1
Una stanza grande, quasi vuota. Soffitti alti, uno specchio rettangolare senza cornice e due foto di paesaggi nordamericani appoggiate al muro.
I quadri, si sa, non si appendono più da almeno trent’anni.
A sinistra, sempre a terra, il grande ritratto in bianco e nero di una donna di spalle stretta in un corpetto di pelle nera. Si intuisce il profilo, ricorda quello di Madonna. Madonna la cantante. In basso a destra c’è una firma, una dedica illeggibile e una frazione: 1/5.
L’unica finestra, decisamente più larga del normale, si affaccia sulla città.
È un piano alto, solo cielo, nuvole e parecchie cupole in disordine.
Al centro della stanza, ben lontano dalle pareti, c’è un letto sfatto tipo futon. Sopra il piumone chiaro sta composto un cane alto non più di quindici centimetri.
Sembra un peluche, ma a vederlo bene si muove. Respira.
È bianco con una macchia marrone sull’occhio. Deve essere nato da poco, il muso è ancora rosa.
Il cucciolo lotta con il collarino di brillanti che indossa, sta cercando disperatamente di toglierlo, finché non inizia a tossire.
Quando gli spasmi sono passati si fissa nel grande specchio senza cornice. Ha lo sguardo serio e vagamente preoccupato, forse è la razza che ha quest’espressione particolarmente triste, oppure sta male o ha solo nostalgia di casa.
Dalla porta socchiusa accanto allo specchio arriva una luce calda, rumore di acqua e un leggero vapore.
Poi una voce di donna si somma alla monotonia dei suoni: «Lungotevere Marzio 39...».
Dopo una pausa, il cane riprende a tossire più forte di prima, si dà una zampata sul collare come estremo tentativo di liberarsene. Ci riesce. E poi chiude gli occhi stanco morto.
Anche vincere gli fa fatica.
2
Centralina della cooperativa taxi “La lince”, la terza a Roma per numero di macchine. Una decina di signore di mezza età con auricolare e microfono sono impegnate a smistare le chiamate.
«Lungotevere Marzio 39, lungotevere Marzio 39. Passo.»
Rumori, suoni distorti. Qualcuno prende la corsa.
«Milano 12, ricevuto. Passo.»
«Milano 12, il cliente ha un cane da grembo. Ricevuto?»
«Affermativo. Quattro minuti. Passo.»
«Ok Milano 12. Passo.»
Romano Calvini fa il tassista da dieci anni. Oggi ne ha trenta, anche se ne dimostra venti di più, e da dieci anni usa la Ritmo del padre, ex tassista pure lui. Si sono passati la corona, come piace dire al vecchio. E oggi lui è il re.
È del 1984 la sua macchina, il cane non è un problema. Sarà uno di quelli che vanno ora, mezzo chilo di bestia a dire tanto... se non sai che c’è neanche lo vedi.
Si porta una mano alla testa. I capelli quasi non li sente, sono lunghi quanto la barba: un giorno ha capito che stava diventando pelato, e ha tagliato tutto.
Oggi c’è un traffico da non credere. Sarà che piove e le feste sono vicine. Sotto Natale tocca rassegnarsi.
Il tempo di attraversare il ponte e i quattro minuti sono trascorsi. Accosta al numero 39 e mette le quattro frecce senza spegnere la macchina. Chissenefrega se consuma, al freddo non gli va di stare.
Accende la radio, ma non trova una stazione decente. Tutti parlano, la musica non sembra andare più di moda.
Guarda il portone di vetro, mosaici, marmo, metallo dorato. Intanto la pioggia rimbomba sulla lamiera sottile della macchina.
Finalmente la porta dell’ascensore si apre ed esce una ragazza, avrà nemmeno trent’anni, una grossa borsa a tracolla, una coperta e un’altra borsa in mano.
«Portatela ‘na cosetta» commenta Romano nella solitudine dell’abitacolo.
Il portiere la saluta e la scorta con l’ombrello fino al taxi. Non smette un secondo di parlarle. “Cosa non si fa per una mancia” pensa il tassista.
