Venirne fuori
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Venirne fuori

Quando ti senti senza via d'uscita

  1. 144 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Venirne fuori

Quando ti senti senza via d'uscita

Informazioni su questo libro

Molte persone si sentono come in una palude. Impantanate in una situazione sentimentale, professionale, emotiva, esistenziale... Si sentono infelici, insoddisfatte, non si vanno bene. Per uscire evocano cause, compiono sforzi, si affannano alla ricerca di appigli razionali. Ma così non fanno che peggiorare le cose.

L'unico modo che abbiamo di uscire da una situazione che non ci piace è affidarci alla magia, riconnetterci col nostro lato sottile, col divino, con la fiaba, col sogno, liberandoci dalla dittatura delle cause. Recuperare una parte antica che abbiamo dimenticato. Tutti i nostri disagi sono legati a essa. La sola via d'uscita passa da lì.

"Abbiamo coperto di polvere, strati su strati, la nostra essenza, al punto che non la vediamo più e finiamo per pensare che non esista neppure. Senza la visione cosmica del pensiero magico siamo maledettamente soli, chiusi nel nostro Io, nei nostri pensieri. La nevrosi, con le sue ansie, le paure, le angosce, è il canto, l'ultimo canto dell'anima che cerca di spazzare via la gabbia in cui ci siamo rinchiusi.

La soluzione è ricordarsi che siamo abitati da un sapere misterioso, che agisce tra gli spazi più profondi dell'inconscio. Qualsiasi cosa accada, qualsiasi problema ci turbi, c'è un fondamento nascosto che sta sviluppando la nostra identità più profonda. Solo dentro di lei abitano saperi che ci fanno uscire dalle situazioni più difficili."

Domande frequenti

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Informazioni

1

QUANDO LA MAGIA IRROMPE E GUARISCE I DOLORI DELL’ANIMA

Le attività del saggio non sono affatto ostacolate dalla sorte. Semplicemente mutano con il mutare degli eventi e delle circostanze. Ma sono sempre belle e forse ancora più belle quando si scontrano con le avversità.
Plotino1
Una grande sofferenza, un dolore immenso, la morte di una persona cara, una crisi senza via d’uscita: in momenti come questi ci sembra che l’esistenza vada in pezzi… ma resta comunque una porta aperta alla vita. Da cosa dipende la possibilità di ripartire, di rinascere, di rifiorire, quando nulla ha più senso? Serve una magia… I saggi di ogni epoca sostengono che, in questi frangenti estremi, funziona una sola cosa: “capovolgere” la mente, cioè rovesciare il nostro modo di vedere il mondo. Non ho mai visto nessuno guarire dalle proprie nevrosi, se non modifica il suo atteggiamento mentale.
Appena ci stacchiamo dall’idea che noi siamo portatori del dolore e basta e volgiamo lo sguardo altrove, accadono veri miracoli. È alla portata di ciascuno di noi scoprire nella sofferenza territori inesplorati, vere isole di pace, di beatitudine, di gioia e… guarigione. Come le piante, anche dopo l’inverno più austero, siamo pronti a fiorire, anzi dobbiamo fiorire.

Come rinascere dopo un dolore

Come si supera una grande sofferenza? Senza ragionamenti, rimpianti o lamenti. Occorre cedere e sentire il dolore fino in fondo: solo così può svolgere la sua funzione e la vita può rifiorire. C’è una grande analogia tra i dolori psichici e il parto: ogni disagio, se accolto, può portare una nuova nascita, la scoperta di capacità, talenti, magari ignorati o rimossi per anni.
Molti mi domandano: ma quello che lei dice serve anche quando il dolore è così tremendo che può distruggerti? Quando ad esempio scompare una persona cara? Quando ti sembra che la vita non abbia più alcun senso, perché hai perduto l’uomo o la donna della tua vita? Tra le idiozie che mi è capitato di sentire in questi anni c’è quella dell’“elaborazione del lutto”, vale a dire: ci penso su più e più volte, finché sono riuscito a farmene una ragione.
Io invece faccio ricorso alla saggezza antica: quando provi un dolore che ti travolge ascoltalo, perditi, lasciati annientare, senza lamenti, senza rimpianti, senza dirti nulla. Isolati, stai da solo, non cercare sollievo negli altri. Tocca a te, solo a te! Percepisci il dolore, solo il dolore e non pensare a chi non c’è più.

