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PROLOGO
Nostro signore Gesù Cristo, al tempo in cui parlava con noi da uomo a uomo, disse, tra l’altro, che la lingua si muove quando il cuore straripa. Voi, lettori di alto sentire, che avete un cuore pieno fino all’orlo, mettete in armonia la vostra mente e le vostre parole con la volontà di Dio, se parlate di lui: fate bene a venerarlo e temerlo e lodarlo, poiché quel Nostro Soprastante ci ha amati prima ancora di crearci e ben prima che noi provvedessimo a amarci da soli. Ma, se Dio non ha niente in contrario, si può muovere la lingua anche per rallegrare e tener su e dare una mano al corpo; quindi facciamolo, ovviamente con la massima morigeratezza e signorilità possibili.
Dato che è quasi sempre la bella gente a fare da specchio e da modello di riferimento alla gente normale sia per quanto riguarda la maniera di comportarsi che quella di parlare – il linguaggio dei distinti suona meglio perché viene emesso da strumenti più raffinati di quelli in dotazione ai popolari – qui raccogliamo a futura memoria un florilegio di bei discorsi, bei gesti, belle risposte, begli atti di coraggio, bei regali e amori belli, esattamente come, in passato, li hanno vissuti i loro molti protagonisti. Per le persone di cuore capace e d’ingegno sottile non c’è copyright che tenga: in futuro potranno farne delle imitazioni, ricamarci sopra, rinarrarli,1 recitarli in pubblico (se e dove glielo lasceranno fare), a tutto vantaggio degli incolti che amerebbero istruirsi e goderci anche.
E non sentitevi truffati se i fiori che vi proporremo si troveranno, secondo voi, mescolati a un mazzo di parole di qualità più bassa: l’oro brilla di più su un fondo nero e, a volte, per un unico frutto di buon gusto ci piace tutto un orto e per pochi bei fiori tutto un giardino. Non vi rattristi, o lettori, la constatazione che tanti, che hanno vissuto tanto tempo, da tutta la loro vita hanno saputo tirar fuori soltanto una parola ben detta, o un solo gesto degno di ricordo.
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FEDERICO E IL PRETE GIANNI
Il Prete Gianni, nobilissimo capo di stato indiano,2 mandò, con la debita pompa magna, una nobile ambasceria al nobile e potente imperatore Federico,3 quello che tutti consideravano un modello di lingua e di virtù, e che in effetti lo fu, perché amava il linguaggio raffinato e si sforzava sempre di dare risposte ponderate. L’ambasceria aveva un doppio scopo semplice: scoprire a tutti i costi se l’imperatore era davvero tanto sapiente nell’uso delle parole e nei fatti.
Il Prete consegnò agli ambasciatori tre pietre preziosissime e disse:
«Portatele in regalo all’imperatore e chiedetegli da parte mia che vi dica qual è la cosa migliore che c’è al mondo. Registrerete per filo e per segno quello che dice e come risponde, osserverete bene tutti i comportamenti e le abitudini della sua corte e poi me ne farete un resoconto dettagliato, senza omissis».
Gli ambasciatori arrivarono dall’imperatore al quale li inviava il loro signore, lo salutarono con tutte le cerimonie richieste dalla sua imperiale maestà e dal rango del suddetto signore, gli fecero omaggio delle succitate gemme, e lui le prese ma non domandò di quali proprietà fossero dotate: le fece subito mettere via nel tesoro, continuando a ripetere che erano stupende.
Gli ambasciatori fecero la loro domanda, videro la corte, rilevarono gli usi e i costumi, poi, dopo pochi giorni, chiesero congedo.
L’imperatore, che intanto si era preparato la risposta, disse:
«Da parte mia, dite al vostro sovrano che la cosa migliore di questo mondo è la moderazione».
Gli ambasciatori andarono a riferire tutto quello che avevano visto e sentito, raccontando un gran bene della corte dell’imperatore, dove lo sfarzo massimo era l’eleganza, e lodando le belle maniere dei suoi cavalieri.
Nel sentire le cose che raccontavano gli ambasciatori, il Prete Gianni elogiò l’imperatore ma disse che era molto saggio a parole, mica nei fatti: perché non aveva domandato quali miracolose qualità rendessero tanto preziose le pietre. Quindi gli rimandò gli ambasciatori, con l’offerta di assumerlo alla sua corte come maggiordomo. E gli fece descrivere quanto era ricco lui, e quante diverse popolazioni teneva in suo dominio, e come governava il suo paese.
Non molto tempo dopo, pensando che le gemme regalate all’imperatore erano più che sprecate in mano a uno che non ne conosceva il valore, il Prete Gianni prese un suo gemmologo di fiducia e lo mandò in incognito alla corte dell’imperatore, dicendogli:
«Con qualunque mezzo, tu devi riportarmi quelle pietre. Aguzza l’ingegno e non badare a spese».
Il gioielliere mise in valigia molte pietre di gran bella luce e si mosse. Come artigiano accreditato alla corte imperiale, cominciò a incastonare le sue pietre: venivano i consiglieri di stato, e venivano i funzionari, e ammiravano i lavori. Lui, che era un vero esperto in lungimiranza, quando vedeva lì qualcuno che a corte aveva un posto di rilievo, non vendeva: regalava. E di anelli ne regalò tanti che la sua fama di grande perito arrivò fino alle orecchie dell’imperatore, che lo chiamò per una expertise delle sue gemme. Lui disse che erano belle, ma non speciali, e domandò se non aveva di meglio. Allora l’imperatore fece portare proprio le tre pietre preziosissime che quello non vedeva l’ora di esaminare.
