
- 312 pagine
- Italian
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eBook - ePub
Informazioni su questo libro
Questa è la storia vera di Hugh Glass.
Questa è una storia di avventura e redenzione.
Questa è la storia di una vendetta.
Hugh Glass è un esploratore e un cacciatore di pellicce che nel 1822 prende parte a una spedizione lungo il fiume Missouri. È qui che, separatosi dal gruppo per trovare provviste, viene assalito da un orso. Vedendo in che condizioni l'ha ridotto l'animale, i compagni si convincono che gli resta poco da vivere e lo lasciano solo, in balia degli indiani. Sembrerebbe la fine e invece è solo l'inizio. A questo punto infatti Glass diventa il protagonista di un'incredibile odissea che possiede la grandiosità della leggenda e la fondatezza della cronaca storica. Michael Punke ricostruisce la storia vera di un eroe celeberrimo della mitologia western, restituendolo alla dimensione che, piú di ogni altra, può rendere giustizia alla sua straordinaria vicenda biografica: quella del romanzo.
«Il lettore si ritrova a voler girare pagina il piú rapidamente possibile per scoprire l'evolversi della narrazione, salvo sperare che questa duri ancora a lungo, visto che non appassionarsi a questa storia è di fatto impossibile».
Giuseppe Culicchia, «La Stampa»
Questa è una storia di avventura e redenzione.
Questa è la storia di una vendetta.
Hugh Glass è un esploratore e un cacciatore di pellicce che nel 1822 prende parte a una spedizione lungo il fiume Missouri. È qui che, separatosi dal gruppo per trovare provviste, viene assalito da un orso. Vedendo in che condizioni l'ha ridotto l'animale, i compagni si convincono che gli resta poco da vivere e lo lasciano solo, in balia degli indiani. Sembrerebbe la fine e invece è solo l'inizio. A questo punto infatti Glass diventa il protagonista di un'incredibile odissea che possiede la grandiosità della leggenda e la fondatezza della cronaca storica. Michael Punke ricostruisce la storia vera di un eroe celeberrimo della mitologia western, restituendolo alla dimensione che, piú di ogni altra, può rendere giustizia alla sua straordinaria vicenda biografica: quella del romanzo.
«Il lettore si ritrova a voler girare pagina il piú rapidamente possibile per scoprire l'evolversi della narrazione, salvo sperare che questa duri ancora a lungo, visto che non appassionarsi a questa storia è di fatto impossibile».
Giuseppe Culicchia, «La Stampa»
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Informazioni
Parte prima
Capitolo primo
14 agosto 1823
– Il mio barcone da St Louis è atteso da un giorno all’altro, Monsieur Ashley –. Il corpulento francese glielo spiegò ancora una volta nel suo tono paziente ma fermo: – Sarò ben lieto di vendere alla Rocky Mountain Fur Company l’intero carico… ma non posso vendervi quel che non ho.
William H. Ashley sbatté il suo boccale di lamiera stagnata sulle assicelle grezze del tavolo. La barba grigia ben curata non nascondeva la tensione della mascella. E la mascella serrata sembrava incapace di contenere un ulteriore scoppio d’ira, poiché ad Ashley toccava di nuovo aspettare, ed era la cosa che piú odiava al mondo.
Il francese, che portava l’improbabile nome di Kiowa Brazeau, osservava Ashley con crescente trepidazione. La presenza di Ashley nel suo remoto avamposto commerciale era un’occasione da non perdere: mantenere buoni rapporti con lui avrebbe significato gettare solide fondamenta per la sua impresa. Ashley era una figura di primo piano nei circoli della politica e degli affari di St Louis, un uomo dotato sia dell’intraprendenza necessaria per estendere il commercio nell’Ovest, sia dei soldi indispensabili per farlo. «Soldi altrui», come lui stesso li aveva definiti. Soldi capricciosi. Soldi nervosi. Soldi che si dileguavano facilmente migrando da un’impresa speculativa all’altra.
