Un sabato mattina alle sette mi squillò il cellulare. C’è una sola persona al mondo che osi chiamarmi a quell’ora.
«Parlo con il mio figlio minore, Ian?» chiese mia madre, fingendo di non essere certa di aver fatto il numero giusto.
«Sì, sono io» risposi, stando al gioco.
«A cosa stai lavorando?» mi domandò.
Al momento non stavo lavorando a niente. Ero in cucina in mutande a chiedermi perché la macchinetta del caffè stesse rantolando e a immaginare ogni possibile, triste conclusione di una conversazione mattiniera con mia madre se la macchinetta si fosse rotta, privandomi della prima tazza della giornata.
«Sto pensando di scrivere un manualetto sull’Enneagramma» dissi, occhieggiando con gratitudine un nero rivolo di amorevole caffè che mi riempiva la tazza.
«Sul sonogramma?» rispose.
«No, sul…»
«Anagramma?» continuò, sparando una seconda raffica prima che riuscissi a fermarla.
«Enneagramma. Enneagramma!» ripetei.
«Cos’è un enne-gramma?» chiese.
Mia madre ha ottantadue anni. Per sessantasette di questi ottantadue anni ha fumato Pall Mall, riuscendo a evitare l’esercizio fisico e mangiando bacon impunemente. Non ha mai avuto bisogno di occhiali né di apparecchi acustici e ha una mente così attiva e acuta da far pensare che nicotina e inattività fisica siano il segreto per una vita lunga e felice. Aveva sentito benissimo ciò che avevo detto la prima volta.
Sorrisi e continuai con un discorsetto introduttivo sull’Enneagramma. «L’Enneagramma è un antico sistema di tipizzazione della personalità. Ti aiuta a capire chi sei e quali sono le motivazioni che ti spingono ad agire» spiegai.
All’altro capo del filo non si sentiva volare una mosca. Ebbi la sensazione di essere stato gettato d’impeto nel buco nero di una galassia lontana.
«Lascia perdere l’angiogramma. Scrivi piuttosto un libro su come andare in paradiso e tornare indietro» disse. «Sono quegli autori lì che fanno i soldi.»
Feci una smorfia. «Prima devono anche morire.»
«Dettagli» mormorò, e scoppiammo a ridere.
La tiepida reazione di mia madre all’idea di scrivere un libro sull’Enneagramma mi fece riflettere. Anch’io avevo qualche riserva sul progetto.
Quando mia nonna non sapeva come interpretare qualcosa diceva che era «originale». Sospetto che descriverebbe l’Enneagramma proprio così. Nessuno sa con certezza quando, dove o chi abbia avuto per primo l’idea di questa mappa della personalità umana. Ciò che è chiaro è che da tanto tempo è un work in progress. Alcuni ne fanno risalire l’origine a un monaco cristiano di nome Evagrio, i cui insegnamenti costituirono la base di quelli che in seguito diventarono i Sette Peccati Capitali, e alle Madri e ai Padri del deserto del IV secolo, che lo usavano come supporto spirituale. Secondo qualcuno, gli elementi dell’Enneagramma compaiono anche in altre religioni, compresi il sufismo (la tradizione mistica all’interno dell’Islam) e l’ebraismo. Nei primi anni del Novecento, un insegnante senza dubbio strano di nome Georges Gurdjieff ricorse all'antica figura geometrica a nove punte, o enneagramma, per insegnare materie esoteriche non correlate ai tipi di personalità. (Lo so, lo so: se concludessi la storia qui, mi basterebbe aggiungerci Harrison Ford e una scimmietta per avere l’antefatto di un film di Indiana Jones. Ma aspettate, la trama si sfoltisce!)
All’inizio degli anni Settanta, un cileno di nome Óscar Ichazo si imbatté nell’Enneagramma e vi diede un contributo significativo, come fece anche uno dei suoi allievi, lo psichiatra Claudio Naranjo, che aveva studiato negli Stati Uniti e che lo sviluppò ulteriormente intessendovi interpretazioni tratte dalla psicologia moderna. Naranjo riportò l’Enneagramma negli Stati Uniti e lo presentò a un gruppetto di studenti in California, tra cui un prete gesuita educatore del Loyola Seminary in anno sabbatico, padre Robert Ochs.
Colpito dall’Enneagramma, quando tornò al Loyola Ochs lo insegnò ai seminaristi e ai preti. Ben presto acquisì popolarità fra il clero, i padri spirituali, le guide dei ritiri religiosi e i laici, come aiuto alla formazione spirituale cristiana.
