Lacuna
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Lacuna

Saggio sul non detto

  1. 288 pagine
  2. Italian
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Lacuna

Saggio sul non detto

Informazioni su questo libro

La nozione di «lacuna», assunta a principio di metodo, serve a ridefinire concetti cardinali come scrittura, testo, trama, lettura, stile, realtà e realismo, verità, conoscenza, piacere, interpretazione, impegno, libertà, e il complesso rapporto tra letteratura e vita. Gardini raccoglie e analizza un'affascinante varietà di fonti (Aristotele, Platone, Cicerone, Seneca, Dante, Manzoni, Stendhal, Flaubert, Proust, Henry James, Virginia Woolf, Nietzsche, Thomas Mann, Conan Doyle, Simenon, Yourcenar ecc.), collegando gli esempi in sorprendenti sintesi e scoperte. Ne esce per la prima volta il profilo di un'estetica fondativa, lunga secoli. Ma soprattutto risulta che il lacunoso è uno dei paradigmi piú vivaci della nostra immaginazione, e un bene da coltivare. Con Lacuna Gardini afferma con vigore la missione conoscitiva della letteratura e, al tempo stesso, fornisce una prova saggistica molto originale, coniugando l'impegno nella ricerca alla chiarezza.

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Informazioni

Parte terza

Reliquie

The unknown ... is also the unknowable.
(L’ignoto ... è anche l’inconoscibile).
SAMUEL BECKETT, Proust.

