La fenomenologia
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La fenomenologia

  1. 352 pagine
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Informazioni su questo libro

Quali sono le origini della fenomenologia? E quali le vie che la riflessione di Husserl ha percorso nel pensiero contemporaneo, assumendo forme e contorni di volta in volta diversi? Ma soprattutto: quali sono i problemi che la animano e quali i metodi che le sono propri e che l'hanno guidata nel dare una risposta agli interrogativi che la riflessione filosofica pone?
Sono queste le domande cui in questo libro si cerca di rispondere, proponendo un percorso che, attraverso un'attenta analisi dei principali concetti della fenomenologia husserliana e della galassia fenomenologica che da essa trae origine, permetta al lettore di familiarizzare con una delle vicende teoriche piú significative e complesse della filosofia del XX secolo.

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Informazioni

Parte seconda

La fenomenologia di Husserl

Capitolo primo

Le articolazioni della fenomenologia: storia e teoria

1. Un percorso teorico.

La genesi della fenomenologia husserliana non è certo sufficiente a spiegarne lo sviluppo e la maturazione: Husserl, come già si è osservato, è autore che, pur subendo manifeste influenze da parte di alcune tradizioni della filosofia classica (Locke, Berkeley, Hume, Leibniz, Kant in prima istanza), dagli studi di psicologia (descrittiva e sperimentale) e dalle teorie logico-matematiche del tardo Ottocento, riesce comunque a presentarsi in una sua spiccata «autonomia». Inoltre, il metodo stesso del suo lavoro, raramente storico e sempre inserito in un quadro argomentativo e problematico, non rende di facile risoluzione il problema degli «influssi»: inquadrare Husserl in questa o quella «tradizione» è sempre limitativo e, in via generale, insoddisfacente, fonte di errori e semplificazioni improprie. Se è infatti evidente che la sua opera segue il filo conduttore del «motivo trascendentale» da individuare all’interno del pensiero moderno e contemporaneo, gli autori che Husserl stesso indica in questa catena di cui si porrebbe come anello, probabilmente terminale, quali Cartesio, Locke, Hume e Kant, non costituiscono certo un tranquillo percorso finalistico e vanno piuttosto considerati come pietre miliari, utili forse per indicare dove non inserire Husserl, tenendolo ben distante da filosofie ideologicamente impegnate o da orizzonti misterici e metafisici, o anche solo millenaristici, che senza dubbio non sono presenti nelle sue pagine.
Nei suoi scritti, invece, il discorso filosofico, la sua stessa pratica, va nella direzione di una rigorosa «chiarificazione concettuale», all’interno della quale, tuttavia, si presta ben piú attenzione al processo di pensiero che alla terminologia con cui esso si esprime. Terminologia che, di conseguenza, costituisce a volte un effettivo ostacolo alla comprensione della filosofia husserliana: il suo specialismo, non privo di tecnicismi, utile forse per non perdersi in autoreferenziali divagazioni linguistiche, o in paradossi di linguaggio, concentrandosi sulla problematicità concettuale, può d’altra parte risultare pericoloso per l’organizzazione comunicativa del ragionamento, a volte per la sua stessa trasmissione «pubblica». Ne risulta un paradosso, forse preliminare allo studio della fenomenologia: è una filosofia che ha presupposti semplici, spesso tuttavia esplicitati con termini tecnici e iniziatici; è un pensiero che, sulla base di questi stessi semplici presupposti, suoi nuclei tematici dal punto di vista metodologico e operativo, si articola però attraverso indagini complesse (logiche, esperienziali, ontologiche), senza mai, di conseguenza, potersi tranquillamente rinchiudere in un quadro sistematico, in definizioni o narrazioni. Le innumerevoli introduzioni scritte al pensiero di Husserl, e Husserl stesso quando si sofferma, come accade frequentemente, a introdurre il proprio pensiero nei suoi termini formali, metodologici e generali1, si concentrano di preferenza sul primo aspetto, nell’implicita consapevolezza che la fenomenologia, una volta chiarificati i suoi presupposti fondativi, non è filosofia che si «studia» (e che dunque si «introduce»), bensí che «si fa», avendo come orizzonte tematico i campi formali e materiali in cui si esercita la nostra esperienza, il nostro sguardo, la nostra vita, e mirando a cogliere, di tale varietà, quelle essenze unitarie capaci di far comprendere che del particolare non si dà scienza, e che dunque il filosofo deve «mirare» all’universale; ma che, per contro, senza particolari, senza un corpo che tocca, sente e guarda «cose», cosí come esse appaiono nel loro insieme qualitativo, neppure è possibile avviare il processo che induce in noi l’interrogazione (filosofica, teorica, epistemologica) sui sensi stratificati del nostro mondo circostante.
