L’enorme porta dell’Inferno era priva di serrature e la scritta sulla sommità non lasciava dubbi circa la meta.
DA QUI SI VA NELLA CITTÀ DEL DOLORE, TRA LA PERDUTA GENTE.
CHI ENTRA NON SPERI DI TORNARE.PER L’ETERNITÀ.
Vedendomi sgomento, Virgilio mi prese per mano e già all’entrata udii dei pianti disumani.
«Dove siamo? Chi singhiozza così?» chiesi turbato.
«Questo non è ancora l’Inferno ma un luogo a parte» rispose Virgilio ostentando disprezzo. «Qui vivono gli ignavi…»
«Chi?»
«I vigliacchi che in vita non presero mai posizione, compresi gli angeli rimasti neutrali quando Lucifero si ribellò a Dio, indifferenti sia al Bene sia al Male. Nessuno vuole degli esseri così inutili!»
Aguzzai la vista e vidi degli uomini nudi che si percuotevano il corpo con le mani in una sorta di danza, nel vano tentativo di cacciare le vespe che li assalivano. Tra loro mi parve di riconoscere quel papa Celestino che aveva rinunciato al seggio pontificio per paura, ma fui distratto da una folla di persone che sostava sulla riva di un fiume poco lontano.
Mi avvicinai con la mia guida.
«Questo è il fiume Acheronte: circonda la parte superiore dell’Inferno» sottolineò Virgilio mentre una barca si avvicinava.
Con un unico remo la guidava un vecchio dagli occhi infuocati e i capelli lunghi, sudici come la barba che cadeva sul petto villoso.
«Vi traghetterò sull’altra sponda, anime infami, e non avrete scampo per l’eternità » sbraitò approdando. Poi si accorse di me e mi puntò il dito contro. «E tu perché sei qui? La mia barca carica solo i dannati. Fila via, aria!»
Stringendomi la mano, Virgilio gli rispose a tono.
«Taci Caronte, lui è qui per volere di Dio. Dunque fila via tu e pensa ai fatti tuoi!»
Il traghettatore ammutolì e con un cenno rabbioso ordinò ai dannati di salire a bordo, picchiando con il remo i ritardatari. Poi la barca scivolò stracolma sulle acque scure dell’Acheronte e subito la riva si riempì di nuove anime.
Virgilio mi spiegò che in quel luogo, provenienti da ogni parte del mondo terreno, si radunavano i condannati all’Inferno e Caronte li trasportava sull’altra sponda. «Da qui non passa alcuna anima buona, ecco perché non puoi salire su quella barca.»
Mentre mi chiedevo come traghettare, un lampo vermiglio illuminò le tenebre e un terremoto sconquassò il suolo.
Per il terrore svenni.
Mi risvegliai sulla riva opposta dell’Acheronte, in piedi su un precipizio scuro che si restringeva a imbuto, dal quale provenivano urla e gemiti.
Persino Virgilio appariva turbato e immaginai che avesse paura.
«Non provo paura, ma pietà per chi si trova in questo abisso» sospirò tuttavia il mio maestro.
L’Inferno era diviso in nove cerchi concentrici, ciascuno per i diversi peccati, più gravi via via che l’imbuto si restringeva. Virgilio mi sospinse avanti. «Seguimi nel primo» aggiunse. «È un luogo che conosco bene…»
Entrando captai dei sospiri, non di dolore ma di mestizia, e vidi uomini, donne, persino dei neonati, accomunati tutti dal volto mite.
Perché delle persone buone erano all’Inferno?
Virgilio mi spiegò. «Sei nel Limbo, dove io risiedo con altre anime non battezzate, gran parte perché nate prima di Cristo. In vita però fummo virtuosi, dunque Dio ci ha riservato questo luogo sospeso, nel quale non soffriamo ma non siamo neppure felici, perché ci è negato il Paradiso.»
«Nessuno è mai uscito da qui?» chiesi avvilito.
«È sceso Gesù Cristo per portare qualcuno in Cielo: Adamo, Abele, Mosè…»
Quattro ombre ci affiancarono e Virgilio mi presentò i miei poeti più amati, Omero, Orazio, Ovidio e Lucano, che mi salutarono affabili. Insieme ci dirigemmo a un luminoso castello circondato da sette mura, dove entrammo varcando sette porte.
Quante anime grandi riconobbi! Ettore, Enea, Lucrezia, Cornelia, il prode Saladino. Sapienti del calibro di Socrate, Platone, Euclide, Tolomeo, Ippocrate, Avicenna.
Sarei rimasto con loro a lungo, ma dovevo andare.
Lanciai un ultimo sguardo a quel luogo traboccante di virtù, salutai i quattro poeti e seguii Virgilio nel buio.