Il corpo

En fait d’antiquités ou d’archéologie, il n’y a qu’une règle de critique, qui, au reste, est la même en bien d’autres genres; c’est de procéder du connu à l’inconnu.
ANTOINE CHRYSOSTOME QUATREMÈRE DE QUINCY1.
La lacuna, che è omissione evidente e autoannunciata, mira non alla diminuzione, ma allo sviluppo. La sottrazione chiama di necessità il completamento, il danno il restauro. Non c’è sistema – le narrazioni lo sono – che tolleri privazioni irrimediabili. Quel che si perde si deve recuperare, in letteratura come in fisica o in neurologia.
Delle operazioni del cervello umano conscio – ha scritto un noto neuroscienziato, Gerald M. Edelman – colpisce in modo particolare il bisogno di integrazione, di un quadro unitario, di costruzione, e di conclusione ... Il cervello conscio in salute e in malattia completerà come può completare, opponendosi a una visione fratturata o frantumata della «realtà»2.
Lo stesso linguaggio come funzione sociale è un’opera ininterrotta di integrazione. Come ha scritto uno dei grandi linguisti del XIX secolo, Michel Bréal,
... noi abbiamo una tale abitudine di riempire le lacune e di chiarire gli equivoci del linguaggio che a stento avvertiamo le sue imperfezioni. Ma se, dimenticando per un istante quel che dobbiamo alla nostra educazione, esaminiamo uno a uno gli elementi significativi di cui si compongono i nostri idiomi, vedremo che noi facciamo dono al linguaggio di una quantità di nozioni e di idee che esso passa sotto silenzio, e che in realtà noi stessi forniamo i rapporti che crediamo che esso esprima [miei corsivi]3.
Le nostre stesse conoscenze sociali sono basate non su un’effettiva completezza, ma sulla proiezione delle nostre aspettative: quel che crediamo di sapere è riempimento. Proust ha spiegato benissimo, proprio all’inizio della Ricerca del tempo perduto (che si rivelerà nel suo insieme un titanico tentativo di restauro, nonché la piú grandiosa illustrazione dell’estetica della lacuna), che le persone esistono solo come risultato di un nostro modo di intenderle:
Noi riempiamo l’apparenza fisica dell’essere che vediamo di tutte le nozioni che abbiamo di lui e nell’aspetto totale che noi ci rappresentiamo queste nozioni hanno certamente il peso maggiore4.
Le persone sono buchi. Il viso di Swann, per i genitori del narratore, è «vacante e spazioso» (vacant et spacieux), il suo corpo un «involucro» (enveloppe), capace di includere qualunque pregiudizio e fantasia altrui.
Parlando degli individui, Robert Musil recupera addirittura la nozione di lacuna nel suo senso etimologico:
... è sempre uno sbaglio spiegare le manifestazioni di un paese semplicemente con il carattere dei suoi abitanti. Perché l’abitante di un paese ha almeno nove caratteri: carattere professionale, carattere nazionale, carattere statale, carattere di classe, carattere geografico, carattere sessuale, carattere conscio, carattere inconscio, e forse anche carattere privato; li riunisce tutti in sé, ma essi scompongono lui, ed egli non è in fondo che una piccola conca [eine kleine … Mulde] dilavata da tutti quei rivoli, che v’entran dentro e poi tornano a sgorgarne fuori per riempire assieme ad altri ruscelletti una conca nuova. Perciò ogni abitante della terra ha ancora un decimo carattere, e questo altro non è se non la fantasia passiva degli spazi non riempiti; esso permette all’uomo tutte le cose meno una: prender sul serio ciò che fanno i suoi altri nove caratteri e ciò che accade di loro; vale a dire, con altre parole, che gli vieta precisamente ciò che lo potrebbe riempire. Questo spazio che, bisogna ammetterlo, è difficile a descriversi, in Italia ha un colore e una forma diversi che in Inghilterra, perché ciò che ne risalta ha un’altra forma e un altro colore, e tuttavia è uguale nell’uno e nell’altro luogo, appunto un vuoto spazio invisibile, entro il quale sta la realtà, come una piccola città d’un gioco di costruzioni abbandonata dalla fantasia [miei corsivi]5.
Modi d’integrazione, se si guarda alla formalizzazione simbolica, sono le nostre stesse sinapsi, senza le quali gli impulsi nervosi non potrebbero viaggiare e al posto della conoscenza si avrebbe solo un inerte paesaggio di vuoti (quelli tra i neuroni, che in inglese si chiamano tecnicamente, appunto, «gaps» o «clefts», e in italiano «spazi»).