Non combattere, ma accogliere

Così facendo, il dolore viene a mano a mano sostituito da uno stato di vuoto interiore, dal sentimento del Nulla: l’accoglienza della tristezza, della depressione è la chiave di tutto. Così ne parla Marie-Louise von Franz:
Una depressione può essere feconda solo se si accolgono nel modo giusto i pensieri neri, se diciamo, parlando al nostro inconscio: “Riconosco di essere niente di niente, ma in che senso?”. Il mezzo di superare una depressione non è quello di combatterla o evitarla, ma di penetrarla.2
Percepire il dolore, e perdersi in esso senza dirsi nulla, senza se e senza ma e senza continuare a chiedersi: “Perché proprio a me?”.
Una mia paziente, Elisa, non voleva più vivere, perché il suo compagno era scomparso in un incidente. Paradossalmente stava meglio quando sentiva il dolore nel petto e si perdeva nella sofferenza, senza nessuno che la consolasse. Si è chiusa in una piccola baita dove andava sempre con lui: guardava il dolore “fino a farmi annientare, ma poi arrivava il sollievo”. Quando sono comparsi in giardino i primi fiori, verso metà febbraio, le è tornata la voglia di vivere. Ora sta bene.

La rinascita di Adele

Sentite cosa mi scrive Adele:
Buonasera dottor Morelli. Sono in treno e sto leggendo di nuovo il suo libro L’unica cosa che conta. Ho perso mio marito tre anni fa, improvvisamente, all’età di 54 anni. Grazie ai suoi video, che ho ascoltato giorno e notte, sono guarita dal dolore immenso che mi ha travolto. Come da lei spesso ripetuto ho cercato di perdermi ascoltando il dolore. All’inizio mi sono isolata e ho cercato di superarlo stando da sola, quasi nascosta. Mi perdevo nei lavori manuali e poi ho cercato di ricordare cosa mi piaceva da ragazza… Mi piaceva cantare, e oggi da ormai due anni faccio parte di un coro. Il canto ha iniziato a riportarmi alla vita, a farmi rifiorire dopo un rapporto bellissimo con mio marito durato trentacinque anni esatti (eravamo due diciottenni quando ci siamo fidanzati) e bruscamente interrotto. Oggi, a distanza di tre anni da quel giorno terribile, posso dire veramente di avercela fatta, grazie a me stessa, ai miei meravigliosi ragazzi e a lei! Sa perché sono in treno? Perché sono diventata una pendolare. Ho trovato un compagno meraviglioso, una persona seria che abita a un’ora di viaggio dalla mia città. L’ho conosciuto per motivi di lavoro e piano piano mi sono innamorata. Sì, di nuovo, cosa che mai più pensavo potesse accadere. Naturalmente ora devo fare i conti con i miei sensi di colpa, ma visto che la mia famiglia e i miei figli ormai adulti sono felicissimi per me, cercherò di non farmi condizionare da quello che potrebbero dire gli altri. E di nuovo, con il suo aiuto, ci riuscirò! Grazie di cuore!

