Né potere né gloria
eBook - ePub

Né potere né gloria

  1. 224 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
eBook - ePub

Né potere né gloria

Informazioni su questo libro

Il Golgota non è certo la meta ideale dove distrarsi per uno storico romano di passaggio a Gerusalemme. Ma Valerio Massimo a quel colle brullo e stranamente animato arriva per caso, e proprio quando un condannato sta per essere crocifisso. Chi è e cos'avrà mai fatto quell'uomo esile, dall'aria mite, per essere punito con una morte tanto crudele? E cosa significa quella scritta, INRI, apposta sulla sua croce? Da quando lo vede, Valerio Massimo, allevato nella salda concezione della realtà e della cultura di Roma, uomo cinico e razionale, non è più lo stesso e inizia a interrogarsi senza sosta su quella condanna. E mentre a tutti appare assurdo l'interesse di un cittadino romano per un galileo inchiodato a due assi di legno, la sua indagine lo condurrà sulle orme di Yehoshua, lungo strade impolverate e infide, alla ricerca di chi lo ha conosciuto, di chi ha ascoltato, senza capirle, le sue parole e lo ha visto compiere prodigi già dimenticati. Mettendo in pericolo la sua stessa vita concluderà che si è trattato della morte di un innocente, colpevole solo di non aver compreso davvero il mondo con le sue piccolezze e false leggi, tradito e abbandonato persino dai suoi discepoli. Un fallito, non un vincitore, eppure agli occhi di Valerio Massimo un uomo più potente, nella sua debolezza, dei potenti che lo hanno condannato. Né potere né gloria è l'inaspettato innamoramento per una figura sconcertante, quella di Cristo, che ha scelto di consegnare il proprio destino nelle mani e alla labile memoria degli uomini.

Domande frequenti

Sì, puoi annullare l'abbonamento in qualsiasi momento dalla sezione Abbonamento nelle impostazioni del tuo account sul sito web di Perlego. L'abbonamento rimarrà attivo fino alla fine del periodo di fatturazione in corso. Scopri come annullare l'abbonamento.
Al momento è possibile scaricare tramite l'app tutti i nostri libri ePub mobile-friendly. Anche la maggior parte dei nostri PDF è scaricabile e stiamo lavorando per rendere disponibile quanto prima il download di tutti gli altri file. Per maggiori informazioni, clicca qui.
Perlego offre due piani: Base e Completo
  • Base è ideale per studenti e professionisti che amano esplorare un’ampia varietà di argomenti. Accedi alla Biblioteca Base con oltre 800.000 titoli affidabili e best-seller in business, crescita personale e discipline umanistiche. Include tempo di lettura illimitato e voce Read Aloud standard.
  • Completo: Perfetto per studenti avanzati e ricercatori che necessitano di accesso completo e senza restrizioni. Sblocca oltre 1,4 milioni di libri in centinaia di argomenti, inclusi titoli accademici e specializzati. Il piano Completo include anche funzionalità avanzate come Premium Read Aloud e Research Assistant.
Entrambi i piani sono disponibili con cicli di fatturazione mensili, ogni 4 mesi o annuali.
Perlego è un servizio di abbonamento a testi accademici, che ti permette di accedere a un'intera libreria online a un prezzo inferiore rispetto a quello che pagheresti per acquistare un singolo libro al mese. Con oltre 1 milione di testi suddivisi in più di 1.000 categorie, troverai sicuramente ciò che fa per te! Per maggiori informazioni, clicca qui.
Cerca l'icona Sintesi vocale nel prossimo libro che leggerai per verificare se è possibile riprodurre l'audio. Questo strumento permette di leggere il testo a voce alta, evidenziandolo man mano che la lettura procede. Puoi aumentare o diminuire la velocità della sintesi vocale, oppure sospendere la riproduzione. Per maggiori informazioni, clicca qui.
Sì! Puoi usare l’app Perlego sia su dispositivi iOS che Android per leggere in qualsiasi momento, in qualsiasi luogo — anche offline. Perfetta per i tragitti o quando sei in movimento.
Nota che non possiamo supportare dispositivi con iOS 13 o Android 7 o versioni precedenti. Scopri di più sull’utilizzo dell’app.
Sì, puoi accedere a Né potere né gloria di Ferruccio Parazzoli in formato PDF e/o ePub. Scopri oltre 1 milione di libri disponibili nel nostro catalogo.

