CAPITOLO UNO
Un brutto ritorno a casa
«E questa chi è?!»
«Amore… non è come pensi!»
«Sei a letto ‒ nel nostro letto, per la precisione ‒ con un’altra donna. Che cosa dovrei pensare?»
«Posso almeno spiegarti…»
«Non c’è niente da spiegare. Sparisci, anzi sparite dalla mia vista. Immediatamente!»
«Ma…»
«I-M-M-E-D-I-A-T-A-M-E-N-T-E.»
Flavia mi guarda atterrita, gli occhi color ghiaccio sbarrati. Assomiglia a una di quelle bambole retrò appoggiate sul letto della nonna. Sembra anche lei sul punto di esplodere di rabbia, ma si contiene.
Si tira indietro i capelli biondi con entrambe le mani, apre la bella bocca a forma di cuore, respira profondamente e sussurra a denti stretti: «Bastardo!».
Annuisco, non c’è altra parola per definire il mio compagno, ora ex, che ho colto in flagrante mentre mi tradiva.
Flavia, collega e soprattutto mia migliore amica, distoglie lo sguardo da me e, giocherellando con una penna sopra la scrivania, mi chiede di raccontarle ancora come è andata tutta la faccenda.
In effetti, a parte il momento clou, non sono stata molto chiara nel riportarle i fatti. Fatto sta che non ho trascorso un bel weekend, proprio per niente.
«Allora, venerdì sera, come sai, mi sarei dovuta fermare qui per una conference call con l’America alle diciannove. Non ne avevo nessuna voglia ma, come sai benissimo…» le rispiego.
«Il signor Nakamura ha insistito così gentilmente.»
«Esatto! E quindi, la mattina prima di uscire, ho avvisato Mauro che sarei rientrata solo in tarda serata, visto che so come vanno a finire i buoni propositi del capo. “Stia tranquilla, Miss Ferrari, non le ruberò più di un’ora in più del suo tempo libero!” dice, ma poi…»
Flavia scribacchia qualcosa sul suo notes e annuisce comprensiva.
Continuo.
«Incredibilmente, alle venti avevamo già concluso, e quindi ho pensato di non dire niente a Mauro e di fargli una bella sorpresa: sapevo che più o meno a quell’ora aveva appena terminato di dare lezioni private di nuoto a una cliente del centro sportivo. Volevo arrivare a casa il prima possibile e invitarlo fuori a cena, dato che da due o tre settimane non trovavamo il tempo nemmeno per una pizza insieme. Mi sono infilata in fretta in metropolitana, sono arrivata a casa e…»
Mi si forma un nodo in gola e faccio fatica a parlare. Non è facile rivivere quel momento. Deglutisco e trovo la forza.
«… ho aperto il portone. Come prima cosa ho sentito delle risatine. Ho immaginato che fosse il televisore acceso o qualche amico che era passato a trovarlo. Ho persino detto a voce alta: “Sono Bea, sono a casa” per non piombare come una maleducata in mezzo a una conversazione divertente. Ma dopo che ho parlato è calato il silenzio. Mi sono sentita addirittura in colpa. Ho appoggiato la borsetta all’ingresso e mi sono affacciata timidamente al salotto: nessuno. Allora ho proseguito fin davanti allo studio, al bagno e, infine, alla nostra camera da letto… E mi sono trovata davanti a un orrido quadro sull’apocalisse: quei due, Mauro e gentile signorina, nudi e agitati, si arrabattavano per tentare di mascherare l’evidenza.»
«Lei era giovane?» mi chiede Flavia a bruciapelo.
«Sicuramente più di me, ma non giovanissima.»
«Bella?»
«Molto, purtroppo.»
«I seni erano grandi? Sodi?»
Rimango per un attimo interdetta da questa domanda.
«Non lo so.»
«Era nuda, no? L’avrai vista bene!»
Non so cosa risponderle e sinceramente non ho nemmeno voglia di sforzarmi di ricordare i particolari di quella…
«Secondo te l’ha fatta godere?»
«Flavia… per favore!… Non lo so, non lo voglio sapere e non mi sembra il caso nemmeno di chiedermi queste cose, dato che ci sto male non poco. Ho trascorso due giorni a piangere, a soffrire, a ripensare…»
Flavia socchiude gli occhi, le tremano le mani, spacca la penna a metà ed esclama: «Gli uomini sono TUTTI dei gran bastardi!».
Mi sento sciogliere dentro per l’incredibile empatia che mi sta dimostrando la mia amica. Immagino che anche lei, anche se non me ne ha mai parlato, avrà dovuto sopportare un’umiliazione e un dolore simile. Mi viene voglia di abbracciarla, se non fosse che siamo al lavoro, sotto gli occhi dei colleghi che ci stanno osservando da un po’.
Rimango seduta alla scrivania e fisso il monitor del computer che non ho ancora acceso.
Tutte le mattine, appena arrivo, mi siedo al mio posto e scorro una rapida lista mentale per capire come organizzare la giornata lavorativa.
Oggi riesco solo a pensare a quanto è successo e a come avrei dovuto reagire io.
Manifestare tutto il mio disappunto e il mio disprezzo. Fatto.
Dirgli quanto mi ha fatto schifo. Fatto.
Buttarlo fuori di casa, visto che quella è casa mia e lui non ha mai pagato nemmeno una bolletta del gas. Fatto.
Prendere tutti i suoi regali e gettarli nella spazzatura. Fatto.
Strappare le sue foto. Fatto.
Non parlargli più nemmeno al telefono. Fatto a metà.
Dimenticarlo immediatamente. Impossibile da fare.
Mi ha tempestata di messaggi sul telefonino e su qualsiasi social network disponibile per tutti i due giorni consecutivi. Ha provato a chiamarmi cinquanta volte, finché ieri notte, alle due, esausta, gli ho risposto.
«Che cosa vuoi?»
«Parlarti, spiegarti.»
«…»
«Beatrice… Bea, tu lo sai che ti amo!»
«Sto per riattaccare.»
«No, aspetta. Io l’ho fatto per disperazione.»
«Cosa? Disperazione? Andare a letto con un’altra è disperazione?»
«Mi ci hai c...