Perché sei nel fango? Come ci sei finito? Hai fatto un tuffo triplo carpiato librandoti sul laghetto dietro casa e non sei atterrato esattamente dove credevi? Ti sei perso? Sei nato vicino a questa enorme pozza di sabbie mobili e ci sei piano piano sprofondato, senza nemmeno accorgertene? Partecipi a un torneo di lotta nel fango? Oppure del fango subisci il fascino e, anche se non l’hai mai confessato a te stesso, ti ci sei rotolato dentro di tua spontanea volontà, finendo per non riuscire più a capire la differenza tra sporco e pulito?
Qualsiasi sia la tua storia, è il momento di prendertene la responsabilità.
Cento per cento di responsabilità equivale al cento per cento di potere
Un giorno di tanti anni fa, in un periodo molto delicato della mia vita, per un viaggio di lavoro mi trovavo all’aeroporto Milano Malpensa. Stavo provando a dare una svolta, mi impegnavo a fondo, ma i risultati tardavano ad arrivare.
Ero abbattuto, quindi tenevo lo sguardo basso, fisso sui miei piedi. Se nessuno mi avesse avvisato, probabilmente mi sarei spiaccicato contro una porta o un palo; in compenso, ho notato una targa incastonata nel pavimento, che recitava: OGNI PASSO TI HA PORTATO QUI.
Forse voleva essere di ispirazione ai viaggiatori, a me disse tutt’altro. Fu una sorta di epifania: ma certo!… Tutti i passi che avevo fatto mi avevano portato lì, nessuno escluso. Nell’esatto punto in cui mi trovavo, in piedi su quella targa, ci ero arrivato con le mie gambe, inanellando una scelta dietro l’altra. Mio padre, mia madre, mio nonno, mia nonna, mio fratello, tutta la nostra famiglia: non c’entravano un fico secco con la mia situazione e il mio malessere. C’entrava una sola persona: io.
Ci sono messaggi che riusciamo a interiorizzare solo quando siamo pronti per ascoltarli. Se avessi letto queste parole qualche giorno prima, un anno prima, forse non sarei stato in grado di comprenderle in tutta la loro straordinaria portata trasformatrice. Quello, invece, era il mio momento, e l’ho colto al volo.
Ho iniziato allora ad assumermi la responsabilità delle mie scelte sbagliate, delle mie cantonate, delle mie scemenze, dei miei errori e delle mie deviazioni dalla “retta via”. Non ero stato costretto a farlo: nessuno mi aveva obbligato. L’avevo scelto.
È stato un cambio di mentalità forte, che ha richiesto tempo, ma oggi posso dire con cognizione di causa che prendersi il cento per cento di responsabilità della nostra vita è l’unico modo per conquistare anche il cento per cento di potere.
In Ricordati di sorridere,1 ho parlato diffusamente di questo argomento, quindi non ti ammorberò con tutte, ma proprio tutte le mie riflessioni sul tema. Credo però che sia necessario, per la tua svolta, andare un po’ in profondità e fare un esempio di che cosa intendo con “prendersi la responsabilità”.
È tardo pomeriggio, marito e moglie hanno in programma di uscire a cena per festeggiare il compleanno di un carissimo amico e stanno discutendo animatamente. Anzi, stanno proprio litigando. Mentre le discussioni sono civili e ragionevoli, e prevedono che si riesca a esprimere il proprio dissenso in modo pacato, le litigate sono un fuoco che divampa: uno dei due dice una parola storta, magari con il solo scopo di provocare una reazione, l’altro resiste, resiste, resiste, ma a un certo punto non ce la fa più, si satura, e sbotta pure lui. A quel punto il primo rallenta, cerca di ritrovare la calma, ma più il secondo gli vomita addosso tutto quello che gli passa per la testa, più a sua volta lui o lei si ricarica per una nuova esplosione. In linea puramente teorica, le liti potrebbero non finire mai. Finiscono perché uno dei due, a un certo punto, molla: smette di reagire. Con quale intenzione? Finirla lì, andarsene, stare un po’ in silenzio… I motivi possono essere numerosissimi, perché dipende dall’obiettivo che ha quella persona.
Poniamo che il marito abbia come obiettivo di passare una bella serata insieme agli amici e alla moglie, senza che nessuno tenga il broncio. Che cosa potrebbe fare? Prendersi il cento per cento di responsabilità e, a un certo punto, premere sul freno: fare una battuta, sviare il discorso, smorzare la tensione, chiedere scusa, avallare la tesi della moglie. È una scelta, consapevole, volta ad arginare l’escalation della rabbia e a raggiungere l’obiettivo che si era posto: andare a cena insieme e godersi la serata. Poi, magari, in un secondo momento potrà tirare fuori di nuovo l’argomento e provare a confrontarsi con lei in modo pacifico.
