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IL CORPO
Metafora di un sistema produttivo
L’Italia è un Paese di contraddizioni e questo lo sappiamo: potremmo star qui a elencarne soltanto alcune ma siamo convinti che esauriremmo non solo gran parte delle pagine di questo libro, ma anche il sistema nervoso e la pazienza del nostro lettore. In particolare una fra le tante contraddizioni ci è saltata all’occhio, quella che fa dell’Italia il 65esimo Paese del mondo per facilità di fare impresa (fonte: classifica Doing Business della World Bank, benchmark aggiornato a giugno 2013) e contemporaneamente il quarto Paese del mondo per numero di prodotti leader nell’export mondiale per saldo commerciale attivo con l’estero1.
Il ranking Doing Business curato dalla Banca Mondiale è una classifica che ordina, misurando una serie di parametri, 189 nazioni in base alla facilità di fare impresa, vale a dire valutando il contesto normativo, procedurale e burocratico di ciascun Paese rispetto al suo essere favorevole non solo alla nascita di nuove imprese ma anche alla gestione, al mantenimento e allo sviluppo di quelle già esistenti. L’Italia nell’ultima rilevazione risulta 65esima su 189 Paesi, trovando in posizioni più alte della sua nazioni come il Botswana, la Tunisia, il Kazakistan, il Montenegro, la Colombia, l’Armenia, il Ruanda, la Macedonia, la Georgia, solo per citarne alcune che (con tutto il rispetto) non ci saremmo mai aspettati di inseguire in nessuna classifica. Se poi filtriamo il ranking isolando solo i 31 Paesi OCSE considerati dalla Banca Mondiale come quelli ad alto livello di PIL, l’Italia risulta 29esima seguita solo da Grecia e Repubblica Ceca. E pensare che i dieci principali parametri presi in considerazione per stilare questa classifica misurano fattori che sono eminentemente pratici e concreti: il numero di procedure richieste per avviare una nuova impresa (per le quali l’Italia ricopre la 90esima posizione); ottenere e gestire permessi di costruzione (112esima posizione); ottenere l’allacciamento all’energia elettrica (89esimo posto); registrare, acquistare o trasferire una proprietà (34esima posizione); avere accesso al credito (109esimo posto); proteggere i propri investimenti (52esima posizione); pagare le tasse, tenendo presenti pressione fiscale, numero di imposte, procedure e adempimenti, modalità di regolarizzazione (138esima posizione); gestire relazioni commerciali con l’estero (56esimo posto); far rispettare i contratti e risolvere i contenziosi commerciali (103esima posizione); risolvere gli insoluti (33esima posizione).
L’Italia dunque rimane un Paese in cui è difficile fare impresa, dove oltre a una macchina burocratica elefantiaca e spesso inefficace, che contribuisce ad abbassare la posizione in classifica nei parametri sopra elencati, intervengono fattori sistemici come il pesante debito pubblico, le infiltrazioni criminali in molti comparti produttivi, l’economia in nero, gli investimenti esigui in ricerca e sviluppo, il ritardo persistente di molte aree del meridione, le disuguaglianze generalizzate nella distribuzione della ricchezza.
Di fronte a queste oggettive difficoltà l’Italia è però anche un Paese che riesce a esprimere quasi 1.000 prodotti (946 per l’esattezza) per i quali siamo ai primi tre posti nel mondo per saldo commerciale attivo, come emerge dall’Indice Fortis-Corradini. Come si spiega nel rapporto I.T.A.L.I.A, Geografie del nuovo made in Italy presentato nel luglio del 2013, “se pensiamo al mercato globale come a un’olimpiade e ai prodotti come discipline sportive in cui vince chi ha un export di gran lunga superiore all’import, l’Italia arriva a medaglia quasi mille volte. Meglio di noi solo Cina, Germania e Stati Uniti”. Inoltre, adottando come metro la bilancia commerciale dei prodotti, l’Italia risulta uno dei soli cinque Paesi del G-20 (con Cina, Germania, Giappone e Corea) ad avere un surplus strutturale con l’estero nei beni manifatturieri (non alimentari). In altre parole, i dati dell’Indice Fortis-Corradini interpretati nel rapporto I.T.A.L.I.A. ci dicono che, se escludiamo l’energia e le materie prime agricole e minerarie, l’Italia è uno dei Paesi più competitivi a livello mondiale. Si stenterebbe a crederlo se pensiamo solo a quanto scritto poche righe sopra, e si potrebbe persino essere scambiati per dei pazzi visionari se ci si limitasse a prestare esclusivamente ascolto alla vulgata dominante che dipinge l’Italia come un Paese senza futuro, un Paese che non è competitivo, che ha un sistema produttivo dalle limitate capacità innovative e tecnologiche, con una specializzazione errata. Un Paese destinato a un inarrestabile declino. Certo la tesi “declinista” è fortemente supportata dalle difficoltà di cui abbiamo parlato poco sopra, da un andamento pessimo del PIL nazionale, da un mercato interno letteralmente massacrato dalla crisi e dall’austerità che hanno annientato i consumi, portato molte aziende a ridimensionarsi o a chiudere, aumentando la disoccupazione, contraendo i redditi, limitando le scelte di acquisto di molte famiglie solo ai beni di prima necessità, innescando una spirale negativa nella quale è difficile vedere l’uscita. Guai a sottovalutare questi fattori che devono essere affrontati al più presto, mettendoli in cima alla lista dei problemi da risolvere nell’agenda di chi è responsabile della governance di questo Paese. Ma sarebbe comunque errato confondere tutto ciò con il posizionamento dell’Italia a livello internazionale, proprio alla luce dei dati citati, che fotografano il nostro Paese come uno dei più grandi esportatori al mondo, un mondo che ha continuato a essere attratto dai nostri prodotti, che ha continuato a richiederli e ad acquistarli.