Nel secondo cerchio sentii più forte l’angoscia, ma fui anche incuriosito dal suo custode, Minosse, un tempo re di Creta. Aveva una lunga coda, con la quale indicava ai dannati la zona in cui avrebbero trascorso l’eternità .
Osservai per capire. Ogni dannato confessava a Minosse le proprie colpe, poi lui si attorcigliava la lunga coda intorno al corpo: il numero di giri decretava il cerchio in cui precipitare.
Minosse si accorse di me e, come prima Caronte, mi urlò contro: si rassegnò solo dopo che Virgilio lo redarguì con asprezza.
Giungemmo dunque sopra una gola sferzata da un vento impetuoso che sbatacchiava alcuni dannati su e giù, senza tregua.
«Qui è punito chi in vita si lasciò sopraffare dalle passioni proibite» mi erudì Virgilio indicando Semiramide, Cleopatra, Achille, Elena e Paride.
Mi accorsi che due spiriti rimanevano uniti nonostante le raffiche, come se nulla potesse separarli. Chiesi di conoscerli e loro volarono verso di me leggiadri come colombe. Erano gli amanti Paolo e Francesca.
Fu lei a parlare, chiamandomi con cortesia.
«Mio padre mi diede in sposa al brutto Gianciotto Malatesta, un uomo rozzo che non riuscii ad amare. A palazzo conobbi però suo fratello Paolo e subito i nostri cuori batterono all’unisono. Leggevamo insieme di Lancillotto e Ginevra quando la tentazione ci vinse. Nel libro gli amanti si baciavano e anche noi fummo travolti dai sensi. Gianciotto ci scoprì e ci uccise. Ora nel vento soffriamo insieme.»
Francesca tacque, Paolo gemette.
Per l’emozione svenni un’altra volta e mi risvegliai nel terzo cerchio, dove erano castigati i golosi.
Cadeva una fetida pioggia melmosa e formava sul terreno un pantano in cui i dannati annaspavano a faccia in giù, sferzati dagli artigli del loro mostruoso guardiano: Cerbero, il nero cane a tre teste, dagli occhi rossi e lo sporco ventre enorme.
Mi mostrò le zanne, ma Virgilio tirò un pugno di fango in una delle tre bocche e il cane lo mangiò di gusto.
Uno spirito sollevò il volto infangato dalla mota e mi chiamò: «Ma io ti conosco, tu sei di Firenze!».
Lo riconobbi solo perché mi disse il suo nome, Ciacco, un celebre ghiottone ospite di tutte le mense.
Il suo destino mi addolorò, ma ancor più lo fecero le sue parole, vaticinanti un futuro amaro.
«Il tuo partito sarà sconfitto e Firenze si macchierà di superbia, avidità e invidia. In ogni cerchio incontrerai molti nostri concittadini e tanti ne arriveranno…»
Mi allontanai turbato e, prima di procedere, posi una domanda al mio maestro: «Per queste anime c’è speranza di salvezza?».
«No, neppure dopo il Giudizio Universale: la loro dannazione è eterna.»
Il vecchio demone Pluto, guardiano del quarto cerchio, ci lanciò un grido starnazzante, che evocava il Signore del male. «Pape Satà n, pape Satà n aleppe!»
Impietosa fu la replica di Virgilio: «Taci, bestia immonda, e facci passare!».
Pluto si sgonfiò e noi procedemmo.
Che scena curiosa vidi!
Si fronteggiavano due numerosi gruppi di dannati, ciascuno con un enorme masso. Lo facevano rotolare, si scontravano con gran frastuono, poi quelli del primo gruppo gridavano: «Perché tieni?», e dal secondo rispondevano: «Perché sperperi?».
Quindi tornavano indietro e cominciavano daccapo.
«Qui sono puniti opposti peccatori: gli avari, preoccupati solo di accumulare, e i prodighi, con l’unico pensiero di spendere» mi spiegò Virgilio.
Dalla tonsura dei primi riconobbi molti uomini di Chiesa e Virgilio mi confermò che l’avarizia era un vizio noto ai prelati e persino ai papi. Pensai che la brama di ricchezze fosse proprio sciocca: per quante se ne accumulassero, alla morte si dovevano lasciare, per finire in quella miseria eterna.
Dunque procedemmo al quinto cerchio, giungendo a una fonte ribollente che riversava le acque torbide in un paludoso fiume infernale. Era lo Stige, dentro il quale alcuni dannati si riempivano di botte, mentre altri stavano sommersi interamente nel fango.
«Anche qui sono condannati peccatori affini» chiarì Virgilio. «Quelli che si picchiano sono gli iracondi, incapaci di frenare la rabbia. I sommersi sono i pigri, inerti in vita, immobili in eterno.»
Con prudenza costeggiammo il fiume paludoso, giungendo ai piedi di una torre: al nostro arrivo, come un segnale, si accesero due fiammelle in alto.
«Quelle luci avvisano i demoni dell’a...