NATHANIEL LA SEGUÌ mentre correva da uno scaffale all’altro, aprendo gabbie e strappando catene. Questo andava contro tutto ciò che Elisabeth aveva imparato. Ma non provava vergogna, né senso di colpa, nessuna esitazione. Era come se una diga dentro di lei fosse crollata e le acque scorressero impetuose, travolgendo qualunque incertezza sul loro cammino.
Grida di giubilo riempivano l’aria. I grimori che non assaporavano la libertà da secoli aprirono le loro ali di pergamena e presero il volo. Altri si lanciarono dagli scaffali e scorrazzarono sul pavimento, sfogliando con gioia le pagine. La cupa oscurità del corridoio lasciò il posto al caos.
«Aspetta» disse Nathaniel. «Sei sicura che sia una buona idea? La biblioteca è stata costruita da Cornelius. Era stata pensata per evocare l’Archon, fin dall’inizio.» Si spostò di lato per evitare un grimorio che passò saltellando davanti ai suoi piedi. «E se questo fosse una specie di…»
Non finì la frase, ma lei aveva capito cosa intendeva. Un trucco. Una trappola. Non lo biasimava; lei, però, alla fine aveva capito.
La biblioteca non apparteneva a Ashcroft e al suo complotto più di quanto Elisabeth appartenesse ai genitori sconosciuti che l’avevano messa al mondo. Possedeva una vita propria, era diventata qualcosa di più grande di quanto Cornelius avesse mai voluto. Perché questi non erano i comuni libri che si trovano nelle biblioteche. Erano conoscenza resa viva. Saggezza a cui era stata data una voce. Cantavano quando la luce delle stelle filtrava dalle finestre della biblioteca. Provavano dolore fisico e sofferenza del cuore. A volte erano sinistri, grotteschi, ma anche il mondo esterno lo era. E questo non rendeva il mondo una causa meno degna per cui combattere, perché ovunque ci fosse il buio, c’era anche tanta luce.
Era questo lo scopo di Elisabeth. Non diventare una guardiana nella speranza di dimostrare il suo valore a persone che non avrebbero mai capito. Lei non incatenava, lei spezzava le catene. Era la volontà della biblioteca personificata.
Ora la sentiva: la coscienza della biblioteca era intorno a lei, dentro di lei, come una corrente rapida. Centinaia di migliaia di grimori, uniti in una cosa sola.
Non aveva parole per spiegare tutto questo a Nathaniel. Non ancora. Allora lo guardò negli occhi e disse: «Fidati di me».
Qualunque cosa lui lesse sul suo viso, si fermò e annuì. Poi, anche se non credeva nemmeno lui a quel che stava facendo, si voltò verso la libreria più vicina e cominciò a sganciare le catene.
Correvano insieme, liberando quanti più grimori possibile. A ogni catena che strappava, Elisabeth sentiva aumentare il coraggio. Ashcroft aveva commesso un errore. Era venuto nella sua biblioteca. Nella sua casa. Stavolta non sarebbe sfuggito alle conseguenze.
Arrivò davanti a una gabbia che conosceva e si fermò, dimenticando per un attimo il rumore e la carta che svolazzava ovunque. Un viso avvizzito fluttuava nel buio, e l’ago all’estremità del nastro brillava.
«Ci aiuterai?» chiese Elisabeth.
La voce dalle molte tonalità sembrava divertita. «È bello, questo Ashcroft?»
«Molto.»
«Che delizia. Facci strada, cara.»
Non aveva una chiave per quella gabbia, ma non le serviva. Infilò Squartademoni fra le sbarre e fece leva, piegando il ferro vecchio e arrugginito fino a permettere al grimorio di volare via. Poi prese la sfera di cristallo dell’Illusarium e riprese a correre. Un’illusione apparve al suo fianco: Irena, la Direttrice, con i capelli di fiamma che fluttuavano nella nebbia. La guardava con un leggero sorriso pieno di orgoglio sui lineamenti indistinti. Prima che Elisabeth potesse dirle qualcosa, era già tornata nebbia.
Nathaniel emise un suono soffocato. Sulle prime lei pensò che anche lui avesse visto Irena, ma poi si accorse che stava guardando in un altro punto, dove le figure di una donna sorridente e di un bambino piccolo e serio stavano svanendo nella nebbia. Silas guardava nella stessa direzione, con gli occhi lucenti come gemme. L’Illusarium aveva mostrato a Nathaniel qualcos’altro: la sua famiglia. Elisabeth liberò una mano e intrecciò le dita con le sue.
Pochi istanti dopo uscirono dal cancello. Un’ondata di grimori li seguì, dilagando nell’ala nord-ovest. Alla testa di quella massa di pergamena e cuoio passarono davanti agli angeli scheletrici scolpiti nell’arco e voltarono l’angolo, trovandosi davanti un esercito di demoni.