Questo significa che nonostante le difficoltà strutturali enormi del nostro sistema-Paese, nonostante la pesante recessione, molte imprese italiane hanno saputo rispondere ai mutamenti, hanno fatto fronte alle difficoltà interne cercando nuovi mercati, con la forza della creatività, dell’innovazione, della ricerca costante della qualità. Imprese che sono state in grado di riallinearsi, con successo, alle nuove richieste del mercato globale senza finire vittime della globalizzazione, perché da un lato sono riuscite ad apportare valore aggiunto nei settori tradizionali del made in Italy (agroalimentare, moda, lusso, design, arredo, nautica) e dall’altro sono state capaci di creare nuove specializzazioni nella meccanica, nell’automazione, nella meccatronica aero-spaziale, nella chimica. Di questo, però, non si parla o si parla pochissimo, preferendo mantenere l’opinione pubblica “in un cronico stato di pessimismo e frustrazione” come si sostiene nel manifesto Oltre la Crisi2. L’Italia dunque deve cominciare a risolvere, tra gli altri, anche un problema d’immagine. Un’immagine debole tanto all’interno quanto all’esterno, nonostante l’estero continui comunque a premiarci acquistando i nostri prodotti. Ed è qui che, da pubblicitari, vorremmo dare il nostro piccolo contributo, noi che i problemi di immagine tentiamo di risolverli tutti i giorni facendo appello alle nostre idee e alla nostra creatività. Vorremmo farlo fornendo delle suggestioni per cominciare a restituire all’Italia un’immagine che in fin dei conti merita, e vorremmo riuscirci utilizzando la forza del racconto. Il racconto di questa Italia competitiva e di successo, dell’Italia delle mille eccellenze produttive che non è fatta solo di prodotti, ma anche di imprese, di persone, di storie, di culture, di territori dai quali i nostri mille prodotti leader prendono forma. Un sistema produttivo di eccellenza e di successo costituito “da molteplici realtà produttive profondamente diverse tra loro che, grazie alla trasmissione di saperi e mestieri tra generazioni hanno, nel tempo, prodotto una ricchezza non imitabile altrove. Si tratta di imprese, spesso a conduzione familiare, che in virtù delle loro forme organizzative, flessibili e caratterizzate da apprendimento esplorativo, hanno fondato la propria capacità competitiva sull’interazione con i territori di riferimento, concependoli sapientemente come luoghi dove società, economia e cultura si fondano in unico prezioso elemento”3. Un prezioso elemento che possiamo identificare come la reale forza del made in Italy, che poggia su un equilibrio delicato tra fattori di ordine tecnico-economico e fattori di natura territoriale e culturale. Ciascuno dei nostri prodotti leader scaturisce da una stretta relazione, da un connubio inscindibile tra elementi tangibili (materiali, prassi produttive) e intangibili (sapere, conoscenza, tradizioni, creatività, metodi di lavorazione). Questo stretto legame relazionale tra ingegno, capacità produttive e culture territoriali, unito alle dimensioni delle realtà imprenditoriali che da sempre lo esprimono, ha fatto sì che il complesso sistema produttivo italiano si sia da tempo strutturato in distretti industriali fondati sulla ricerca e il mantenimento di un giusto equilibrio tra competizione e cooperazione.