I quattro passi

Adele riassume molto bene le cose di cui parlo, le azioni da fare, i gesti da compiere quando il disagio è insopportabile.
1) Perdersi nel dolore: non bisogna sforzarsi di mandarlo via, ma percepirlo senza resistere e accoglierlo fino a sentirsi svuotati.
2) Fare lavori manuali, lasciandosi completamente assorbire dalle azioni concrete: lavare, stirare, curare l’orto, cucinare, ricamare… Bisogna immergersi totalmente nell’azione, senza nessun secondo pensiero e senza volgere lo sguardo altrove.
3) Ricordarsi di cosa ci piaceva da ragazzi e seguire per qualche minuto nella giornata la nostra inclinazione, come è stato con il canto per Adele.
4) Percepire il desiderio perché, come le piante in natura, presto o tardi rifiorisce. Niente ragionamenti, nessun commento. Il desiderio di un altro uomo, per Adele, non è in opposizione a quello che provava per suo marito. I nostri morti hanno bisogno di essere ricordati nella gioia, nel piacere, nella voluttà. Non nel dolore.
Così ha detto la saggezza antica, così ragionavano i grandi cabalisti, così si diventa sempre più uomini e donne. Lasciate agli ipocriti i luoghi comuni sulla sofferenza da recitare per gli altri. Chi riesce a trovare pace, a rifiorire dopo una tragedia, sta facendo un regalo all’umanità intera, perché il nostro vero compito è rinascere. Percepire il disagio fino a sentirsi vuoti è entrare nel regno del “nulla senza fine”, che era per i cabalisti il tredicesimo attributo di Dio. Dicevano che questo stato interiore è la forma più pura dello spirito. Quando Adele scrive, come oggetto della sua email, SONO RIFIORITA, penso che il suo esempio sia di sollievo per il mondo intero e per le tragedie che lo accompagnano. Quando una donna rifiorisce, fa rinascere l’intero universo femminile insieme a lei.

Guarda che hai un figlio da custodire!