Se le sue origini imprecise non bastassero a spaventare i più testardi, non esistono prove scientifiche che dimostrino che l’Enneagramma sia uno strumento affidabile di misurazione della personalità. A chi importa che milioni di persone ne sostengano l’accuratezza? Grizzly Man pensava di poter fare amicizia con gli orsi, e sappiamo com’è andata a finire.
Quindi cosa mi spingeva a credere che scrivere un libro su un sistema di tipizzazione della personalità arcaico, dalle origini incerte e non sostenuto da prove scientifiche fosse una buona idea?
Per rispondere a questa domanda devo presentarvi un monaco alto e occhialuto, dallo sguardo saggio e dal sorriso dolce: Fratello Dave.
Per dieci anni sono stato il pastore fondatore di una chiesa del Connecticut. Amavo la gente, ma intorno al settimo anno la frequenza domenicale media contava cinquecento persone, e io stavo esaurendo le batterie. Era chiaro che alla chiesa servisse un pastore con talenti diversi, qualcuno che avesse attitudine al comando più che spirito imprenditoriale, come me. Per tre anni provai di tutto, a parte la chirurgia, per trasformarmi nel genere di leader che volevo essere e che pensavo servisse alla chiesa, ma il progetto era destinato al fallimento fin dall’inizio. Più tentavo, più la situazione peggiorava. Feci più passi falsi io di uno che corre in un campo minato indossando scarpe da clown. Me ne andai in un clima di confusione, sentimenti feriti e incomprensioni. Per me fu straziante.
Ero deluso e smarrito. Alla fine, un amico preoccupato mi incoraggiò a parlare con Fratello Dave, monaco benedettino e padre spirituale di settant’anni.
Quando posai gli occhi per la prima volta su Fratello Dave, con il suo abito nero e i sandali, se ne stava sulla rotonda ricoperta di erba in fondo al vialetto d’ingresso del monastero per accogliermi. Tutto, dal modo in cui usò entrambe le mani per afferrare la mia a come mi sorrise dicendo: «Benvenuto, viaggiatore, posso offrirti un caffè?», mi assicurò che ero nel posto giusto.
Ci sono monaci che passano le loro giornate nel gift shop del monastero a vendere candele votive e forme giganti di formaggio fatto in casa, ma Fratello Dave non è uno di loro. Lui è un saggio padre spirituale che sa quando è ora di consolare e quando è ora di discutere.
Durante i nostri primi incontri, Fratello Dave mi ascoltò con pazienza mentre ripetevo la litania di errori e calcoli sbagliati che avevo compiuto nel mio ministero e che a posteriori mi sconcertavano. Perché avevo detto e fatto tante cose che all’epoca mi sembravano giuste, ma che ora apparivano chiaramente insensate e a volte dannose per me stesso e per gli altri? Com’era possibile, con tanti punti ciechi, avere ancora il permesso di guidare la macchina? Mi sentivo estraneo a me stesso.
Al quarto incontro cominciavo ormai a parlare come un escursionista sperduto e fuori di sé, che mentre cercava un sentiero per uscire dalla foresta discuteva a voce alta con se stesso, chiedendosi prima di tutto come diavolo avesse fatto a perdersi.
«Ian,» disse Fratello Dave interrompendo le mie divagazioni «perché sei qui?»
«Scusa?» feci, come se qualcuno mi avesse appena dato un colpetto sulla spalla, svegliandomi da un sogno a occhi aperti.
Lui sorrise e si sporse in avanti sulla sedia. «Perché sei qui?»
Fratello Dave aveva il dono di fare domande che sembravano di una semplicità quasi offensiva, fino a quando non provavi a rispondere. Guardai fuori dalle finestre piombate, nella parete alle sue spalle. Vidi un olmo gigantesco, con i rami che si piegavano verso terra sotto il peso del vento. Mi sforzai di trovare le parole per esprimere ciò che volevo dire, senza riuscirci. Le parole che mi vennero in mente non erano mie, ma coglievano alla perfezione ciò che volevo comunicare.
«Non capisco davvero me stesso, perché voglio fare ciò che è giusto, ma non lo faccio. Invece, faccio ciò che detesto» dissi, sorpreso del fatto di essere riuscito, proprio io che avevo sempre problemi a ricordare il mio numero di cellulare, a estrarre dal cappello le parole dalla Lettera ai Romani 7 di Paolo.
«Infatti io non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio» rispose Fratello Dave, citando un verso dello stesso capitolo.
Restammo in silenzio per un istante, a riflettere sulle parole di Paolo che vorticavano luccicanti nell’aria fra noi come pulviscolo in un raggio di sole.
«Fratello Dave, non so chi sono e come sono finito in questo pasticcio» confessai, interrompendo finalmente il sogno a occhi aperti. «Ma ti sarei grato se potessi aiutarmi a capirlo.»