Parlavamo dunque della nostra intenzione di valorizzare l’unicità di questa Italia produttiva di successo attraverso la forza del racconto, per guardare il nostro Paese con occhi diversi, restituendogli un’immagine che merita. Ma come? Come rendere conto di questa complessità e di questa molteplicità produttiva? Abbiamo pensato di farlo attraverso l’impiego di una metafora. Abbiamo detto che l’Italia delle mille eccellenze produttive è composta da tante differenti realtà, si basa su equilibri, relazioni, azioni, idee, pensieri, storie, mutamenti, adattamenti. L’Italia dei mille prodotti leader è un vero e proprio corpo produttivo, un corpo del tutto simile a quello umano, dove tutto è correlato, dove le diverse parti compiono diverse azioni e funzioni orientate tutte verso un unico obiettivo: la sopravvivenza dell’essere umano e la sua relazione con il mondo. Ecco la nostra metafora! Una metafora che non si limita a uno sguardo di insieme, ma che diventa una lente attraverso la quale vogliamo raccontare alcuni tra quei mille prodotti che abbiamo ritenuto più rappresentativi. Per spiegarvi come, vi proponiamo un gioco. Proviamo a fare una rapida ricognizione a campione dei principali prodotti che rappresentano le mille eccellenze del made in Italy e che sono convenzionalmente raggruppati nei cosiddetti macrosettori delle “4A” (Agroalimentare-vini, Abbigliamento-moda, Arredo-casa, Automazione-meccanica-gomma-plastica). Tra loro troviamo le calzature, le macchine per imballaggio, le piastrelle, gli occhiali, le borse, la pasta, le barche, i rubinetti, il caffè torrefatto, l’oro e i gioielli, il vetro artistico di Murano, le stoffe e i tessuti, le giostre, le mele, i pomodori, gli strumenti musicali, i mobili, i tappi a corona, i capi di abbigliamento, le macchine per l’industria, le turbine a gas, i manufatti in ferro e acciaio, i trattori, le navi da crociera, i conduttori elettrici, gli aerei e gli elicotteri, gli orologi, i divani e potremmo andare avanti così fino ad arrivare a mille. Provate adesso voi a fare un gioco di associazione. Provate ad accostare ciascuno di questi prodotti appena elencati a una parte del corpo umano. Troverete molte contiguità, molti punti di contatto simbolici o reali che siano. Noi questo gioco l’abbiamo fatto ed è quello che ci ha portato all’ideazione della forma di racconto in questo libro. I nostri accostamenti li scoprirete leggendo. Ma perché proprio l’associazione con il corpo? Per un puro gioco di accostamento? Per trovare un artificio narrativo che renda più immediato, semplice, accattivante e “storytelling oriented” il racconto delle produzioni leader? Certo! Siamo pubblicitari, non dimenticatelo. Ma c’è anche una ragione in più. Una ragione se vogliamo più profonda e più complessa che trova il suo fondamento nel fatto che il corpo, in quanto entità rappresentativa dell’essere incarnato, si trova spesso al centro delle metodologie attraverso le quali le principali scienze umane leggono e interpretano la realtà. L’antropologia, ad esempio, è da tempo consapevole di come il corpo sia uno dei principali vettori della socialità e della relazione con l’altro, di come esso sia oggetto e supporto delle pratiche terapeutiche, rituali e simboliche, e di come costituisca l’ancoraggio principale dell’esperienza sensibile e delle forme di relazione con il mondo che caratterizzano ogni singola cultura. La semiotica, più recentemente, ha iniziato a considerare il corpo come quel dominio sensoriale e motorio che, nel costante impegno dell’essere umano a dare un senso a ciò che lo circonda, svolge una fondamentale mediazione tra il mondo sensibile e la significazione4. In altre parole è il corpo che, attraverso la sua mediazione, diventa l’operatore della relazione tra i significanti che ci circondano e i significati che vi attribuiamo. Ed è proprio questo suo ruolo di mediazione a costituire per noi il fondamento teorico che motiva l’impiego della nostra metafora. Ma non solo. La nostra scelta di parlare delle eccellenze italiane attraverso la metafora del corpo umano, risiede anche nel volersi collocare in una prospettiva terza rispetto alle principali modalità di considerare il corpo e di rapportarsi ad esso. Come fa notare Gianfranco Marrone il corpo è “al tempo stesso soggettivo e oggettivo, intimo ed estraneo, naturale e sociale, funzionale-organico e sensoriale-sentimentale”5. Il corpo, dunque, non è soltanto quell’entità vissuta intimamente da ciascuno di noi, ma è anche un qualcosa di esterno ed esteriore su cui si esprimono giudizi, riflessioni, analisi. Due aspetti apparentemente inconciliabili. Cosa lega ad esempio il corpo anatomico preso in considerazione dalla medicina che ne individua le parti, gli organi, spiegandone