UNA RIFLESSIONE PRATICA
Trova un muro, appoggiaci una mano e comincia a spingere. Spingi, spingi, spingi ancora di più. Più spingi, più il muro spinge, te ne sei accorto?
È il terzo principio della dinamica, così come formulato da Isaac Newton: “L’azione è sempre uguale e opposta alla reazione: le azioni dei due corpi sono vicendevolmente in direzioni uguali e opposte”. Che viene sintetizzato di solito come: “A ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria”.
Se insisti nello spingere, insomma, finirai per farti male, senza essere riuscito a spostare il muro di un millimetro.
Continuare a lamentarti equivale a spingere contro i problemi: che cosa faranno i problemi secondo te? Spingeranno a loro volta, con intensità uguale a quella che tu applichi nelle tue lamentazioni!
Come uscirne? Mollando la presa. Che non significa rinunciare, ma smettere di spingere per iniziare a guardare il problema con occhi nuovi, per trovare una soluzione alla quale prima non avevi pensato.
“Ma come fa il marito a prendersi il cento per cento di responsabilità? Forse aveva ragione, magari stavano litigando per colpa della moglie…” mi domanderai.
Primo: la ragione è dei fessi, come dice mio padre. Quando anche avessimo ragione, che cosa cambierebbe? Vinceremmo forse una coppa o un premio in gettoni d’oro? A me non risulta.
Secondo: se anche fosse stata la moglie ad aizzare lo scontro, perché troppo gelosa e lamentosa, è comunque responsabilità del marito avere attratto a sé una persona di quel tipo. Se ha desiderato una donna con quelle caratteristiche è perché, in quel momento della sua vita, aveva bisogno di evolvere sotto quello specifico profilo. Può scegliere di lasciarla oppure di rimanere con lei, di tenerle il muso o di andarle incontro, sforzandosi magari di comprendere che cosa la spinga a comportarsi così. Qualsiasi scelta faccia, la responsabilità sarà comunque la sua.
NON È MAI COLPA TUA, MA SEI SEMPRE TU IL RESPONSABILE.
La responsabilità è sempre nostra in tutti i casi e in tutti i campi? Sì, sempre.
Ti faccio un esempio.
Qualche tempo fa si è rivolto a me Antonio, che si era licenziato da un lavoro in banca a tempo indeterminato per aprire insieme a un amico un negozio di articoli per le moto. Era partito a mille, sicuro che sarebbe stata per lui la svolta, poi, all’improvviso, l’amico l’aveva piantato in asso per trasferirsi all’estero. In conclusione, Antonio si era ritrovato senza attività (fallita), senza l’impiego di prima e senza amico, con il quale aveva litigato ferocemente.
Antonio non riusciva proprio a capire di avere delle responsabilità in quella vicenda: era il suo socio a essersene andato, non lui! Il socio, però, l’aveva scelto lui. Così come il settore in cui avviare l’impresa: a lui le motociclette piacevano ma non ne possedeva una, non era appassionato ai livelli maniacali dell’amico. Non conosceva i bisogni di chi le moto le utilizza e, di conseguenza, non aveva idea di come differenziare il proprio negozio e renderlo attraente per i potenziali clienti.
Finché non è riuscito a capire questo, Antonio non ha potuto apprendere le lezioni che quella storia conteneva. Se ne stava acquattato nel fango ad aspettare che qualcosa, dall’esterno, arrivasse a tirarlo fuori. Impossibile. Si è sollevato per conto suo quando si è preso il cento per cento di responsabilità e si è chiesto: “Che cosa ho sbagliato?”. Aveva sbagliato nella scelta del socio, innanzitutto, ma anche del settore; a delegare così tanto e a non ricavarsi un ruolo più attivo. E perché era successo tutto questo? Perché si era fatto trascinare dal sogno di qualcun altro senza prima fermarsi a chiedersi quale fosse il suo, ammaliato dall’idea di trasformarsi da impiegato a imprenditore, come per magia, senza fare alcunché se non qualche conto. Sarebbe stato meglio per Antonio andare un po’ in profondità prima di avviare un cambiamento, così sarebbe riuscito a cambiare in un modo a lui più confacente.
È quello che ti chiedo di fare adesso. Sei nel fango, ti senti in crisi. Invece di fustigarti con frasi vuote di significato (“è colpa mia”, per esempio, una delle più gettonate), invece di avanzare a casaccio, senza una mappa, chiediti: “Perché mi sta capitando questo? Quali decisioni mi hanno portato qui? Che cosa c’è dietro? Cosa posso imparare da tutto ciò?”.