La nostra epoca è tutta incentrata sull’Io, sui fatti personali: quasi tutti hanno problemi da risolvere, padri e madri che hanno condizionato il loro destino, insoddisfazioni affettive, emotive, sentimentali, lavorative… In realtà, quasi sempre, sono solo alibi!
Se lo sguardo è posato sulle vicende personali, noi perdiamo di vista l’unica cosa per cui siamo al mondo: il nostro sapere innato. Adele poteva passare la vita a pensare alla sfortuna, al suo grande amore perduto, a credere che il destino si fosse accanito contro di lei. Ho visto persone diventare “eterni vedovi”, individui “sfortunati”, che non vedevano l’ora di raccontare il loro dramma a chiunque incontravano. Mi vengono in mente le parole di Marco Aurelio:
L’oliva che, ormai matura, cade lodando la terra che l’ha prodotta e ringraziando l’albero che l’ha generata e sul quale è cresciuta.3
Questo è l’atteggiamento mentale corretto e queste le parole da dirsi: “Ogni giorno è nuovo, io non sono quello di ieri, e gli amori sono un regalo che si sperimenta di giorno in giorno”. La durata è un’illusione del nostro Io. Non c’è permanenza nei fiori, il capolavoro è vederli sviluppare e sbocciare. È inutile chiedere al fiorista quanto dureranno. Il compito di ciascuno di noi è custodire la semenza che ci abita: ce l’hanno data i nostri avi, i primi uomini, gli dèi. Questa semenza, questo occhio che trasforma i semi in fiori e frutti va custodito secondo le leggi cosmiche che lo costituiscono. Portiamo nel grembo un bambino eterno, il puer così caro agli antichi Romani… Non possiamo dirgli: “Scusa, sono vedova e non posso occuparmi di te”. L’infelicità non dipende dai lutti, dai dolori, dai traumi, ma soltanto dal fatto che, presi dalla nostra hybris (per i Greci era la superbia dell’uomo nei confronti degli dèi e quindi della natura), crediamo che la vita debba essere identica a come l’abbiamo immaginata e durare così per sempre.
Gli antichi rappresentavano il Sé, il centro da cui originiamo, nella figura del dio Ermes. I Greci lo raffiguravano con le ali alle tempie e alle caviglie, per dire che è nello stesso tempo nel mondo celeste e terrestre. Così è il messaggero tra il divino, l’eterno, la sapienza, la saggezza e il mondo umano. Era il dio dei ladri, della medicina, dei sogni che portano alla guarigione. Arriva di notte, furtivo, perché solo la notte “porta consiglio”, con i suoi saperi che la mente ordinaria ignora. Ognuno di noi è prima di tutto una mente sognante. Essere se stessi è ragionare come nei sogni…
Ermes, il dio della magia, il bambino prodigio, miracoloso, il seme del mondo che abita ogni essere vivente, vuole essere accudito giocando, amando, perdendosi… mai nel lamento, mai negli alibi, mai nell’idea di una vita sfortunata. Il dolore va lasciato diffondersi dentro di noi fino ad annientarci e poi bisogna aspettare che il piccolo dio, il seme che siamo, scenda in campo e faccia i suoi germogli.
Così è successo a Adele. Ha sofferto ed è andata a cercare il dolore fino a sentirsi vuota… quel vuoto è la porta verso Ermes, verso l’anima, che adora i lavori manuali, che ama chi si immerge nell’azione fino a perdersi. Ermes, il dio bambino, ci ricorda che siamo eternamente calati nell’infanzia e per onorarlo dobbiamo ritrovare quelle attività che da bambini ci facevano sentire a nostro agio. Occorre ricordare l’infanzia, ma soltanto per potere riscoprire le azioni in cui ci sentivamo noi stessi. Così Adele ha fatto con il canto… e così lo ha ritrovato come balsamo a distanza di anni.
Parlo spesso di fare i lavori manuali come farmaco dell’anima, come cura, perché ci porta nel luogo primordiale dove muoiono i pensieri, che tengono in vita e cronicizzano i dolori. Fare cose con le mani è entrare nel regno del seme eterno, nella casa di Ermes che è la dimora del cervello in cui si produce l’autoguarigione. Così Pietro Citati parla di Ermes:
Tra i giochi, preferiva probabilmente quello di inventare. Assomigliava ad Atena e a Efesto: o al più esperto degli artigiani della Terra, Ulisse. Aveva le qualità del vero artigiano: un’intelligenza sottile e piena di risorse, il dono di analizzare gli aspetti della realtà, il senso prensile della materia, la sapienza delle mani, la capacità di sfruttare ciò che è imprevedibile, momentaneo, casuale, l’istante che passa e non ritorna.4
Perdersi nelle azioni materiali è incantarsi e nell’incantamento arriva l’energia di Ermes, il nostro bambino celeste.
Una divinità così multiforme e colorata esercitava un fortissimo potere di fascinazione, al quale nessuno riusciva a resistere. Era il signore del thélgein: un’altra parola egualmente ricca, che connotava la forza dell’incantesimo in tutti i suoi aspetti.5
Ma guardate i bambini, che sono i signori dell’incanto, guardateli mentre giocano. A ogni dolore, i piccoli reagiscono giocando: così facendo chiamano Ermes, che li porta fuori dal tempo, nella fiaba, nel sogno, nel regno della notte, dove egli è padrone, dove mitiga e cura i disagi dell’animo umano.
Dobbiamo proteggere il nostro bambino celeste: lui in cambio ci porta la guarigione. Adele si è affidata al regno dell’infanzia, dove il canto era la sua azione magica, spontanea: Ermes per alleviarle il dolore della morte del marito, gliel’ha fatto ritrovare. Adele ha fatto un capolavoro: si è affidata al vuoto, al silenzio, alle azioni manuali e il dio l’ha fatta rifiorire con quel canto che veniva dal regno infantile:
La prima mattina della sua vita, Ermes impugnò la lira – che aveva appena costruito: le sue mani sapienti e leggere provarono col plettro le corde, mentre la voce improvvisava versi. Fu la prima volta, nella storia della poesia, che Ermes cantò...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Venirne fuori
  4. INTRODUZIONE
  5. 1. QUANDO LA MAGIA IRROMPE E GUARISCE I DOLORI DELL’ANIMA
  6. 2. I SOGNI SONO L’ETERNO CHE PARLA
  7. 3. QUANDO L’INSODDISFAZIONE TI FA REALIZZARE IL TUO DESTINO
  8. 4. LA MAGIA DEL VOLTO
  9. 5. LE “STELLE” CI HANNO SCELTO I GENITORI
  10. 6. LA MAGIA DELL’EROS GUARISCE I MALI DELL’ANIMA
  11. 7. LA MAGIA È CONTEMPLARE SE STESSI
  12. 8. IL REGNO DELL’EQUILIBRIO
  13. CONCLUSIONI
  14. Copyright