
- 332 pagine
- Italian
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eBook - ePub
Quando eravamo in tre
Informazioni su questo libro
Piers ha diciassette anni ed è un ragazzo introverso. Lascia casa, scuola, amici per cercare di capire che cosa vuole fare di sé. Kate alla stessa età è quasi una donna: vivace, sicura, decisa. Adam, che compare nelle loro vite senza essere stato invitato, è misterioso, insolente, sventato, affascinante. Nel suo passato c'è un buco nero. A unirli è un ponte: quello concreto di cui Piers fa il sorvegliante, il luogo dei loro incontri. Ma anche il ponte di un legame complicato, che mescola e confonde amicizia, amore, complicità .
Domande frequenti
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Informazioni
Print ISBN
9788817077804eBook ISBN
9788858674864Il mattino dopo
1
Adam continuava a dormire profondamente. Ma non poteva restare lì ancora per molto. Aveva bisogno delle comodità della casa: acqua fresca, cibo, vestiti, calore. Come fare a portarlo fino a là ? A spalle? Troppo lontano. Con la barca? La corrente era contraria. Non restava altro che rimorchiarlo. Lui, la barca e tutto.
Rimorchiare da solo su per il fiume una barca come quella, un cabinato a quattro posti, già non è facile se ti senti in forma. E io mi sentivo tutto tranne che in forma. Farlo senza qualcuno al timone, poi, è un suicidio. La prua continuava a urtare contro la riva e a incastrarsi. Dopo un paio di maldestri tentativi che mi avvicinarono alla meta di dieci metri in altrettanti minuti, mi venne l’idea di bloccare il timone con la giusta angolazione, quella che bastava a tenere la barca scostata e a controbilanciare l’effetto della fune da rimorchio che la attirava verso la riva. Poi le cose andarono meglio, se si escludono alcuni ostacoli di minore entità , come il fatto di scivolare ogni quattro passi sul sentiero fangoso e di finire strattonato indietro due volte dalla forza della corrente quando la mia resistenza venne meno e dovetti fermarmi a riprendere fiato e dare tregua ai muscoli.
Quattrocento metri di dannato tiro alla fune, faticando come un mulo. Il mondo, una collisione di contrari: la barca che voleva allontanarsi dalla riva e seguire la corrente, io che la tiravo verso la riva, controcorrente. L’aria mattutina che pizzicava, ancora satura di gelo notturno, io che sudavo per la fatica ma mi sentivo gelare. L’alba di un nuovo giorno, io che non dormivo da quello vecchio, un profugo della notte. Adam disteso addormentato nella barca, inconsapevole di tutto, io che sbuffavo e ansimavo e faticavo, consapevole della tensione di ogni cellula del mio corpo e del mondo vibrante che mi circondava.
Ogni cosa contraria, originale, complementare, estranea;
tutto è mutevole, variegato (chissà come?)
rapido e lento; dolce e amaro; scintillante e opaco...
tutto è mutevole, variegato (chissà come?)
rapido e lento; dolce e amaro; scintillante e opaco...
Gerard Manley Hopkins contribuì a risollevarmi l’umore, aiutandomi a trovare nello sforzo del rimorchio, nella fatica delle gambe, nel dolore delle mani, nella mancanza di fiato, nella tensione dei muscoli, la Forza dell’afflato del bizzarro Dylan Thomas
Che nella verde miccia spinge il fiore
spinge la mia verde età ; che schianta le radici
degli alberi
è la mia distruttrice,
e io sono muto a dire alla rosa reclina
la mia giovinezza è piegata dalla stessa febbre
invernale.
spinge la mia verde età ; che schianta le radici
degli alberi
è la mia distruttrice,
e io sono muto a dire alla rosa reclina
la mia giovinezza è piegata dalla stessa febbre
invernale.
Aiutandomi a sapere di nuovo che
La forza che spinge l’acqua tra le rocce
Spinge il mio sangue; che prosciuga le correnti
alla foce
Trasforma le mie in cera.