Kiowa strizzò gli occhi dietro le lenti spesse; pur non avendo una vista molto acuta, sapeva leggere dentro le persone. – Se me lo consentite, Monsieur Ashley, forse posso offrirvi una consolazione, mentre attendiamo la mia barca.
Ashley non diede segno di aver sentito, ma nemmeno riattaccò con la sua manfrina.
– Ho bisogno di far arrivare altre provviste da St Louis, – disse Kiowa. – Domani manderò un corriere a valle in canoa. Potrebbe portare un messaggio ai vostri finanziatori. Cosí potrete rassicurarli prima che le voci sulla débâcle del colonnello Leavenworth prendano piede.
Ashley fece un respiro profondo e bevve un lungo sorso della sua birra acida, rassegnato, per mancanza di alternative, a sopportare quell’ulteriore ritardo. Che gli piacesse o meno, il consiglio del francese era sensato. Bisognava rassicurare gli investitori prima che la notizia della battaglia si spargesse incontrollata per le strade di St Louis.
Kiowa percepí la sua disponibilità e subito si adoperò per mantenere Ashley in un atteggiamento produttivo. Tirò fuori calamo, inchiostro e pergamena e glieli mise davanti, riempiendogli di nuovo il boccale di birra. – Vi lascio al vostro lavoro, monsieur, – disse, cogliendo al volo l’opportunità di ritirarsi.
Alla luce fioca di una candela di sego, Ashley scrisse fino a tarda notte:
Fort Brazeau,
Sul Missouri
14 agosto 1823
Egregio signor James D. Pickens
Pickens and Sons
St Louis
Caro signor Pickens,
ho la sventurata responsabilità di rendervi edotto degli eventi occorsi nelle ultime due settimane. La natura di tali eventi mi costringe a modificare – ma non ad annullare – la nostra impresa nell’alto Missouri.
Come probabilmente ormai saprete, gli uomini della Rocky Mountain Fur Company sono stati attaccati dagli Arikara dopo aver acquistato loro in buona fede 60 cavalli. Gli Arikara hanno attaccato senza essere stati provocati, uccidendo 16 dei nostri uomini, ferendone una decina e rubando i cavalli che il giorno prima avevano simulato di venderci.
A fronte di tale attacco, sono stato costretto a ritirarmi a valle, richiedendo al contempo l’aiuto del colonnello Leavenworth e dell’esercito degli Stati Uniti per reagire a questa palese violazione del diritto sovrano dei cittadini statunitensi di risalire il Missouri indisturbati. Ho anche richiesto l’ausilio dei nostri uomini, che (guidati dal capitano Andrew Henry) mi hanno raggiunto dalla propria posizione a Fort Union, con grande sprezzo del pericolo.
Il 9 agosto abbiamo affrontato gli Arikara con una forza composta da 700 uomini, fra cui 200 soldati di Leavenworth (con due obici) e 40 uomini della Rmfc. Abbiamo anche trovato degli alleati (seppur soltanto temporanei) in 400 guerrieri sioux, la cui inimicizia per gli Arikara nasce da un risentimento ormai storico di origine a me sconosciuta.
Basti dire che le forze che avevamo riunito sarebbero state piú che sufficienti per dominare il campo, punire gli Arikara per il loro tradimento & riaprire il Missouri alla nostra impresa. Che tali risultati non siano stati raggiunti lo si deve all’indole irresoluta del colonnello Leavenworth.
I dettagli di questo inglorioso scontro possono attendere il mio ritorno a St Louis, ma basti dire che l’ostinata riluttanza del colonnello ad attaccare un nemico in inferiorità numerica ha consentito all’intera tribú arikara di sfuggire alla nostra presa, con la conseguente chiusura del Missouri fra Fort Brazeau & i villaggi dei Mandan. Da qualche parte fra qui e là ci sono 900 guerrieri arikara, ora senza dubbio sul piede di guerra & con nuove ragioni per sabotare ogni nostro tentativo di risalire il Missouri.
