La cugina Betta
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La cugina Betta

  1. 560 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Informazioni su questo libro

Nella Parigi dorata e tutta vizi di metà Ottocento, Lisabetta Fischer non ha né fortuna né bellezza. Fin dall'infanzia nutre un'invidia profonda e distruttiva per l'affascinante e ricca cugina Adelina che pure la tratta come una sorella. Convinta di poter essere felice solo nell'infelicità altrui, Betta intesse perfide strategie per portare alla rovina i suoi parenti e saziare il suo antico risentimento. Racconto drammatico e travolgente, compiuta tessera nel mosaico della Comédie humaine, La cugina Betta è la storia di una donna irriducibilmente vinta dai sentimenti negativi, un lucido e disincantato viaggio negli abissi della psicologia umana.

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Informazioni

Editore
BUR
Anno
2014
Print ISBN
9788817122016
eBook ISBN
9788858666609

LA CUGINA BETTA

A DON MICHELE ANGELO CAJETANI
PRINCIPE DI TEANO1




NON AL PRINCIPE ROMANO né all’erede dell’illustre casa Cajetani che ha dato papi alla cristianità, ma al dotto commentatore di Dante, dedico questo piccolo frammento di una lunga storia.
Voi mi avete fatto scorgere la meravigliosa trama di idee sulla quale il più grande poeta italiano ha costruito il suo poema, il solo che i moderni possono opporre al poema di Omero. Fino al giorno in cui potei ascoltarvi la Divina commedia mi appariva come un immenso enigma di cui nessuno aveva trovato la soluzione, e i commentatori meno di ogni altro. Capire Dante come lo capite voi significa essere grandi al pari di lui; ma tutte le grandezze vi sono familiari.
Un dotto francese si farebbe una reputazione, si assicurerebbe una cattedra e parecchie onorificenze pubblicando, in un volume dogmatico, l’improvvisazione con cui voi avete allietato una di quelle sere in cui ci si riposa dall’aver visto Roma. Forse non sapete che la maggior parte dei nostri professori vivono sulla Germania, sull’Inghilterra, sull’Oriente o sul Settentrione come insetti su di un albero; e che, come insetto, ne diventano parte integrante, prendendo in prestito il loro valore da quello del soggetto che studiano. Non si terrà mai conto della mia discrezione letteraria. Avrei potuto, saccheggiandovi, divenire un dotto della forza di tre Schlegel;2 resterò Invece un semplice dottore in medicina sociale, il veterinario dei mali incurabili, se non altro per offrire una testimonianza di riconoscenza al mio cicerone, e unire il vostro illustre nome a quello dei Porcia,3 dei San Severino,4 dei Pareto,5 dei di Negro,6 dei Belgioioso,7 che rappresentano nella Commedia umana quell’alleanza intima e continua dell’Italia e della Francia che già il Bandello8 questo vescovo autore di racconti quanto mai spassosi, consacrava in ugual modo, nel sedicesimo secolo, In quella magnifica raccolta di novelle, da cui sono uscite parecchie opere di Shakespeare, e qualche volta delle intere parti, e testualmente.
I due abbozzi che vi dedico, costituiscono i due eterni volti di uno stesso fatto. «Homo duplex», ha detto il nostro grande Buffon; perché non aggiungere: Res duplex? Tutto è duplice, perfino la virtù. Molière, Infatti, presenta sempre i due lati di ogni problema umano; e a sua imitazione Diderot scriveva un giorno: «Questo non è un racconto», forse il capolavoro di Diderot, in cui presenta la sublime figura della signorina de Lachaux,9 immolata da Gardanne, di fronte a quella di un perfetto amatore ucciso dalla sua amante. I miei due racconti sono dunque messi l’uno di fronte all’altro come due gemelli di sesso diverso. È una fantasia letteraria a cui si può indulgere una volta tanto, soprattutto in un’opera in cui si cerca di rappresentare tutte le forme che servono di abito al pensiero. La maggior parte delle dispute umane provengono dal fatto che l’umanità è costituita di dotti e di ignoranti, messi in modo da non veder mai che un solo lato del fatti e delle idee; e ognuno di loro pretende che il lato da lui visto sia il solo vero e il solo giusto. Per questo la sacra Scrittura ha affermato profeticamente: «Dio abbandonò il mondo alle discussioni 10». Confesso che questo solo passo della Scrittura dovrebbe spingere la santa Sede a darvi il governo delle due camere per obbedire a questa sentenza commentata, nel 1814, dal decreto di Luigi XVIII.
Possano il vostro spirito, e la poesia che è in voi, proteggere i due episodii del Parenti poveri. del vostro affezionato servitore
DE BALZAC
Parigi, agosto-settembre 1846.