Si è detto, e va sottolineato, sui sensi e non sul «senso»: la fenomenologia non è una metafisica, né possiede un privilegiato oggetto tematico. Ritiene infatti che la parola «verità» sia vuota se non accompagnata dall’esplicitazione delle sue «ragioni», che, nel loro radicarsi mondano, sono inseparabili dall’esperienza, dallo sguardo di chi le descrive. La verità si presenta come un «orizzonte»: non nel senso che rimane in un’inconsistente lontananza senza mai venire afferrata, originando un ambiguo relativismo che potrebbe avere esiti scettici, ma che, una volta ben applicati i presupposti delle regole del pensiero, che certo non sono norme2, essa si offre soltanto attraverso prospezioni, angoli di visuale, strati da esplicitare e differenziare. La sua conquista è dunque un processo, una genesi e non il gesto imperativo di un dominio – teorico, linguistico o interpretativo – sul reale.
Si può cosí giungere a una prima, e pur provvisoria, definizione generale: la fenomenologia è in primo luogo descrizione. Quel che di essa si può introdurre sono le regole e non i «temi». Non perché questi ultimi non vi siano bensí, al contrario, perché essi coincidono con i correlati del nostro sguardo sul mondo, che si tratta di connettere ai modi con cui le qualità delle cose si offrono, cercando di afferrare i sensi di tale legame. In questo contesto, con tali presupposti, che Husserl implicitamente conferma con l’esempio della propria vita3, il filosofo non è, né potrebbe essere, un «profeta»: è piuttosto un «uomo senza qualità», che deve correttamente compiere il proprio lavoro di descrizione, chiarificazione e connessione concettuale tra l’esperienza e il giudizio, esplicitando i sensi molteplici di tale rapporto. Il rifiuto del profetismo, di una facile originalità verbalistica, giocata attraverso le pieghe del linguaggio e del pensiero, un pensiero del tutto separato dall’esperienza mondana e dunque metafisico in una direzione «cattiva», non appartengono al contesto concettuale in cui Husserl pone il suo rigoroso descrittivismo filosofico. D’altra parte, la ricerca di una purezza dello sguardo non è affatto coincisa con interpretazioni univoche e scolastiche della fenomenologia, a segnalare in modo evidente, e inquietante, che la ricchezza tematica dell’opera di Husserl, complessa e articolata pur nell’unitarietà dei suoi motivi teorici, non può venire «introdotta» in modo asettico. E ciò non accade per caso bensí, probabilmente, per motivi intrinseci al lavoro di Husserl.
Tale lavoro, infatti, pur perseguendo una linea teorica coerente e unitaria dalle Ricerche logiche alla Crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale, non conosce un solo e univoco strumento espressivo: a costruire differenze nell’interpretazione di questo filosofo sono, ancor prima che i motivi teorici, il peso diverso che si attribuisce a tali differenti modalità comunicative. Husserl, come è noto, affida gran parte del suo pensiero a materiale di per sé non «destinato» alla pubblicazione. I libri stessi, che a volte si presentano come ragionate esposizioni di percorsi complessi, in altri casi offrono tutta la complessa stratificazione della ricerca filosofica husserliana: se infatti le Ricerche logiche, il primo volume di Idee e, in seguito, Logica formale e trascendentale hanno una loro studiata unitarietà, altre, come Esperienza e giudizio, o il secondo volume di Idee, sono il risultato di genesi spesso tormentate e tormentose, «elaborazioni», per lo piú affidate ad assistenti, di manoscritti, lezioni, schemi e appunti. Elaborazioni, peraltro, di cui mai il maestro si dichiarerà completamente soddisfatto, fedele a un «modo» di pensare che si costruisce attraverso la scrittura, la ricerca, la descrizione e che, di conseguenza, ha difficoltà a riconoscersi nella «definitività» di un’opera compiuta e stampata. Husserl infatti, dopo avere derivato gran parte del suo pensiero dal lavoro didattico4, giunge, in particolare quando esso viene meno a causa del pensionamento, ad affidare ai soli manoscritti il proprio lavoro concettuale, rifiutando cosí, quasi per essenza, una forma sistematica e definitiva.
Da tutto ciò deriva, per lo studioso della fenomenologia, una complicazione non indifferente e sempre, qualunque decisione interpretativa si assuma, carica di conseguenze. Da un lato, infatti, si tende a seguire cronologicamente il pensiero di Husserl: in questo caso, le opere da lui pubblicate e quelle che, pur uscite postume, erano state approvate dal filosofo o almeno da lui revisionate, costituiscono precisi «punti fermi» indicativi di sviluppi di pensiero dai quali è impossibile prescindere. D’altro lato (ed è il lato seguito, per esempio, dall’edizione critica delle opere husserliane)5, è difficile non essere consapevoli che le attenzioni problematiche di Husserl sono sempre nei confronti di «temi» filosofici, temi irriducibili alle date di pubblicazione o compilazione di questo o quello scritto, posti invece all’interno di una continuità che non conosce vere e proprie svolte (ma, se si vuole, cambiamenti di prospettiva visiva). Scegliere l’uno o l’altro modo espositivo può significare «dimezzare» l’impatto (o storico o teorico) della fenomenologia: per cui, probabilmente, se si vuole mantenere al massimo grado l’aderenza sia al metodo sia ai contenuti della fenomenologia, è opportuno scegliere una via mediana che, pur indicando le tappe essenziali del percorso storico husserliano, non annulli nella narrazione storica quei nuclei di pensiero in grado di meglio evidenziare il senso complessivo e genetico della fenomenologia.