Spinge il mio sangue; che prosciuga le correnti
alla foce
Trasforma le mie in cera.
La poesia è inutile, a che cosa serve? A rimorchiare una barca controcorrente, per quattrocento metri, metro dopo metro. A cambiare la vita. A cambiare me. È utile, avere qualcosa che ti consente di essere utile.
2
In casa regnava un caos ordinato. Il mio istinto mi suggerì: vattene adesso, non tornare più. La mia mente disse: c’è soltanto una cosa da fare, non arrenderti.
Dopo aver lasciato Adam nella barca, ormeggiata dove potevo tenerla d’occhio dalla finestra del soggiorno, mi misi al lavoro.
Per prima cosa, coperte e cuscini e un bicchiere d’acqua da portare in barca per Adam. Ancora fuori combattimento. Lo coprii per bene, lasciai il bicchiere d’acqua sul tavolo dove poteva vederlo se si fosse svegliato, e tornai in casa. Volevo che tutto fosse pronto prima di portarlo dentro.
Poi, resuscitare il fuoco.
E ancora, riempire qualche sacco d’immondizia con le spoglie della festa:
una schiera di bicchieri di plastica,
una coorte di bottiglie e lattine vuote,
una legione di avanzi di cibo sbriciolati,
schiacciati, calpestati e mangiucchiati,
un esercito di indumenti:
un maglione sporco di vomito,
un paio di calze da donna macchiate sull’inguine,
un sospensorio dall’odore acre,
una T-shirt ridotta a brandelli,
un paio di mutande di pizzo nuove
di zecca molto molto ridotte,
un reggiseno prima misura,
due preservativi usati,
una montagna di mozziconi di sigaretta
e di spinelli,
due bottiglie unte e vuote di olio di girasole,
svariati grumi di una materia viscida
e indefinibile incollati sui mobili,
sul pavimento, sulle pareti e sul soffitto,
un pettine nero a denti fitti pieno di capelli biondi,
una collana di perline di plastica viola,
una Reebok destra infangata,
un fazzoletto macchiato di sangue
con piccole calendule ricamate a mano lungo
i bordi ondulati,
un pacchetto sgualcito di gelatine secche
a forma di bambino,
un tubetto vuoto di KY,
il jolly di un mazzo di carte.
(Questo è quello che mi ricordo.)
una coorte di bottiglie e lattine vuote,
una legione di avanzi di cibo sbriciolati,
schiacciati, calpestati e mangiucchiati,
un esercito di indumenti:
un maglione sporco di vomito,
un paio di calze da donna macchiate sull’inguine,
un sospensorio dall’odore acre,
una T-shirt ridotta a brandelli,
un paio di mutande di pizzo nuove
di zecca molto molto ridotte,
un reggiseno prima misura,
due preservativi usati,
una montagna di mozziconi di sigaretta
e di spinelli,
due bottiglie unte e vuote di olio di girasole,
svariati grumi di una materia viscida
e indefinibile incollati sui mobili,
sul pavimento, sulle pareti e sul soffitto,
un pettine nero a denti fitti pieno di capelli biondi,
una collana di perline di plastica viola,
una Reebok destra infangata,
un fazzoletto macchiato di sangue
con piccole calendule ricamate a mano lungo
i bordi ondulati,
un pacchetto sgualcito di gelatine secche
a forma di bambino,
un tubetto vuoto di KY,
il jolly di un mazzo di carte.
(Questo è quello che mi ricordo.)
Da queste icone di una serata di baldoria recuperai i miei stivali, la radio, i vestiti (quei pochi rimasti che valeva la pena di recuperare), biancheria da letto, utensili da cucina e articoli da bagno, ecc. Infine spazzai, lavai, asciugai, spolverai, lucidai, riordinai. Cercai di restituire alla casa un minimo di dignità .
Feci lo stesso su di me. Mi lavai, mi feci la barba, mi cambiai, mi preparai la colazione.
Alle nove fui interrotto dai primi automobilisti che passavano il ponte per andare a fare lo shopping del sabato.