Il mito della completezza si ritrova in autorevoli ipotesi psicanalitiche. Secondo Jacques Lacan (Lo stadio dello specchio come formatore della funzione dell’Io quale ci è rivelata nell’esperienza psicanalitica, 1949), l’io infantile comincia a delinearsi, cioè ad acquisire una sua pur illusoria «completezza», quando il bambino, che ancora non sa mantenersi eretto e ancora dipende dal corpo materno per il nutrimento, si scopre «forma» allo specchio: l’immagine riflessa compone in totalità il corpo diviso (corps morcelé ); comincia, allora, anche un’altra storia nello sviluppo mentale dell’individuo, la fase sociale. In questa stessa mitologia del corpo integro rientrano i discorsi di Freud sulla castrazione – dai Tre saggi sulla teoria sessuale (1905), che introduce il complesso di castrazione, al saggio sul perturbante (1919), dove la paura dell’accecamento (cosí come varie forme di mutilazione: membra sparse, teste mozze, mani staccate) risulta essere un equivalente della paura della castrazione –, al saggio Alcune conseguenze psichiche della differenza anatomica tra i sessi (1925), che introduce l’angoscia della castrazione per i maschi e l’invidia del pene per le femmine, al Problema dell’analisi condotta da non medici (1926), che ricorda il mito di Crono, ingoiatore dei propri figli e castratore del proprio padre, al saggio sul feticismo (1927), dove il feticcio rimpiazza il pene mancante della madre nell’amore eterosessuale. Anche l’omosessualità e la maternità, secondo Freud, sono forme compensatorie/riparatorie al pari del feticismo, in quella la fantasia di castrazione risolvendosi nel desiderare in età adulta il pene altrui (Sulle teorie sessuali dei bambini, 1908), in questa nel desiderare di ricevere un figlio dal proprio padre (Il tramonto del complesso edipico, 1924, e Alcune conseguenze psichiche della distinzione anatomica tra i sessi, 1925).
Nel narrare agiscono modelli antropologici (e biologici) che sono profondamente radicati nella vita privata e pubblica degli individui e hanno manifestazioni emblematiche, oltre che nella «rappresentazione» del sistema nervoso umano o della struttura psichica, in interi ordinamenti culturali e pedagogici, come il cosiddetto Rinascimento, cultura del recupero per eccellenza (e laboratorio del nostro stesso modo di concepire la temporalità)6. E che l’interezza sia uno dei grandi miti della tradizione occidentale – greco-latina e cristiana – lo dimostrano, in numerosi ambiti, storie di resurrezione come quella di Ippolito o di Osiride o di Cristo; e anche il paradigma apocalittico, che vuole la ricongiunzione definitiva dei corpi con le anime. Non a caso nel mito di Ippolito, il figlio lacerato e ricomposto e redivivo (col nuovo nome di Virbio), il Rinascimento italiano ha trovato una delle sue immagini piú illustrative7. Ariosto, che, da uomo rinascimentale, è culturalmente incline a concepire immagini di ricomposizione, introduce sulla scena del suo poema il mostruoso Orrilo, il quale, per quanto venga spezzettato, finisce sempre per recuperare l’integrità (non a caso, come l’antico Osiride, vive sulle rive del Nilo). Il mito del corpo disintegrato ed eventualmente ricostruito ha lunga vita, arriva fino al Novecento, dove costituisce una componente essenziale dell’immaginario kafkiano. Corpo da intendersi in un duplice senso: corpo dello scrittore e corpo della scrittura. In una lettera del 3 aprile 1913, indirizzata a Max Brod, Kafka racconta:
... giaccio disteso sul pavimento ... sono tagliato a fette come un arrosto ... con la mano spingo lentamente uno di questi pezzi di carne a un cane lí nell’angolo: idee di questo genere sono il quotidiano alimento della mia testa8.
E ancora a Brod scrive, in una lettera della fine del 1917:
Che significa conservare siffatti lavori [le carte dei romanzi], falliti «persino» artisticamente? Significa sperare che con questi pezzetti si componga in avvenire la mia intera figura… [mio corsivo]9.
Lo scrittore, infatti, finché vive, può solo accontentarsi di compattare in qualche modo sparsi frammenti: «un lavoro di brevi pezzi piú aggregati che incastrati» (lettera a Brod del 22 luglio 1912)10.
La stessa scrittura, d’altra parte, vale come compenso alle mancanze dello scrittore; al suo non esserci per nulla, alla sua lacunosità, come leggiamo in una lettera tarda (del 5 luglio 1922), al solito Brod:
Naturalmente lo scrittore in me morirà subito poiché un siffatto personaggio non ha terreno, non ha consistenza, non è fatto neanche di polvere ... Sarà un funerale singolare; lo scrittore, dunque, una cosa che non c’è, affida alla tomba il vecchio cadavere, il cadavere di sempre…11.
Perfino il culto del frammento che ha cominciato a dominare le estetiche dalla fine del Settecento è sotto sotto un’esaltazione dell’integrità – un’integrità perduta, certo, ma reale, non immaginaria o mancata; e poiché perduta, ideale (r...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Lacuna
  3. Elenco delle illustrazioni
  4. Una parola
  5. Un’arte
  6. PARTE PRIMA - Textus
  7. PARTE SECONDA - La mente scultrice
  8. PARTE TERZA - Reliquie
  9. PARTE QUARTA - Il segreto di Octave
  10. Conclusioni
  11. Ringraziamenti
  12. Bibliografia
  13. Indice dei nomi
  14. Il libro
  15. L’autore
  16. Dello stesso autore
  17. Copyright