mani afferrarono la scorza marcita del tronco arricciandola. Ora egli affondava con una mano e sollevava con l’altra. Il tronco rotolò, i rami agitarono una fanghiglia gialla e marrone che salì in un vortice di foglie roteanti, il capo del tronco apparve alla superficie e si adagiò sull’altra riva. Ha spinse con tutta la sua forza, ma i rami sparpagliati erano troppo per lui. C’era ancora un vuoto, là dove il tronco s’incurvava sott’acqua, dall’altra parte. Ha tornò sulla terraferma, guardò grave la gente. Mal lo fissava fiducioso, stringendo di nuovo, ora, con entrambe le mani, il roveto. Ha si diresse là dove la pista si allargava nella radura. Raccattò il suo cespuglio di rovi e si accosciò. Per un istante si sporse in avanti, quindi proprio mentre cadeva i piedi lo sorressero in tempo e attraversò come un lampo la radura. Saltò quattro volte sul tronco, piegandosi ogni volta fino quasi a sfiorare col capo le ginocchia; infine il tronco balzò su dall’acqua e Ha volava in aria, i piedi raccolti sotto e le braccia spalancate. Piombò su un mucchio di foglie e di terriccio. Era dall’altra parte. Si voltò, afferrò l’estremità del tronco e la issò: e la pista era di nuovo collegata al di sopra dell’acqua.
La gente lanciò un urlo di sollievo e di gioia. Il sole scelse quell’istante per ricomparire, così che il mondo intero parve partecipe del loro piacere. Applaudivano Ha battendosi le palme delle mani contro le cosce, e Lok condivideva il loro gaudio insieme a Liku.
«Vedi, Liku? Il tronco attraversa l’acqua. Ha possiede molte immagini!»
Quando si furono infine calmati, Mal puntò il suo roveto verso Fa: «Fa e il piccolo».
Fa cercò a tentoni il piccolo. La massa villosa che le cresceva sul collo lo ricopriva ed essi potevano vederlo ben poco, ma lui si aggrappava con le mani e i piedi a ogni singola ciocca villosa. Fa si spinse sull’argine, allargò le braccia sui fianchi e si mise a correre abilmente sul tronco, superò d’un balzo l’ultimo tratto e si ritrovò accanto ad Ha. Il piccolo si svegliò, si sporse a guardare attraverso il vello sopra la spalla di Fa, spostò la presa di un piede e si riaddormentò.
«Ora Nil.»
Nil si accigliò, corrugando la pelle sulla fronte. Ne allontanò con la mano i riccioli, fece una smorfia dolorosa e si mise a correre verso il tronco. Teneva le mani bene in alto sopra la testa e, quando fu alla metà circa del tronco, cominciò a lanciare delle urla.
«Ehi! Ehi! Ehi!»
Il tronco si stava inclinando, affondava. Nil giunse alla parte più sottile, saltò molto in alto, con le turgide mammelle sobbalzanti, e calò nell’acqua fino alle ginocchia. Con un urlo trasse i piedi dalla fanghiglia vischiosa, afferrò la mano tesa di Ha e alla fine ansimava e rabbrividiva tutta, bene all’asciutto sulla terraferma.
Mal si avvicinò alla vecchia e le parlò con dolcezza: «Porterà ora la vecchia il fardello dall’altra parte?».
La vecchia si scosse solo in parte dalla sua contemplazione interiore. Si avvicinò alla riva, sempre tenendo le mani piene bene alte sul petto. C’era poco nel suo corpo oltre a pelle, ossa e radi velli bianchi. Quando finalmente avanzò a passo rapido sul tronco, questo agitò appena l’acqua.
Mal si chinò verso Liku.
«Vuoi attraversare?»
Liku si tolse la piccola Oa di sotto la bocca e strofinò la massa di riccioli rossicci contro la coscia di Lok.
«Andrò con Lok.»
Cosa che accese una specie di luce abbagliante, solare, nella testa di Lok. Lok spalancò la bocca, rise sgangheratamente e si mise a parlare agli altri, sebbene ci fosse ben poco nesso tra le immagini fuggevoli e le parole che gli salivano alle labbra. Vide che Fa gli rideva in risposta e Ha sorrideva gravemente.
Nil gridò loro dall’altra parte: «Attenta, Liku. Tieniti stretta».
Lok tirò una ciocca dei peli ricciuti di Liku.
«Su.»
Liku gli prese la mano, si aggrappò al ginocchio di Lok con un piede e si arrampicò fino ai riccioli della sua schiena. La piccola Oa se ne stava nella calda mano di lei, sotto il mento di Lok. Liku gli gridò: «Avanti, ora».
Lok tornò difilato sulla pista sotto i faggi. Scrutò l’acqua, fece per lanciarsi avanti ma si fermò con una sdrucciolata. Sull’altra riva, la gente rideva. Lok si mise a correre avanti e indietro, fermandosi ogni volta di colpo presso l’estremità del tronco. Urlò: «Guardate Lok, il grande saltatore!».
Orgogliosamente si fece avanti tronfio e pettoruto, ma poi il suo orgogli...