Fratello Dave sorrise appoggiandosi allo schienale. «Bene» disse. «Ora possiamo cominciare.»
All’incontro successivo, Fratello Dave mi chiese: «Conosci l’Enneagramma?».
«Un pochino» risposi, agitandomi sulla sedia. «Ma è una storia un po’ folle.»
Fratello Dave restò sorpreso e rise mentre gli raccontavo del mio primo incontro con quella figura, all’inizio degli anni Novanta, quando ero dottorando in seminario. Durante un ritiro di un fine settimana, mi imbattei in una copia del libro Scoprire l’Enneagramma. Alla ricerca dei nove volti dell’anima di padre Richard Rohr. Rohr descrive i tratti e le motivazioni implicite che guidano ognuno dei tipi di personalità di base dell’Enneagramma. Sulla scorta della mia esperienza di vita e di ciò che avevo imparato durante la formazione per diventare counselor, le descrizioni dei tipi fornite da Rohr mi apparivano stranamente precise. Ero certo di essere incappato in una straordinaria risorsa per i cristiani.
Il lunedì mattina chiesi a uno dei miei professori se ne avesse mai sentito parlare. Dalla sua espressione, si poteva pensare che avessi detto «pentagramma». La Bibbia condanna gli incantesimi, la stregoneria, gli oroscopi e le streghe, disse – nessuno dei quali, a quanto ricordavo, era citato nel libro – e avrei dovuto buttarlo via subito.
All’epoca ero un evangelico giovane e influenzabile, e anche se il mio istinto mi diceva che la reazione del mio professore rasentava la paranoia, seguii il suo consiglio, tranne la parte sul gettare il libro nella spazzatura. Per i bibliofili, si tratta di un peccato imperdonabile contro lo Spirito Santo. Sapevo con esattezza su quale scaffale della libreria del mio studio si trovava la mia copia malconcia del libro di Rohr.
«È un peccato che il tuo professore ti abbia scoraggiato dallo studiare l’Enneagramma» mi disse Fratello Dave. «È pieno di saggezza per coloro che vogliono liberarsi delle proprie abitudini e diventare le persone che sono state create per essere.»
«Cosa significa “liberarsi delle proprie abitudini”?» chiesi, sapendo quante volte avevo voluto fare proprio quello, nella mia vita, ma senza sapere come.
«Riguarda la conoscenza di sé. Quasi tutti credono di sapere chi sono anche se non è vero» spiegò Fratello Dave. «Non mettono in discussione la lente attraverso cui vedono il mondo: da dove è venuta, come ha plasmato la loro vita, e nemmeno se la visione della realtà che offre sia distorta o veritiera. Cosa ancora più preoccupante, la maggior parte di loro non è consapevole di come ciò che da bambini li ha aiutati a sopravvivere ora, da adulti, li ostacoli. Sono addormentati.»
«Addormentati?» ripetei, con espressione confusa.
Fratello Dave fissò un attimo il soffitto, accigliandosi. Adesso era lui a cercare la giusta combinazione di parole per rispondere a una domanda in apparenza semplice.
«Ciò che non sappiamo di noi stessi può farci del male, e ne fa a noi e agli altri» disse, puntando il dito verso di me e poi verso se stesso. «Finché rimaniamo all’oscuro di come vediamo il mondo, e delle ferite e convinzioni che hanno plasmato il nostro io, restiamo prigionieri della nostra storia. Continueremo ad attraversare la vita con il pilota automatico, facendo cose che feriscono e confondono noi stessi e chi ci sta vicino. Ci abituiamo a ripetere sempre gli stessi errori nella vita, traendone un senso di sicurezza che finisce per farci addormentare. Dobbiamo svegliarci.»
Svegliarmi. Era proprio quello che volevo.
«Lavorare con l’Enneagramma aiuta le persone a sviluppare la conoscenza di sé necessaria per capire chi sono e perché vedono il mondo e vi si relazionano in un certo modo» continuò Fratello Dave. «Quando ciò accade, puoi cominciare a liberarti delle tue abitudini e avvicinarti a essere la persona che Dio ha disposto che fossi.»
Dopo aver appreso che il suo appuntamento del pomeriggio era stato cancellato, Fratello Dave restò con me a parlare dell’importanza della conoscenza di sé lungo il cammino spirituale. Del fatto che, come dice Giovanni Calvino, «senza la conoscenza di se stessi non c’è conoscenza di Dio».
«Da secoli, i grandi maestri cristiani dicono che conoscere se stessi è importante tanto quanto conoscere Dio. Per alcuni sarà psicologia buonista, ma in realtà è solo buona teologia» disse.
Per un attimo pensai a tutti i maestri e pastori cristiani che avevo i...