Prenditi la responsabilità della tua vita
L’anno scorso, era appena uscito Amati per amare, avevo un mal di schiena pazzesco. Ricordo che avevo scritto le dediche sulle copie destinate ad amici e parenti da sdraiato, perché non riuscivo a stare diritto. Dovevo riprendermi, e anche con una certa urgenza: quarantotto ore dopo ci sarebbe stata la sesta edizione del mio evento “Dal sogno al successo”, sarei dovuto rimanere in piedi a parlare almeno dieci ore al giorno, per quattro giorni. Con la schiena ridotta così sarebbe stata davvero dura: mi serviva un fisioterapista.
Grazie alle ricerche di una mia collaboratrice, nel giro di qualche ora si materializzò davanti a me Ernesto, in camice bianco, con un lettino pieghevole sotto il braccio. Si guardò attorno per capire dove posizionarci, poi mi chiese di sdraiarmi e mi fece alcune domande sulla mia schiena. Dopo un po’, incuriosito, o forse per fare quattro chiacchiere, mi chiese come mai mi trovassi nella sua città, Parma.
«Dopodomani ho un evento, quattro giorni sul palco… Sarà bello ma anche impegnativo, sei la mia salvezza!» gli risposi.
«Presenti il libro?» mi chiese. Era impossibile non notarlo, la stanza d’albergo era piena di copie.
«Anche. Sono un formatore, mi occupo di crescita personale. Aiuto le persone a stare meglio, un po’ come te. Faccio eventi, scrivo libri, insegno alle persone a tirare fuori il massimo del proprio potenziale, anche con tecniche di business, marketing e comunicazione.»
«Che bello!» esclamò.
«E tu? Fai solo il fisioterapista o hai anche altri progetti? Hai un tuo studio?»
A questo punto, forse incoraggiato dalla breve presentazione di me che gli avevo appena fatto, Ernesto attaccò con una litania che, dalla scioltezza con cui la recitava, probabilmente si ripeteva almeno una decina di volte al giorno: «Dovrei aprire lo studio, ma non si può, troppi costi. E poi trovare altri colleghi di cui potersi fidare… un’impresa! Sono in un momento un po’ buio, adesso, perché faccio troppe visite ma guadagno troppo poco, e di alzare i prezzi non se ne parla, altrimenti i clienti scappano, quindi devo appoggiarmi ad altri ma così sono sempre appeso alle loro disponibilità… Uno strazio, credimi».
Insomma, era frustrato, voleva cambiare la sua situazione. Pensai subito di poterlo aiutare e mi sembrò una figata: lui stava dando una mano a me, io potevo darne una a lui.
«Guarda, non è un caso se sei capitato qui. Se vuoi ti regalo il biglietto per partecipare al mio evento» gli proposi. «Parlo proprio di questi argomenti, tra le tante cose insegno gli strumenti per trasformare la propria libera professione in un business profittevole con una strategia di scalabilità efficace. Sei di Parma, non devi organizzare viaggi né sobbarcarti spese per gli spostamenti: devi solo tenerti libero da giovedì a domenica.»
Arrivò una risposta che purtroppo non mi sorprese e che non vorrei mai ricevere: «Eh, sarebbe bello» sospirò. «Sarebbe bello…»
«Ma?» gli ho chiesto.
«Ho degli appuntamenti. Dovrei spostarli, poi dovrei parlarne con mia moglie…»
C’è chi riesce a vedere dietro le cose che succedono il tocco magico dell’universo e chi, invece, proprio non ce la fa. Non ancora, almeno. Le opportunità passano, ma finché non ci prendiamo la responsabilità della nostra vita e decidiamo che cosa è meglio per noi, non potremo coglierle.
Alla fine Ernesto non si è presentato e io ho aperto l’evento raccontando questo episodio e spiegando che, finché non ci prendiamo la responsabilità della nostra vita, continueremo a scappare, a trincerarci dietro gli appuntamenti da spostare e le mogli o i mariti con cui parlare (entrambe cose fattibilissime, quindi problemi del tutto inconsistenti), e non potremo vivere appieno.
IL TUO MESTIERE TI APPASSIONA E TI PERMETTE DI AVERE ENTRATE SODDISFACENTI E TEMPO DA DEDICARE ALLE PERSONE CHE AMI? PUOI DECIDERE CHE COSA FARE DELLA TUA VITA? SE HAI RISPOSTO “SÌ” SENZA PENSARCI TROPPO, FIGATA! SE HAI RISPOSTO “NO”, È IL MOMENTO DI CAMBIARE: LA VITA È TROPPO BREVE PER NON VIVERLA APPIENO.
Il futuro è di chi guida
Ho già accennato al fatto che, un domani nemmeno troppo lontano, ci sarà molto bisogno di leader. Da che cosa si riconosce un leader? Dalla capacità di prendersi il cento per cento di responsabilità. Scaricare la responsabilità sugli altri è l’antitesi della leadership. Il leader si prende la responsabilità sempre, anche quando è palese che non è sua, perché sa che,...