Ripetuti controlli su Adam ogni quindici minuti non fecero registrare alcun cambiamento. Sonno tranquillo e profondo.
In questo modo riuscii a mantenere la mente neutrale.
Alle nove e mezza, seduto al tavolo, a colazione appena finita, la tazza di caffè in mano mentre mi concedevo cinque minuti prima di compiere il tentativo di portare dentro Adam, arrivò Tess.
[«Raccontiamo il seguito insieme, così possiamo metterci tutto quello che sappiamo tutti e due.»
«È soltanto una scusa per non scrivere!»
«Touché! Hai indovinato! Ma sarebbe meglio così, ammettilo.»
«Non funzionerebbe.»
«Sì invece, è solo che non vuoi rinunciare a raccontare in prima persona. Sei un tale narcisista!»
«Balle.»
«Lo sei, eccome. Non sai fare altro che guardarti l’ombelico tutto il tempo. E sei possessivo.»
«Piantala di fare la prepotente. Solo perché sei tu, facciamo una prova.»
«Bene. Ma facciamola semplice, senza quelle tue manie perfezioniste di usare i titoli e i paragrafi numerati, e rompicapi letterari e citazioni da poeti che nessuno legge e roba del genere. Non stai scrivendo un romanzo, diamine. Dobbiamo arrivare dritti al punto, Ok?»
«Stai già ponendo delle condizioni! Semplifichiamo! Ok, allora ci saranno soltanto parole di una sillaba, d’ora in poi. Paura del dizionario, eh? Paura che incontriamo una parola che non conosciamo? Paura di dover pensare un po’?»
«Avanti!»]
Tess e Gill andarono al ponte insieme. Le ragazze si erano messe d’accordo prima su cosa fare. Mentre Gill aspettava fuori, Tess sarebbe entrata a vedere se c’erano Jan e Adam.
Quando Tess entrò nel soggiorno, si trovò di fronte Jan seduto al tavolo, con una tazza di caffè tra le mani. La solita immagine di tanti sabati mattina. Solo che stavolta Jan aveva l’aria distrutta.
Non appena vide Tess, la stanchezza e la rabbia che aveva provato per quello che lei aveva fatto negli ultimi tre giorni si dissolsero. La sola vista di lei lo fece sentire meglio.
Rimasta immobile alla vista di Jan, Tess si sentì improvvisamente confusa, esitante, sorpresa dalla potenza dei suoi sentimenti nel vederlo di nuovo, come se fossero rimasti lontani per anni.
Si guardarono per un lungo istante in silenzio, tutti e due consapevoli del senso del momento, e per la prima volta si resero conto senz’ombra di dubbio che ciascuno era insostituibile per l’altro, che ciascuno appagava i bisogni essenziali dell’altro, e quindi ciascuno non poteva far altro che pagare l’eterno pedaggio dell’amicizia: perdonare i difetti dell’altro. Fu un momento dolcissimo, che entrambi avrebbero voluto durasse per sempre, un momento sublime di intima conoscenza, un nuovo, strano tipo di piacere.
Ma l’incantesimo si ruppe quando un’auto si avvicinò al ponte.
«Vado io» disse Tess, e uscì.
Al ritorno, trovò una tazza di caffè ad aspettarla. Tess si sedette ed evitò gli occhi di Jan guardandosi in giro.
«Che ripulita.»
«Ci voleva.» Malgrado l’intenzione di suonare cordiale, a Jan parve un tono accusatorio. Era la stanchezza a parlare per lui. Si schiarì la gola e si drizzò sulla sedia. «Ritorno alla normalità .»
Tess sorrise debolmente. «La tua normalità .»
Jan ricambiò il sorriso. «La mia normalità .»