Lei lo ringrazia, lui le apre la porta, la fa entrare e, prima di chiudere, dà una carezza a qualcosa che è dentro la tracolla.
Finalmente soli.
«Buongiorno» dice la ragazza mentre si aggiusta nel sedile.
«Buongiorno signorina.»
Il semaforo è verde e lui parte, anche se lei non ha detto dove vuole andare.
La guarda nello specchietto. È carina.
Capelli scuri, ma non neri. Lunghi, ma non troppo. Gli occhi grandi e chiari, ma non verdi. Certo è vestita un po’ così. Ha un cappotto blu pieno di peli di gatto o di cane, pantaloni neri di pelle, un maglione aperto e sotto una canottiera.
Dal fagotto, Romano vede spuntare una testa minuscola di cane. Ecco cosa accarezzava il portiere.
È un animale strano, tiene gli occhi chiusi stretti stretti. Non fa niente, a momenti neanche respira. E ogni tanto fa dei versi come per vomitare.
La ragazza ancora non ha aperto bocca, traffica con il cellulare e ogni tanto scuote la testa.
«Scusi signorina, dove la porto di bello?»
Non sembra sentirlo.
Romano insiste. «Signorina, scusi?»
Si gira e la osserva col sorriso.
«Signorina, dove la devo portare?»
Finalmente lei solleva lo sguardo dallo schermo e risponde: «Scusi, pensavo sapesse già. Circonvallazione Clodia 5».
“Come faccio a saperlo già?” si domanda Romano.
Sarà strana, ma lo intriga. Ha qualcosa che gli piace. Lui la ragazza ce l’aveva fino a un anno fa, poi lei voleva i figli, lui no, e niente, tutto finito.
Però questa gli sembra difficile, di quelle con i problemi. Ha quell’aria svanita, distratta. Dev’essere preoccupata, non ha neanche un po’ di trucco.
Tenta un approccio, due parole. Niente di che, lo fa sempre, pure con i maschi. Giusto per passare il tempo e avere qualcosa di cui chiacchierare a cena con il padre.
«Era ora, almeno pulisce un po’. A Roma giusto l’acqua ci può riusci’.»
Silenzio. Prova a rilanciare.
«Ma l’ha visto il Tevere quant’è alto? È cresciuto tutto stanotte. Ieri sera ho staccato che era normale, oggi alle sei quando sono uscito dal garage me so’ spaventato per quanto era salito. È che tante volte non vuol dire che qui c’è il sole. Basta che fa un po’ d’acqua su...»
Romano parla come un vecchio, nonostante l’età. E lo riconosce, e anche i suoi amici glielo dicono, ma lui ormai è così, non pensa di potere cambiare. È che frequenta solo il padre. Dovrebbe staccarsi, farsi una famiglia sua, uscire, vedere il mondo. O almeno un altro quartiere. E invece niente. Torna a casa, si toglie le Timberland e sprofonda nella poltrona accanto al vecchio.
«Ma è cucciolo?»
La ragazza finalmente alza gli occhi e incrocia quelli di Romano nello specchietto. Controvoglia risponde: «Sì».
«Ma è de razza?»
A lui non piace, gli pare un pipistrello, ha le orecchie lunghe e il muso schiacciato.
«Sì, è un bouledogue francese.»
Il cane continua a dormire, sepolto nella coperta scozzese.
«Che caruccio. Ma è normale che fa quei versi?»
Purtroppo per Romano il telefono della ragazza inizia a vibrare.
E lei risponde.
«Parlo con Olimpia Reale?»
«Sì, sono io.»
«Buonasera, sono la segretaria del dottor Fantini, è per l’appuntamento di oggi alle 18.45.»
Forte accento del nord.
Pausa.
«È confermato?»
«Certo, sì, certo, confermato.»
Sono settimane che aspetta quest’incontro. Non può ripensarci all’ultimo.
«Grazie, allora è tutto, arrivederci.»
«Arrivederci.»
Romano non voleva ascoltare, ma la donna al telefono ha gridato come una pazza.
...