VERSO LA METÀ del luglio del 1838, una di quelle vetture, da poco messe in circolazione sulle piazze di Parigi e chiamate milord,11 passava per via dell’Università, portando un uomo corpulento di media statura, in uniforme di capitano della Guardia nazionale.
Tra i parigini, accusati di essere tanto dotati di spirito, ve ne sono alcuni i quali credono di far molto miglior figura in uniforme che non negli abiti consueti, e che attribuiscono alle donne gusti piuttosto depravati immaginandosi che siano favorevolmente impressionate dalla vista di un berretto di pelo e di una bardatura militare.
La fisionomia di quel capitano, che apparteneva alla seconda legione, spirava un’intima soddisfazione che faceva risplendere il suo colorito rossiccio e il suo volto paffuto. E da quell’aureola che la ricchezza acquistata nel commercio mette sulla fronte dei negozianti a riposo, si poteva riconoscere uno degli eletti di Parigi, perlomeno un ex assessore del suo quartiere. Siate dunque sicuri che il nastrino della Legion d’onore non mancava sul suo petto baldamente proteso alla prussiana. Fieramente piantato in un angolo del milord, quel decorato signore lasciava errare lo sguardo sui passanti che spesso, a Parigi, ricevono così affabili sorrisi, diretti tuttavia a begli occhi assenti.
Il milord si fermò in quel tratto di strada compreso tra via Bellechasse e via Borgogna, davanti alla porta di un grande edificio costruito da poco su una parte del cortile di un antico palazzo. Quest’ultimo era stato rispettato e sorgeva nella sua forma primitiva in fondo al cortile diminuito della metà.
Solo dal modo con cui il capitano accettò l’aiuto del cocchiere per scendere dal milord si sarebbe riconosciuto in lui l’uomo sulla cinquantina. Vi sono gesti la cui disinvolta pesantezza ha tutta l’indiscrezione di un atto di nascita. Il capitano si infilò ancora il guanto giallo sulla destra, e, senza domandar nulla al portiere, si diresse verso il pianerottolo del pianterreno del vecchio edificio, con un’aria che diceva: «È mia!». I portieri di Parigi hanno il colpo d’occhio sicuro, non fermano mai le persone decorate, vestite di blu e col passo pesante; insomma, sanno riconoscere i ricchi.
Quel pianterreno era occupato interamente dal barone Hulot d’Ervy, commissario d’intendenza sotto la repubblica , ex intendente generale d’armata, e allora, direttore di una delle più importanti amministrazioni del ministero della Guerra, consigliere di Stato, grande ufficiale della Legion d’onore, eccetera.12
Questo barone Hulot si era nominato da sé d’Ervy, dal luogo della sua nascita, per distinguersi da suo fratello, il celebre generale Hulot,13 colonnello dei granatieri della Guardia imperiale, creato dall’imperatore conte di Forzheim14 dopo la campagna del 1809. Il fratello maggiore, il conte, incaricato della tutela del fratello minore, con prudenza paterna lo aveva messo nell’amministrazione militare, dove, grazie ai loro duplici servigi, il barone ottenne e meritò il favore di Napoleone. Dal 1807 il barone Hulot era intendente generale delle armate di Spagna.
Dopo aver suonato, il capitano fece grandi sforzi per rimettersi a posto l’abito che si era rialzato davanti e di dietro sotto la pressione del grosso ventre fatto a pera. Il domestico in livrea appena lo vide lo fece entrare, e il capitano, pieno di importanza e di imponenza, segui il domestico che, aprendo la porta del salotto, annunciò:
– Il signor Crevel!15
Nell’udir questo nome, perfettamente adatto all’esplodente rotondità di colui che lo portava, una donna bionda, alta, molto ben conservata, si alzò come se avesse ricevuto una scossa elettrica.
– Ortensia, angelo mio, va in giardino con la cugina Betta, – disse vivamente a sua figlia 16 che ricamava a qualche passo da lei.
Dopo aver graziosamente salutato il capitano, la signorina Ortensia Hulot usci da una porta-finestra, conducendo con sé una zitella ossuta che sembrava più vecchia della baronessa sebbene avesse cinque anni di meno.