Erano entrambi confusi. Dopo averci pensato tutta la notte – come sarebbe stato, che cosa avrebbero detto – l’incontro non fu affatto come lo avevano immaginato. Per giunta, tutti e due si sentivano incalzati da una presenza invadente, per Jan quella di Adam, per Tess quella di Gill. Ma quel momento struggente di reciproco riconoscimento si era frapposto tra ciò che era stato e ciò che era, cambiando tutto, lasciando in entrambi un vuoto di parole, la lingua legata, in attesa che l’altro colmasse la distanza.
Jan parlò per primo.
«Ho bisogno d’aiuto.»
«È che... puoi aspettare un minuto?»
«Per cosa?»
«Gill. È di fuori.»
«Gill! È ancora qui? Che cosa vuole?»
«Parlare con te, ovviamente.»
«Non ora. Ho bisogno d’aiuto per Adam.»
«Adam!»
«È in barca, è una lunga storia, ti spiegherò dopo, ha avuto una specie di incidente, si è ferito alla testa, stava sanguinando, era in stato di incoscienza ma adesso dorme. Non so che cosa fare, sembra che stia bene, ma non verresti a dargli un’occhiata per vedere se è il caso di chiamare un dottore?»
«Cristo!»
«Ho bisogno d’aiuto anche per portarlo in casa, fuori fa freddo e non c’è niente nella barca: niente riscaldamento né acqua, niente.»
«Dio! E Gill?»
«Non può aspettare?»
«Non capisci. Ieri sera è stata aggredita, durante il party, sotto il ponte. Potrebbe essere stato Adam.»
dp n="247" folio="247" ? «Adam! È sicura? Voglio dire, nemmeno lo conosce.»
«È stato lui a dire come si chiamava.»
«Gesù!»
«Non proprio!»
«Ma non può essere! Cos’ha fatto? Le ha fatto male?»
«Non fisicamente. Lei non sa che intenzioni avesse. Non ne è sicura. È confusa. Era buio ed era già abbastanza sconvolta.»
Si scambiarono uno sguardo inorridito.
«E adesso?» disse Jan.
«Sarà meglio far entrare Gill. Non possiamo lasciarla là fuori. E comunque è coinvolta. Ha il diritto di sapere che cosa è successo.»
Mentre Tess andava a chiamare Gill, Jan tornò da Adam, che dormiva ancora e nelle ultime due ore non si era nemmeno mosso.
Jan rientrò in soggiorno dalla porta sul retro nello stesso momento in cui Tess e Gill entravano da quella principale. Ci fu un terribile momento di silenzio quando Jan e Gill si fronteggiarono dai lati opposti della stanza.
«Ciao» dissero, in un inevitabile, comico unisono.
«Le ho spiegato» si affrettò a dire Tess.
«Sta ancora dormendo» disse Jan.
«Vado a dargli un’occhiata» disse Tess, e uscì subito, felice di togliersi di torno.
Jan e Gill rimasero in silenzio a guardarsi, statiche figure di una natura morta domestica.
dp n="248" folio="248" ? Quando il silenzio diventò insopportabile, Gill disse: «Dovremmo parlare.»
«Tess tornerà presto.»
«Ma dobbiamo.»
«Caffè? Qualcos’altro?»
«No! Grazie.»
Incapace di trattenersi, Gill chiuse la porta del soggiorno. Le sue lettere erano scomparse. Si lasciò sfuggire un’esclamazione.
Jan non disse niente, ma si avvicinò al fuoco per ravvivarlo e aggiungere altra legna.
Gill vagò per la stanza, ispezionandola con aria distratta. Prima dava sempre un’occhiata alle cose nella stanza di Jan e a lui non aveva mai dato fastidio, anzi, gli piaceva, come gli era piaciuto che lei lo accarezzasse mentre erano seduti insieme a parlare: giocava con i suoi capelli, gli accarezzava i lobi delle orecchie, le g...
Indice dei contenuti
- Copertina
- Frontespizio
- PER ADAM
- Déjà vu
- Lettere
- Una iarda di birra
- Lettere
- Trallallero, trallallÃ
- Lettere
- Il talismano
- Storie di ponti
- Lettere
- Festa a sorpresa
- Il ritorno
- Il mattino dopo