Squame, corna e bargigli riempivano ogni centimetro dell’atrio. C’erano crepe e spaccature lungo tutte le librerie, fino alla cupola, il cui vetro color indaco aveva cominciato a rompersi. Le schegge erano immobili a mezz’aria, contro il cielo stellato dell’Altromondo. Demoni minori affluivano di continuo dalle crepe. I folletti correvano sulle ringhiere, i goblin saltavano a quattro zampe sulle logge. C’erano centinaia di demoni, forse anche migliaia.
Ma le forze di Ashcroft erano comunque in minoranza.
Un folletto smise di masticare uno scaffale e si voltò verso di loro. Poi, lentamente, alzò la testa. I suoi occhi neri si spalancarono, riflettendo uno sciame di scintille, ognuna via via più grande. Un’ombra scese sull’atrio quando i grimori andarono all’attacco.
Elisabeth si preparò all’impatto. Un istante dopo il mondo si dissolse in un vortice di pagine. Lei e Nathaniel erano fermi, mano nella mano, con i capelli agitati dal vento; Silas affondava gli artigli nel cappotto di Nathaniel. Intorno, tutto era oscurato da un ciclone di pergamena apparentemente interminabile, come il battito di migliaia di ali. L’odore dell’inchiostro e della magia le riempiva le narici. Per un istante, non riuscì a respirare. Poi, all’improvviso, il frullo d’ali finì e la visuale tornò libera.
Per ciascun demone c’erano almeno dieci grimori. Un folletto stramazzò a terra, travolto da un nugolo di libri che piombò sul suo corpo come un banco di piranha, con i denti che mordevano e strappavano. Un altro folletto strillò quando un libro si chiuse di scatto sulle sue lunghe orecchie e lo sollevò in aria. Poco lontano un viso rugoso esaminava un paio di demoni con l’occhio di una sarta professionista. Il suo ago si mosse veloce con gesti esperti in mezzo a loro e quelli caddero a terra, cuciti insieme da un filo. All’altro capo dell’atrio i demoni crollavano a terra, gridando per i tagli inferti dalla carta e accecati da spruzzi di inchiostro.
Incitati all’azione, i grimori si lanciavano dalle logge in cascate di cuoio multicolore e dorato, atterrando da un’altezza di tre, quattro, perfino cinque piani in una nuvola di polvere. Delle piume di pavone balenarono dalla sala cataloghi, e il trillo operistico di Madame Bouchard fece accasciare a terra, con le orecchie tappate, molti demoni.
«Dobbiamo trovare Ashcroft!» gridò Elisabeth. La sua voce sembrava il ronzio di una zanzara, a malapena udibile nel frastuono. «Dev’essere qui da qualche parte!»
Nathaniel la prese per la spalla e indicò. Frammenti della cupola cominciavano a cadere verso il centro dell’atrio, attratti da una forza invisibile. Si scambiarono un’occhiata, poi guardarono di nuovo il caos davanti a loro: i grimori stavano vincendo, ma dovevano fare ancora più in fretta.
Colta da un’ispirazione, Elisabeth mise a terra l’Illusarium e ruppe la sfera con l’impugnatura di Squartademoni. La nebbia fuoriuscì dalle crepe, avvolgendola in un grigiore umido e appiccicoso. Quando il vapore si fu riversato tutto all’esterno, il contenitore rotolò via, vuoto. Lei lo guardò sbalordita: non c’era niente dentro?
«Ahhhhh» sospirò una voce spettrale che veniva da nessun luogo in particolare e da ovunque, allo stesso tempo. La nebbia ribolliva in tutto l’atrio, riducendo i combattenti a ombre nella bruma. I demoni si lanciavano verso figure che emergevano per poi sparire e ricomparire, provocatorie, alle loro spalle. Approfittando di quella distrazione, i grimori attaccarono sul serio. Elisabeth vide un goblin cercare di uscire dalla nebbia ed essere trascinato di nuovo dentro da una forza invisibile, lasciando un’onda silenziosa nel vapore. Seguirono gemiti e guaiti. Poi i suoni cessarono di colpo e scese un silenzio inquietante.
Lei e Nathaniel corsero in avanti mentre la nebbia cominciava a diradarsi, lasciando visibili i corpi senza vita dei demoni. Era incredibile. Non ne era rimasto in piedi nessuno.
«Guarda» disse Nathaniel. «Che stanno facendo?»
Le pagine bisbigliavano. Uno a uno, i grimori si sollevarono dalla nebbia. Si radunarono in gruppi e risalirono verso le logge in file che si muovevano a spirale, come stormi di uccelli al rallentatore. Elisabeth spalancò gli occhi quando vide dove erano diretti. Ogni fila andava verso una delle brecce.
Il suo primo pensiero fu che le crepe li stavano attirando per distruggerli. Ma i grimori non opponevano resistenza. Salivano pacificamente, con determinazione. Ogni volta che uno di loro toccava la superficie di una crepa, un lampo balenava e il grimorio finiva in cenere; i margini della crepa si restringevano appena, come ferite che cominciano a guarire. Un canto risuonava nella cupola fratturata: note alte, limpide, pure e argentine come luce di stelle.