Il gioielliere ne prese una, la soppesò sul palmo della mano e disse tutto allegro:
«Questa pietra, maestà , vale quanto la più ricca città dell’impero».
E poi ne prese un’altra e disse: «Questa, maestà , vale quanto la più ricca regione dell’impero».
E poi prese la terza, disse:
«Maestà , questa qui vale più di tutto l’impero», chiuse il pugno attorno alle tre pietre e sparì.
Delle tre, una aveva il potere di rendere invisibili. E così lui se ne scese tranquillamente per lo scalone del palazzo, tornò dal Prete Gianni e, con grande gioia di costui, eccole lì le pietre.
3
UN ANTENATO DI SHERLOCK HOLMES
In Grecia c’era una volta un’eccellenza che portava la corona di re. Era titolare di un regno niente male quanto a grandezza, si chiamava Filippo4 e, non si sa bene per quale reato, teneva in carcere un intellettuale greco, il quale era un tale pozzo di scienza che la sua intelligenza si proiettava più in alto delle stelle.
Un giorno successe che a questa eccellenza fu mandato in regalo dalla Spagna un cavallo da guerra, robusto, bello e di gran razza a vedersi. Per sapere se il caval donato era di buona qualità , il re fece cercare qualcuno che si intendesse di ippica: gli risposero che nelle sue prigioni aveva già il migliore degli intenditori possibili, uno che si intendeva di tutto. Il re fece portare il cavallo nel maneggio e il greco fuori di prigione e disse:
«Maestro, mi si dice che sei molto colto: valutami un po’ questo cavallo».
Il greco dette un’occhiata al cavallo e rispose:
«Signore, per esser bello è bello, ma qualcosina da dire c’è: il cavallo è stato allevato a latte d’asina».
Il re mandò gente in Spagna a indagare su come fosse stato allevato il cavallo e si scoprì che la cavalla era morta e che il puledro orfano era stato tirato su con il latte di un’asina. Il re rimase a bocca aperta e ordinò che il sapiente fosse ricompensato con una mezza pagnotta al giorno, a spese della corte.
In seguito, successe che il re stava mettendo in ordine le sue pietre preziose e fece mandare a chiamare un’altra volta questo detenuto greco:
«Maestro» gli disse «tu sei un uomo di grande cultura e sono certo che ti intendi di qualunque cosa. Se ne capisci anche di pietre preziose, dimmi: quale di queste ti sembra di maggior valore?»
Il greco le guardò e disse:
«A lei quale piace di più?».
Il re scelse in mezzo alle altre una pietra molto bella e disse:
«A me, maestro, la più bella e pregevole sembra questa».
Il greco la prese in mano, poi strinse il pugno, poi se la accostò all’orecchio, e poi affermò:
«Maestà , cià dentro un verme».
Il re mandò a chiamare i tagliatori e la fece spezzare, e che c’era dentro la pietra? Un verme. Il re proclamò davanti a tutti che il greco era un sapiente strepitoso e decretò che gli fosse assegnata una pagnotta intera al giorno, a spese della corte reale.
Non passò molto tempo che al re venne la preoccupazione di non essere un sovrano legittimo. Mandò a prelevare il suo greco, però stavolta se lo fece portare di nascosto e gli disse in segreto:
«Maestro, ormai sono sicurissimo che sei un’arca di scienza: ne ho avuto la dimostrazione nelle risposte che mi hai dato. Ora voglio che tu mi dica di chi sono figlio io».
Rispose il greco:
«Maestà , ma che domande mi fa? Lei sa benissimo che è figlio di suo padre».
Disse il re:
«Andiamo, andiamo, non rispondermi così tanto per farmi piacere. Non devi aver paura di dirmi la verità . È se non me la dici che ti farò morire di una brutta morte».
Allora il greco rispose:
«Maestà , io le dico che lei è figlio di un fornaio».
«Ah sì?» disse il re. «Questa, bisogna che mammà me la confermi.»
Mandò a chiamare sua madre e, a forza di minacce truci, la mise con le spalle al muro. La madre confessò che era vero. Il re allora si chiuse in una stanza con il greco e gli disse:
«Maestro carissimo, la tua sapienza ha superato la prova del nove. Ma come fai a sapere queste cose? Dimmelo, per favore».
«Glielo dirò, maestà » rispose il greco. «È stato un semplice ragionamento abduttivo, basato sulla conoscenza della natura, a farmi capire che il cavallo era stato allevato a latte d’asina: avevo notato che teneva le orecchie abbassate, e questo non è naturale per un cavallo. Del verme che bacava la pietra mi sono reso conto perché le pietre per loro natura sono fredde, e questa invece era calda: una pietra calda è innaturale, a meno che il calore non glielo fornisca un essere vivente.»
«E io? Come hai capito che sono figlio di un fornaio?»
«Maestà » rispose il greco «quando le ho detto una cosa così stupefacente sul cavallo, lei mi ha ricompensato con mezza pagnotta al giorno: e quando poi le ho detto della pietra, ha aumentato la donazione a una pagnotta intera. Ci vuol tanto a capire? È stato allora che mi sono accorto di chi era figlio lei: se fosse stato figlio di re, le sarebbe sembrato troppo poco regalarmi una grande città , mentre a lei è sembrato anche troppo regalarmi del pane: le è venuto naturale, perché così faceva il suo papà .»
Il re allora riconobbe la propria piccineria, lo fece scarcerare e gli dette regali degni di un vero aristocratico.
4
IL CAVALIERE, ALESSANDRO E IL GIULLARE
Quando Alessandro stava assediando con un folto esercito la città di Gaza,5 capitò che un nobile cavaliere prigioniero dei nemici riuscì a scappare e, trovand...