Informazioni

Editore
RIZZOLI
Anno
2014
Print ISBN
9788817072533
eBook ISBN
9788858667941
Né potere né gloria
A Sesto Pompeo proconsole emerito
da Valerio Massimo disperso in Oriente,
vale
Mi è accaduto qualcosa, amico mio, che non so neppure io stesso con quale nome chiamare. Sta di fatto che quel Valerio Massimo, il tranquillo imbrattacarte del quale hai benignamente voluto condividere la compagnia durante il tuo proconsolato in Asia, nella bella città di Pergamo, non è più lo stesso Valerio Massimo che hai conosciuto e protetto. Del resto, proprio tu mi dicesti che la tranquillità in un uomo adulto è un cattivo segno. Se è così, posso dire di esserne guarito.
Al tuo rientro a Roma non ti ho seguito. Nonostante la benevolenza di cui mi ha sempre onorato il nostro imperatore Tiberio e il suo incomprensibile interesse per quello scartafaccio in cui narro dei vizi e delle virtù dei nostri maggiori e a cui ho dato lo sproloquioso titolo Dictorum factorumque memorabilium libri, l’aria di Roma mi disgusta. Ma tu mi scrivi che l’infame Seiano è morto, e perciò reputo che sia venuta anche per me l’ora di fare ritorno in patria. Quando mi giunse la tua lettera, i particolari della fine di quell’odioso usurpatore della fiducia imperiale erano già di pubblico dominio. Denunce, esecuzioni, suicidi, l’imperatore ritirato per sempre a Capri, era Seiano il padrone dell’Urbe finché la misura del terrore non fu colma: a congiura fu contrapposta congiura. Trascinato in carcere, l’esecuzione venne immediatamente eseguita. Gira voce che la plebe fece scempio del suo corpo, e che ne spinse gli inconoscibili resti giù per le Scale Gemonie, dove già molti furono i corpi uncinati con i rostri, e li gettò nel Tevere. Questa è Roma dove non vorrei tornare ma dove tornerò.
Lasciata l’Asia mi trasferii in Siria trasportato dalla curiosità di conoscere i costumi e la vita delle genti. Per la Galilea e per la Samaria discesi poi fino a Gerusalemme, nella Giudea, dove è tuttora prefetto Ponzio Pilato. Non saprei che dirti di Gerusalemme, città che il nostro Cicerone amò definire “una bicocca”. È una città né grande né piccola, assai chiassosa e caotica specie durante le feste religiose degli ebrei, popolo fanatico e litigioso con cui lo stesso Ponzio Pilato si scontrò più di una volta andando giù duro, come è nostra consuetudine nelle province, in caso di aperta ribellione. Vi furono parecchi morti tra coloro che offrirono la gola alle spade per tutelare la sacralità del culto. Ogni volta, fu una protesta religiosa, non politica, la nostra dominazione gli va fin troppo bene a questo popolo abituato a sopportare tiranni sanguinari: l’ultimo spettacolo di qualche tempo fa pare sia stato una crocefissione in massa durante un banchetto allietato dallo sgozzamento delle mogli e dei figli dei condannati.
La crocefissione è un supplizio che abbiamo, infatti, appreso in Oriente e di cui noi romani abbiamo fatto un ottimo e largo impiego. Ma né a Roma, dove cercavo di trattenermi il meno possibile, né durante il tuo pacifico proconsolato in Asia, ho mai avuto occasione di assistere a una crocefissione. Non so se tu hai mai avuto quell’occasione, ma ti assicuro che è davvero un’assai brutta faccenda. Ed è proprio di questa brutta faccenda che ti voglio parlare poiché da lì è nato lo strano stravolgimento della mia vita al quale non so dare un nome.
Come cittadino romano di un certo riguardo, grazie a una lettera di accredito a firma dello stesso imperatore, avevo preso alloggio presso la Torre Antonia, un cubo imponente di pesanti massi che sorge a nord del Tempio lungo la linea muraria che circonda la città. Una sistemazione più da militare che da civile ma, dato il luogo poco raccomandabile per un cittadino isolato e dall’aspetto benestante, la più fidata. Lo stesso Pilato, al momento della presentazione della lettera imperiale, me ne aveva raccomandato l’uso. Forse anche per togliermisi dai piedi in quanto all’oscuro sull’origine della benevolenza imperiale, se fosse per meriti culturali o per meriti delatori di cui molti in quel tempo godevano. Insomma, se puta caso non fossi una spia di Seiano, di cui l’impero pullulava, pronta alla denuncia per ogni minima defezione o, più sovente, per sospetto di infedeltà. Del resto, lo stesso Pilato, quando da Cesarea, dove è di stanza, scende a Gerusalemme, è a sua volta ospite, per così dire, nel palazzo di Erode, il tetrarca di Galilea. Ma tu sai bene che, trattandosi di Gerusalemme, non si capiva chi dei due fosse ospite dell’altro, in quanto il palazzo, che ebbi modo di ammirare nel suo splendore, era senz’altro di Erode, ma la Samaria e la Giudea erano e sono una provincia procuratoria sotto magistrato romano.