«Stanno cercando di chiudere le fessure.» Le si strinse il cuore. «Si stanno sacrificando per salvare la biblioteca.»
Toccò a Madame Bouchard. Poi, in una pioggia di cenere, il Quarta Classe che sputava inchiostro sugli apprendisti ogni mattina. Ognuno di quei libri possedeva un’anima. Molti erano vecchi di secoli, insostituibili. E alcuni avevano appena assaporato la libertà, per la prima volta da quando erano stati creati: solo qualche minuto dopo una vita in prigionia. Eppure cantavano mentre offrivano la loro vita.
Le lacrime le pizzicarono gli occhi. Non poteva permettere che il loro sacrificio fosse vano.
La nebbia era quasi scomparsa ormai, la visuale era tornata chiara. Mentre gli ultimi sbuffi svanivano, Elisabeth e Nathaniel si ritrovarono al centro dell’atrio, nel mezzo dell’evocazione di Ashcroft.
Davanti a loro c’era una figura, circondata da schegge di vetro che le orbitavano intorno come pianeti. Era più alta di un uomo, sottile e luminosa, ma anche guardandola direttamente era impossibile distinguerne le fattezze. Elisabeth ebbe l’impressione di osservare un sole riflesso in uno specchio: mutevole e intangibile, un vago spettro di qualcosa di molto più grande, radioso e terribile.
A testa china, la figura guardava l’umano ai suoi piedi.
Ashcroft.
Lui guardava a sua volta l’Archon, incantato, immerso nella sua luce, apparentemente ignaro della battaglia che aveva infuriato lì intorno. La luce aveva trasformato le sue fattezze. Sembrava ringiovanito di una decina d’anni, e la sua espressione era quella di un desiderio quasi innocente. Il sangue colava dal suo polso sinistro, stretto nell’altra mano. A terra c’era un pugnale dimenticato.
Elisabeth sentì rinascere la speranza. Non aveva completato il rituale. L’Archon era ancora all’interno del cerchio… un cerchio formato dalla pianta della biblioteca riprodotta sulle piastrelle del pavimento. Lei ci aveva camminato sopra decine di volte, senza mai sospettarne il vero scopo.
«Vedi gli occhi di Ashcroft?» mormorò Nathaniel. «Il marchio non c’è più. Non ha evocato Lorelei.»
“Quindi non può usare la magia per combattere contro di noi” pensò lei. Rincuorata, alzò Squartademoni sopra la spalla. Un riflesso sulla sua lama attirò l’attenzione di Ashcroft. Come se li stesse aspettando, allargò le braccia con un sorriso fanciullesco.
«Signorina Scrivener» esclamò. «Nathaniel! Speravo che sareste venuti. Il vostro ruolo è stato così importante in tutto questo, volevo proprio che vedeste. Non è splendido?»
Alle sue spalle, una sezione della loggia si disintegrò. I detriti della balaustra e delle librerie fluttuarono intorno alla crepa. I grimori stavano rallentando la distruzione, ma non potevano superare il potere dell’Archon.
«Devi fermare il rituale!» gridò lei.
Lui rise. «Fermare il rituale?»
«Distruggerà tutto. La biblioteca sta cadendo a pezzi!» Con la punta della spada indicò le strisce di cielo dell’Altromondo sopra le loro teste. «Se l’Archon sta già facendo questo, cosa pensi che succederà quando lo lascerai libero?»
«Oh, signorina Scrivener. Se solo potesse capire.» I suoi occhi azzurri brillavano, sinceri. «Guardi.» Liberò il polso ferito e lo inclinò, finché una goccia di sangue finì sul pavimento. Il sangue svanì all’istante, come se non fosse mai esistito. Lui tese il braccio per mostrarle che il taglio era guarito e la pelle era intatta.
«Capisce ora?» insisté. «Quando l’avrò legato a me, costretto a obbedire ai miei ordini, tutto sarà possibile. Cambierò il mondo.»
Non c’era modo di ragionare con lui. Nathaniel sembrava dello stesso avviso. La sua frusta sibilò, le fiamme crepitarono. Silas si accucciò sulla sua spalla e chiuse gli occhi, come per concentrarsi nel condividere con lui tutta la sua forza.
Ashcroft rise di nuovo. Stavolta c’era una punta di follia nella sua voce. Fece un ampio gesto con il braccio e un arco di luce, sempre più largo, venne verso di loro.
Impossibile. Come…
Elisabeth non ebbe il tempo di pensare. Si lanciò davanti a Nathaniel, abbassandosi su un ginocchio e alzando Squartademoni sopra la testa. La spada vibrò tagliando la luce. Quando lei si rialzò la lama era incandescente, l’impugnatura di cuoio sgradevolmente calda e appiccicosa, come se fosse stata su...