Il colonnello Leavenworth è tornato al presidio di Fort Atkinson, dove senza dubbio trascorrerà l’inverno davanti a un caldo focolare rimuginando scrupolosamente le sue diverse opzioni. Io non intendo aspettarlo. Come sapete, la nostra impresa non può permettersi una sosta forzata di otto mesi.
Ashley fece una pausa per rileggere quel che aveva scritto, e restò insoddisfatto dal tono cupo del suo testo. La lettera rifletteva la sua rabbia, ma non trasmetteva la sua emozione predominante: un fondamentale ottimismo, un’incrollabile fiducia nella propria capacità di riuscita. Dio lo aveva posto in un giardino infinitamente prodigo, un Paese di Gosen in cui ogni uomo poteva prosperare, se solo aveva il coraggio e la forza d’animo di provarci. I suoi punti deboli, che era prontissimo ad ammettere, erano semplici ostacoli che potevano essere superati grazie a una combinazione creativa dei suoi punti di forza. Accettava gli intoppi, ma non era disposto a tollerare il fallimento.
Dobbiamo volgere questa sventura a nostro beneficio, insistere adesso che i nostri concorrenti indugeranno. Essendo chiuso il Missouri, ho deciso di inviare due gruppi a ovest seguendo un percorso alternativo. Al capitano Henry ho già assegnato il fiume Grand. Lo risalirà fin dove possibile e poi riparerà a Fort Union. Jedediah Smith condurrà invece un secondo contingente lungo il Platte, con l’obiettivo di raggiungere le acque del Gran Bacino.
Senza dubbio voi condividerete la mia grande frustrazione per questo rinvio. Ora dobbiamo muoverci con audacia per recuperare il tempo perduto. Ho dato istruzione a Henry e Smith di non tornare a St Louis col loro bottino in primavera. Saremo invece noi a raggiungere loro: un rendez-vous sul campo per scambiare le pellicce con rifornimenti freschi. In tal modo potremo guadagnare quattro mesi, & saldare almeno una parte del nostro debito col calendario. Nel frattempo, propongo che a St Louis venga arruolato un nuovo contingente, che partirà in primavera guidato personalmente da me.
Quel che restava della candela sfrigolò sputacchiando un sudicio fumo nero. Ashley alzò gli occhi, rendendosi conto tutt’a un tratto di quanto fosse tardi, e di quanto lui fosse stanco. Intinse la penna nel calamaio e tornò alla sua lettera, scrivendo svelto e deciso adesso che si stava avviando alla conclusione:
Vi esorto a comunicare al consorzio dei nostri finanziatori – con la maggiore fermezza possibile – la mia assoluta fiducia nell’inevitabile successo dei nostri sforzi. Un grande tesoro è stato apparecchiato dalla Provvidenza & noi non dobbiamo farci mancare il coraggio di esigere la parte che ci spetta.
Il vostro umilissimo servitore,
William H. Ashley
Due giorni dopo, il 16 agosto 1823, arrivò da St Louis il barcone di Kiowa Brazeau. Il giorno stesso William Ashley approvvigionò i suoi uomini e li spedí a ovest. Il primo rendez-vous venne fissato per l’estate del 1824, in una località che sarebbe stata comunicata tramite corrieri.
Senza rendersi del tutto conto della portata della propria decisione, William H. Ashley aveva inventato il sistema che avrebbe definito un’intera epoca.
Capitolo secondo
23 agosto 1823
Undici uomini stavano accucciati nell’accampamento senza fuoco. Erano riparati dal lieve pendio dell’argine sul fiume Grand, ma in quella pianura non c’erano dislivelli che potessero celare la loro posizione. Un fuoco avrebbe segnalato la loro presenza per miglia e, se volevano evitare un altro attacco, non dovevano farsi notare. Quasi tutti stavano approfittando dell’ultima ora di luce per pulire i fucili, riparare i mocassini o mangiare. Il ragazzo, uno stropicciato groviglio di lunghi arti e abiti poco adatti alla bisogna, si era addormentato nel momento stesso in cui la brigata dei trapper si era fermata.