2. Genesi della fenomenologia.

Dopo questa serie di premesse sarà ancora piú evidente quanto già si è osservato, cioè che una definizione unitaria e pacificata della fenomenologia è un pericoloso azzardo: in Husserl vivono troppe anime (matematica, psicologica, logica, etica, ecc.) e, di conseguenza, numerosi linguaggi e accenti, che è impossibile ridurre a formule. È dunque al tempo stesso vero, ma non soddisfacente, affermare che la fenomenologia husserliana «è una riflessione parallela sul senso sia delle cose sia della vita umana»: riflessione per la quale è necessaria una scienza rigorosa e una visione stessa della scienza nel suo «significato fondamentale per la vita»6. Vero perché coglie l’essenziale e originaria ispirazione della fenomenologia verso una fondamentale esigenza epistemologica, seguendo la sua primaria esigenza di ritrovare il motivo ispiratore della filosofia occidentale, cioè il passaggio, metodologico, analitico e gnoseologico, dalla doxa all’episteme, con il fine di comprendere la varietà del senso mondano, cosí come esso si presenta all’opinione, alla «naturalità» del senso comune. D’altra parte, tuttavia, l’aspetto vitalistico ed esistenziale è probabilmente molto piú legato a una specifica ricezione storica della fenomenologia, o soltanto ad alcuni aspetti ideologici della sua vicenda, senz’altro assenti, o marginalmente presenti, nei suoi momenti fondativi. Il tutto, comunque, in un quadro che mai perde l’unitarietà individuabile sin dagli inizi del progetto filosofico husserliano, reperibile sia negli scritti editi sia nel ponderoso materiale d’archivio. Si può quindi arrivare alla conclusione che il percorso storico della fenomenologia di Husserl è sufficientemente lineare da permettere, pur senza un intento sistematico, un’individuazione dei piani descrittivi che sono al centro della sua interrogazione filosofica.
Dopo i primi scritti «matematici», che già sono stati presi in esame, la meditazione sui «fondamenti» e le esigenze di una fondazione logica, e non psicologica, della filosofia, condurrà Husserl verso i temi presentati nelle Ricerche logiche, di cui pubblica nel 1900 i Prolegomeni a una logica pura e, l’anno seguente, le sei specifiche ricerche raccolte con il titolo Ricerche sulla fenomenologia e la teoria della conoscenza. Già i titoli di questi due volumi suggeriscono i temi che Husserl privilegia in questo periodo del suo lavoro, mentre si trova a Halle come libero docente (vi resterà fino al 1901): l’esigenza di una «logica pura», di quella che viene chiamata una mathesis universalis, che induce a un atteggiamento filosofico che rigetta la normatività ma che, al tempo stesso, sente la necessità di un fondamento discorsivo e argomentativo piú solido di quello fornito dalle metodologie delle tradizioni psicologiche che grande successo, come si è visto, avevano riportato nella filosofia tedesca di fine Ottocento. Confutando ciò che, con accento dispregiativo, Husserl chiama lo «psicologismo», egli propone nella sua prima opera fenomenologica quella dottrina dell’intuizione eidetica che sarà sempre un punto fermo del suo pensiero.
Husserl, nel passaggio dalla prima alla seconda edizione delle Ricerche logiche, esercitando su se stesso uno sguardo storico-critico, osserverà che le descrizioni qui condotte erano senza dubbio «analisi delle essenze» – e non degli aspetti contingenti e psicologici – dei fondamenti dell’esperienza, ma non sempre tale ricerca delle essenze, cioè delle qualità «generali» delle cose, distinte dalla varietà fattuale dell’empirico, era condotta con la necessaria consapevolezza. È appunto l’esigenza di portare a compimento questa «autocoscienza» epistemologica a spingere Husserl verso quel processo di chiarificazione metodologica che lo condurrà, nel 1913, al primo volume di Idee. Ma tale esigenza non è, come a volte si è detto, «estrinseca» alle Ricerche logiche, bensí profondamente radicata nei suoi temi principali, nello stesso intero progetto epistemologico che qui Husserl delinea, analizzando le relazioni tra logica formale, logica apofantica e logica «materiale»: analisi del tutto consapevoli delle tradizioni della filosofia moderna in cui il dibattito si pone e, in primo luogo, del ruolo che in esso svolge Kant. Kant dalle ...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Legenda
  3. La fenomenologia
  4. Parte prima Le origini della fenomenologia
  5. Parte seconda La fenomenologia di Husserl
  6. Parte terza La galassia fenomenologica
  7. Nota bibliografica
  8. Indice dei nomi