Le strade di Gerusalemme non hanno nulla di attraente, vicoli stretti, spesso a gradini, zigzaganti fra case ammassate tra cui, raramente, si aprono cortili interni separati dalla strada con muri a secco da cui spunta talvolta la chioma di un fico. Niente giardini, niente spazi aperti se non quello del Tempio, angusti fondaci di artigiani, ma neppure questi numerosi, perché il commercio, molto vario e caotico, e soprattutto chiassoso, si tiene in prossimità delle molte porte d’ingresso alla città, ognuna protetta da una torre di guardia. Più piacevoli i dintorni, i monti che si alzano sul lato ovest, attraversati dalle strade per Betania, un villaggetto di poche case, e per Gerico, sprofondata sulla sponda del Giordano presso la confluenza nel Mar Morto dopo un salto di quasi mille metri.
Per farla breve avevo bisogno di aria perché per noi, abituati ad altri spazi urbani, sostare troppo a lungo in questa città claustrofobica finisce che non ci si respira, nonostante il mese fosse favorevole, né caldo né freddo, l’aprile passato, quando ancora fingevo di occuparmi del mio scartafaccio indagando sulle glorie dei popoli orientali che facevo assai fatica a rinvenire mentre abbondavano i loro vizi. In quanto partecipe delle immeritate grazie di Tiberio, Seiano non mi amava e questo bastava a renderlo pericoloso tanto da tenersene lontani il più possibile.
Per mia fortuna o per mia disgrazia, quel giorno sbagliai la scelta della porta di uscita per la campagna. Varcai le mura dalla porta di Efraim, la più vicina alla Torre Antonia. Doveva essere circa l’ora di mezzogiorno, un’ora afosa, anche se non saprei dire se c’era il sole, ma questo non conta, presi subito a sudare. Fuori porta c’era più gente del solito che, al contrario della consueta frenesia mercantilizia, pareva non avesse nulla da fare se non guardare verso un monticello spelato che sorgeva poco distante. Ero capitato male per la meta di una passeggiata perché quel colle doveva essere il luogo in cui venivano eseguite le esecuzioni capitali. Non c’era infatti da sbagliarsi: sul cranio pelato del monticello si alzavano già due rozze croci con appesi due corpi. Come ho detto, non avevo mai assistito a una crocefissione per cui, ora che, mi piacesse o meno, mi ci trovavo davanti, come storico, seppure mediocre imbrattacarte di corte, non potevo tirarmi indietro. Mi feci largo tra i curiosi per osservare meglio i particolari della scena. I corpi dei due crocefissi erano interamente nudi, contorti su due pali incrociati, le braccia, quasi slogate dalle ascelle, stirate più in alto della testa, arrovesciate all’indietro sul palo trasversale e legate alla piegatura dei gomiti, le gambe distese, un po’ rattrappite nell’ultimo sforzo, il peso del tronco sorretto da un paletto che spuntava in mezzo alle gambe, infisso al legno, sotto lo scroto del condannato. Al peggio che gli fosse andata, per i due crocefissi la pena era già scontata perché era evidente che non avevano più anima in corpo.
Ai piedi dei patiboli sostava un manipolo di soldati, mi riconobbero per cittadino romano e mi invitarono a prendere posto accanto a loro.
«Da quanto sono lassù?» chiesi al centurione.
«Dall’alba di stamane, dovevano essere circa le sei.»
«Mi paiono morti, a quest’ora.»
«Non c’è dubbio: sei ore sono troppe, tre sono poche. Dipende.»
«Da cosa dipende?»
«Dalla costituzione fisica del condannato, dai particolari imposti per l’esecuzione. Quello che arriva adesso, per esempio, abbiamo ordine di inchiodarlo mani e piedi ai legni e pare che non sia un bestione come questi due.»
«Allora ce n’è un altro?»
«È quello che aspettiamo, se no ce ne saremmo già andati. Con i primi due abbiamo finito. Staranno su ancora qualche ora insieme a quell’altro, poi tutti e tre finiranno nella fossa comune.»
«Di che sono accusati per meritare la condanna a morte?»