Gli altri uomini erano riuniti a gruppetti di tre o quattro, rannicchiati contro l’argine o addossati a un masso o a un cespo di artemisia, come se quelle minime gibbosità potessero offrire una qualche protezione.
I consueti motteggi da accampamento erano stati smorzati dalla disgrazia capitata sul Missouri, e poi del tutto annichiliti dal secondo attacco di appena tre notti prima. Ora, le poche volte che dicevano qualcosa, i trapper parlavano in tono pacato e pensoso, rispettosi dei compagni caduti, in ansia per i pericoli che ancora li attendevano.
– Secondo te ha sofferto, Hugh? Non riesco a togliermi dalla testa che abbia sofferto per tutto il tempo.
Hugh Glass guardò l’uomo, William Anderson, che gli aveva posto la domanda. Ci pensò su prima di rispondere: – Secondo me tuo fratello non ha sofferto.
– Era lui il maggiore. Quando siamo partiti dal Kentucky, i miei hanno detto a lui di badare a me. A me invece non hanno detto una parola. Non gli passava neanche per la testa.
– Hai fatto tutto quello che potevi per tuo fratello, Will. È brutto comunque, ma tre giorni fa, quando quella pallottola l’ha colpito, è morto sul colpo.
Dalle ombre dietro l’argine giunse un’altra voce. – Allora facevamo meglio a seppellirlo subito, invece di trascinarcelo dietro per due giorni –. L’uomo che aveva parlato era accovacciato in precario equilibrio e, nel buio sempre piú fitto, dei suoi tratti si intravedevano solo una barba nera e una cicatrice bianca. La cicatrice cominciava all’altezza della bocca e poi scendeva verso il basso incurvandosi come un uncino. Spiccava molto perché sul tessuto cicatrizzato i peli non crescevano, ed era come se la barba fosse solcata da un ghigno permanente. Mentre parlava, con la mano destra l’uomo affilava su una cote la lama di un coltello da caccia, e le sue parole si mescolavano al lento stridore di quel raschiare.
– Tieni chiusa la bocca, Fitzgerald, o giuro sulla tomba di mio fratello che ti strappo quella dannata lingua.
– Sulla tomba di tuo fratello? Bello schifo di tomba.
A un tratto tutti gli uomini a portata d’orecchio si bloccarono, sorpresi da una tale brutalità, anche da parte di uno come Fitzgerald.
Fitzgerald percepí quell’attenzione, e lo imbaldanzí. – È solo un cumulo di pietre. Secondo te è ancora lí sotto a marcire? – Fece una pausa, cosí che l’unico suono fu il raschiare della lama sulla pietra. – Io personalmente ne dubito –. Fece un’altra pausa, valutando l’effetto delle sue parole mentre le pronunciava. – Magari le pietre hanno tenuto lontano le volpi. Ma mi sa che c’hanno pensato i coyote a farlo a brandelli…
Anderson si avventò su Fitzgerald con tutt’e due le mani tese.
Mentre scattava in piedi per difendersi, Fitzgerald gli mollò un calcio nell’inguine. Anderson si piegò su se stesso, come se una corda invisibile gli avesse strattonato il collo verso le ginocchia. Fitzgerald lo colpí in faccia col ginocchio facendolo ruzzolare all’indietro.
Poi, con un’agilità sorprendente per uno della sua stazza, balzò in avanti e premette un ginocchio sul torace dell’uomo insanguinato e boccheggiante. Quindi gli puntò il coltello alla gola. – Vuoi andare a far compagnia a tuo fratello? – Premeva con tanta forza che sotto la lama si formò una sottile linea di sangue.
– Fitzgerald, – disse Glass in tono calmo ma autorevole. – Adesso basta.