– Si tratta del tuo matrimonio, – disse la cugina Betta all’orecchio di Ortensia senza apparire offesa del modo con cui la baronessa la faceva uscire senza il minimo riguardo.
L’abbigliamento di codesta cugina avrebbe potuto spiegare, se fosse stato necessario, questa disinvoltura.
La zitella portava un abito di lana merinos color uva di Corinto, il cui taglio e le cui bordure eran dell’epoca della restaurazione, un colletto ricamato che poteva valer tre franchi, un cappello di paglia con nastri di seta azzurra orlati di paglia come quelli delle bottegaie del mercato. A guardare le sue scarpe di pelle di capra cucite da un ciabattino da strapazzo, chi non l’avesse conosciuta avrebbe esitato a salutare la cugina Betta come una parente della casa, perché assomigliava perfettamente a una sarta a giornata. Tuttavia la vecchia zitella non trascurò di rivolgere al signor Crevel un breve saluto affettuoso, al quale codesto personaggio rispose con un segno d’intesa.
– Verrete domani, non è vero, signorina Fischer? – disse.
– Ci sono invitati? – domandò la cugina Betta.
– I miei figli e voi, nessun altro.
– Bene, – rispose lei, – allora fate conto su di me.
– Signora, eccomi ai vostri ordini, – disse il capitano della milizia borghese, salutando nuovamente la baronessa Hulot.
E gettò su di lei uno sguardo come quello che Tartufo lancia a Elmira quando un attore di provincia, a Poitiers o a Coutances, crede necessario mettere in evidenza le intenzioni di questo personaggio.
– Se volete seguirmi da questa parte, signore, staremo molto più tranquilli che in questo salotto, per parlar d’affari, – disse la signora Hulot indicando una stanza vicina che, nella disposizione dell’appartamento, formava una sala da gioco.
Questa stanza era separata solo da un sottile divisorio dal salottino privato della baronessa, la cui finestra dava sul giardino, e la signora Hulot lasciò solo per un momento il signor Crevel, giudicando necessario chiudere la finestra e la porta del salottino affinché nessuno venisse ad ascoltarli. Ebbe anche la precauzione di chiudere la porta-finestra del salotto, sorridendo alla figlia e alla cugina che scorse sedute in un vecchio chiosco in fondo al giardino. Tornò lasciando aperta la porta della sala da gioco per poter sentire aprirsi quella del salotto se entrava qualcuno. Mentre così andava e veniva, la baronessa, non essendo osservata da alcuno, lasciava esprimere alla sua fisionomia tutto il suo pensiero; e chi l’avesse vista, si sarebbe quasi spaventato della sua agitazione. Ma, tornando dalla soglia del salotto alla sala da gioco, riassunse quella maschera di impenetrabile riserbo, che tutte le donne, anche le più sincere, sembrano avere a portata di mano.
Durante questi preparativi per lo meno singolari, la guardia nazionale esaminava l’arredamento della stanza in cui si trovava. E vedendo le tende di seta un tempo rosse e ora stinte in violetto dall’azione del sole e consunte sui bordi per il lungo uso, un tappeto dalle tinte sbiadite, mobili che avevano perso la doratura e la cui seta tutta marezzata di macchie era consumata a strie, lasciò che espressioni di disprezzo, di soddisfazione, e di speranza si succedessero ingenuamente sul suo volto inespressivo di commerciante arricchito. Si guardava nello specchio, sopra una vecchia pendola in stile impero, passandosi a sua volta in rivista, quando il fruscio della veste di seta, gli annunciò la baronessa. Subito si diede un contegno.
Dopo essersi lasciato cadere su un piccolo canapè che doveva essere stato molto bello verso il 1809, la baronessa indicò a Crevel una poltrona i cui braccioli terminavano in teste di sfingi, la cui bronzatura cadeva in scaglie lasciando vedere qua e là il legno, e lo invitò a sedersi.
– Queste precauzioni, signora, sarebbero,...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Introduzione
  4. Cronologia della vita e delle opere
  5. Bibliografia
  6. La cugina Betta
  7. Note