«Non ci vuole molto, cittadino, lo sai anche tu, specie se vieni da Roma. Ma di Roma non è bene parlare. Qui le cose vanno per le spicce. Quei due lassù sono briganti di strada, degli assassini, forse dei ribelli, vai a sapere.»
«E quello che arriva?»
«Quello che arriva non sappiamo. Deve entrarci
in qualche modo la religione di questi fanatici nel loro unico dio. Noi, che di dèi ne abbiamo tanti, non ci scanniamo certo per loro. Ognuno si arrangia come meglio crede. Questi sono diversi.»
«Se sono fatti loro, perché non se la sbrigano da soli? Voi cosa c’entrate?»
«La condanna l’ha emessa Pilato, è lui che ha fatto il processo. In quattro e quattr’otto stamattina se l’è sbrigata e così l’esecuzione ora tocca a noi. Del resto, uno vale l’altro, sono ordini e basta.»
La piccola folla ai piedi del monticello aveva preso ad agitarsi.
«Eccoli che arrivano» annunciò il centurione.
Alcuni soldati piuttosto male in arnese, con un ghigno stampato in faccia come una maschera che avessero dimenticato di togliersi, spingevano su per la breve salita un ometto piccolo, bruno, di circa quarant’anni, certamente un ebreo, il volto coperto di sangue, che trascinava su una spalla un trave piuttosto corto che doveva essere il braccio trasversale della croce. Il trave verticale, infatti, stava steso a terra tra i due crocefissi. Il carico non doveva essere eccessivamente pesante ma il condannato era così disfatto che lo reggeva a stento, tanto che a metà salita si accasciò sotto il peso e cadde sulle ginocchia. I soldati lo risollevarono e lo spinsero a braccia fino al patibolo. Poca gente li seguiva, per lo più dei curiosi piuttosto indifferenti tra i quali ogni tanto qualcuno si ricordava di lanciare un’invettiva non si sa indirizzata a chi. C’era anche un gruppetto di donne, assai decoroso, il volto addolorato, forse quelle che in ogni paese usano accompagnare i condannati per arrecare, all’occorrenza, qualche estremo conforto.
Arrivati sulla cima, i soldati, scaricato il condannato dal peso del trave, lo spogliarono nudo, lo stesero sul trave principale, gli distesero le braccia su quello orizzontale, che avevano già inchiodato all’altro, e con lunghi chiodi presero a fissargli a martellate mani e piedi sui legni. Poi, tutti insieme, aiutandosi con delle corde, sollevarono croce e crocefisso fissando il piede del trave in un buco già scavato nel terreno. Del resto, non bisogna immaginarsi granché, la croce, come quelle degli altri due condannati, era talmente bassa che i piedi dei crocefissi erano distanti pochi palmi dal suolo.
L’esecuzione era finita. I soldati, o carnefici che fossero, non avevano impiegato certo parecchio tempo dal momento che il sole picchiava alto dallo stesso punto del cielo. Adesso stava al crocefisso morire il più in fretta che poteva. A vederlo, così come era conciato, non ci avrebbe messo molto.
«E adesso?» domandai al centurione che a quella esecuzione si era limitato a fare da spettatore.
«Adesso niente. Ce ne andiamo tutti a mangiare, tranne uno che resta di guardia non si sa a che cosa. Perché anche la gente, lo vedi, se ne sta tornando a casa. Lo spettacolo è finito.»
«Ma se quell’uomo non era un bandito, possibile che nessuno lo abbia seguito, magari da lontano, dei parenti, degli amici?»
«Pare che li avesse, ma sono scappati tutti.»
«Si sa come si chiama?»
«Io non lo so. Ma c’è scritto sulla targa in cima alla croce. È d’obbligo: nome, luogo di provenienza, motivo della condanna. Ma bisogna saperla leggere.»
«Io vedo solo quattro lettere.»
«Già. Sono soltanto le iniziali. Bisognerebbe sapere di quali parole. Pilato lo sa, le ha fatte scrivere lui.»
Non mi decidevo ad andarmene, eppure non c’era più niente da vedere se non quei tre corpi appesi, due già morti, l’altro come se lo fosse. Qualcosa mi tratteneva, qualcosa che non mi era molto chiaro. Perché accoppare un ometto che sembrava del tutto indifeso e abbandonato, del quale neppure i suoi carnefici conoscevano le cause che l’avevano portato a una morte tanto atroce? Va bene che si era in provincia, ma la decantata giustizia romana? Lasciamola pure perdere, anche a Roma in fatto di giustizia non si sc...

Indice dei contenuti

  1. Né potere né gloria
  2. Frontespizio
  3. Copyright
  4. Né potere né gloria