Lui alzò gli occhi. Prese in considerazione l’idea di raccogliere la nuova sfida, mentre notava con soddisfazione il cerchio di uomini che gli si era formato intorno, tutti testimoni della posizione patetica in cui si trovava Anderson. Meglio godersi la vittoria, decise. A Glass ci avrebbe pensato un altro giorno. Allontanò la lama dalla gola di Anderson e ricacciò il coltello nel fodero tempestato di perline che portava alla cintola. – Non cominciare una cosa se non la puoi finire, Anderson. La prossima volta ci penso io a finirla per te.
Il capitano Andrew Henry si fece largo a spintoni fra gli astanti. Abbrancò Fitzgerald da dietro e lo sbatté contro l’argine. – Ancora una rissa e sei fuori, Fitzgerald –. Indicò il lontano orizzonte oltre il perimetro dell’accampamento. – Alla prossima stronzata ti toccherà cavartela da solo.
Il capitano guardò il resto degli uomini. – Domani faremo quaranta miglia. Se non state già dormendo vuol dire che buttate via il vostro tempo. Chi fa il primo turno di guardia? – Nessuno si fece avanti. Henry posò gli occhi sul ragazzo, che non si era accorto di niente. Si avvicinò a passi decisi a quella sagoma raggomitolata. – Alzati, Bridger.
Il ragazzo balzò su a occhi sgranati, cercando a tentoni il fucile con aria smarrita. Quel moschetto arrugginito da quattro soldi l’aveva ricevuto come anticipo sulla paga, insieme a un corno da polvere ingiallito e a una manciata di pietre focaie.
– Va’ a metterti un centinaio di metri a valle. Trova un punto rialzato lungo l’argine. Tu, Pig, la stessa cosa a monte. Fitzgerald, Anderson… voi farete il secondo turno.
Fitzgerald era già stato di guardia la notte prima. Parve sul punto di protestare, ma subito ci ripensò e se ne andò invece con aria imbronciata al margine dell’accampamento. Il ragazzo, ancora disorientato, si avviò incespicando tra le pietre che costellavano la riva del fiume, scomparendo nell’oscurità cobalto che avvolgeva la brigata.
Colui che chiamavano «Pig» era nato col nome di Phineous Gilmore in una fattoria poverissima nel Kentucky. Il motivo del suo soprannome non era un mistero per nessuno, trattandosi di un uomo sudicio e grassissimo, che puzzava cosí tanto da non potercisi credere. Quando sentiva per la prima volta il suo fetore, la gente si guardava intorno per capire da dove proveniva, tanto sembrava inverosimile che quel tanfo emanasse da un essere umano. Perfino i trapper, che non erano certo rinomati per il loro amore per la pulizia, facevano il possibile per averlo sempre sottovento. Dopo essersi issato lentamente in piedi, Pig si buttò in spalle il fucile e si allontanò lemme lemme lungo il fiume.
Meno di un’ora dopo non c’era piú un filo di luce solare. Glass vide il capitano Henry che tornava dopo aver dato una nervosa controllata alle sentinelle. Si faceva strada al chiaro di luna fra gli uomini addormentati, e Glass si rese conto che lui e Henry erano gli unici ancora svegli. Il capitano si andò a sedere al suo fianco, reggendosi al fucile mentre adagiava sul terreno la sua grossa mole. Quella posizione dava sollievo ai piedi stanchi, ma non scacciava il peso che piú gli gravava addosso.
– Domani voglio che tu e Black Harris andiate in avanscoperta, – disse.
Glass alzò gli occhi, contrariato di non poter cedere al richiamo allettante del sonno.
– Verso sera cercherete un po’ di selvaggina. Correremo il rischio di accendere il fuoco –. Henry abbassò...
Indice dei contenuti
- Copertina
- Frontespizio
- Revenant
- I luoghi di Revenant
- Parte prima
- Parte seconda
- Nota storica
- Ringraziamenti
- Fonti principali
- Il libro
- L’autore
- Copyright