funzioni e disfunzioni, con il corpo-proprio della persona, un flusso continuo di sensazioni, sentimenti, esigenze, esperienze? Sempre Marrone osserva che “nel primo caso c’è qualcuno che ha un corpo su cui qualcun altro sta lavorando dall’esterno oggettivandolo; nel secondo c’è un soggetto che è un corpo, la cui esperienza è circoscritta soltanto in lui”6. Con la nostra metafora del corpo impiegata per raccontare l’Italia delle produzioni e dei produttori eccellenti, vogliamo collocarci a metà tra questi due punti di vista nel considerare il corpo (quello dello scienziato che lo analizza e quello del soggetto che lo vive) che sembrano non essere complementari e non coincidere affatto. Nel nostro racconto osserviamo il corpo produttivo dell’Italia delle mille eccellenze suddividendolo nelle sue parti e nelle sue funzioni, ma al contempo non possiamo prescindere dall’essere italiani e quindi dal vivere ed esperire costantemente questo corpo. Questo ci fornisce una duplice consapevolezza che ci auguriamo possa contagiare il nostro lettore nel corso del racconto che si dispiegherà nelle prossime pagine. Da un lato la consapevolezza che gli organi hanno tutti funzioni fondamentali che sono più o meno necessarie alla sopravvivenza. Dall’altro la consapevolezza che il corpo non è riducibile a un insieme di organi che svolgono funzioni per produrre significati. I significati non vengono prodotti da nessun organo in particolare, ma dalla realtà corporea nella sua totalità che viene vissuta dal soggetto come base per la costruzione della propria identità personale.
L’Italia ha un corpo bellissimo. È innegabile. Lo sappiamo noi italiani che lo abbiamo costantemente davanti agli occhi, ma lo sanno anche in tutto il mondo. Un mondo che ci ammira e che desidera venirlo a guardare da vicino. Un corpo fatto di meraviglie paesaggistiche, di città incantevoli, di patrimoni artistici, di ricchezze agroalimentari ed enogastronomiche, di unicità di stile, qualità e innovazione che si esprimono nel design, nella moda, nella meccanica e in tutti i manufatti e i prodotti del made in Italy. Un corpo bello che però, come ogni corpo, deve essere messo nelle condizioni di sopravvivere, di essere sano, di funzionare bene, di essere accudito e mantenuto, di essere in grado di produrre significati e valori e di costruire e affermare all’esterno la propria identità. Tutto questo serve a far sì che un corpo esista, che comprenda il mondo circostante e vi si adatti, che si relazioni agli altri corpi, che si muova, che compia azioni, che si rinnovi, che cresca. Per tutto ciò è necessaria una cosa che è parte del corpo e che lo governa: la testa. Ma di questo parleremo tra poco.
Parte prima
La testa
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LA TESTA
Quella che ci vuole per fare
Per raccontare alcuni dei comparti fondamentali del sistema produttivo italiano di eccellenza, abbiamo scelto la metafora del corpo umano. E più avanti parleremo di mani, di dita, di piedi, di muscoli, di ossa, di pelle, di sedere, di cuore. Di corpo inteso non solo come entità totale che costituisce l’essere umano, ma anche come porzione che comunemente viene identificata con tutto ciò che trova posto dal collo in giù. Ma cosa è un corpo senza testa? Nient’altro che un involucro di carne inanimata a cui risulta persino difficile, se non impossibile, attribuire un’identità. La funzione della testa, come si sa, non è solamente vitale, morfologica, strutturale. La testa è la cabina di regia di tutto. È ciò che governa e fa funzionare un corpo. Ma non è detto che riesca a mettere un corpo nelle condizioni di operare al meglio, anche quando è ben attaccata sulle spalle. Ciò non accade soltanto per patologie o limitazioni di varia natura, ma anche e soprattutto per ragioni di attitudine, di volontà, di cultura. È quest’ultimo aspetto che a noi preme maggiormente indagare in questa prima parte del libro, dove assoceremo il racconto di prodotti e produzioni leader a ciò che trova posto nella testa (occhi, bocca, naso, orecchie, lingua, cranio, cervello). Porremo l’accento sull’importanza della testa (nella sua accezione più ampia e metaforica) per il corpo produttivo italiano, in questo particolare passaggio che il nostro Paese sta attraversando, svelando il senso del titolo che abbiamo dato a questo libro.
Partiamo con la nostra metafora. Allontaniamoci per un attimo dalle funzioni anatomiche e fisiologiche della testa per il corpo umano e soffermiamoci sugli aspetti antropologici e semiotici che ci consentono di comprendere meglio il ruolo simbolico e semantico che la testa è venuta ad assumere per l’essere umano. L’etnologo e antropologo francese André Leroi-Gourhan nel suo studio del 1964 Il ges...