Il mio Albero di Natale
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Il mio Albero di Natale

Storia e schemi dell'allenatore più vincente d'Europa

  1. 288 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Il mio Albero di Natale

Storia e schemi dell'allenatore più vincente d'Europa

Informazioni su questo libro

Tre successi in Champions da allenatore, e due da centrocampista del Milan: dopo aver conquistato "la Decima" con il Real Madrid nel 2014, Carlo Ancelotti è entrato nella storia. La sua è una carriera fatta di lealtà sportiva, carisma, competenza e umanità, che ha toccato squadre come il Milan, il Chelsea, il Paris Saint- Germain. In questo libro Ancelotti apre il suo taccuino per svelarci i segreti dei suoi metodi di allenamento, della gestione dei calciatori, delle soluzioni tattiche, a partire dal 4-3-2-1, quel modulo di gioco ad albero di Natale che è diventato il suo marchio di fabbrica. E rivede con noi le dieci partite che hanno segnato una carriera esemplare: il derby con l'Inter in semifinale di Champions, la finale di Manchester, la rivincita di Atene contro il Liverpool ma anche la débâcle di Istanbul e lo scudetto juventino annegato nel diluvio di Perugia. Queste sono le memorie di un grande allenatore di calciatori, ma soprattutto di uomini, che riesce a raccontarci finalmente il lato esemplare del gioco più bello del mondo. CON UN CAPITOLO AGGIUNTIVO SULL'ULTIMA GRANDE VITTORIA IN CHAMPIONS

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Informazioni

Editore
BUR
Anno
2014
Print ISBN
9788817076777
eBook ISBN
9788858675953

Capitolo 1

Da calciatore ad allenatore






1.1 La scelta

Un detto recita: «Fai sì che non siano gli altri a dirti di smettere, ma decidi tu con la tua testa».
Nel 1992 mi sono trovato a prendere esattamente questo tipo di decisione. Ero arrivato, come capita alla maggior parte dei calciatori, in quella fase della vita in cui i pensieri rimbalzano tra il desiderio di continuare a giocare e la progressiva consapevolezza che qualche cosa sta cambiando, dentro e fuori. È stato in quel momento che ho preso la decisione di appendere le scarpe al chiodo.
Non è stata una scelta facile – anzi, il fatto di aver realizzato la prima e unica doppietta della mia carriera proprio in quell’ultima partita a San Siro, contro il Verona del mio vecchio maestro Liedholm, mi aveva fatto nascere nuovi dubbi… – ma sono giunto a questa conclusione per due ragioni.
La prima è stata la possibilità di rimanere all’interno del mondo che amavo assumendo un nuovo ruolo, quello di assistente di Arrigo Sacchi, che l’anno prima aveva lasciato il Milan per diventare Commissario Tecnico della Nazionale. Una delle difficoltà che reputo abbastanza frequenti per un calciatore è quella di riuscire a comprendere con sufficiente sicurezza cosa fare da grande, cioè quando sta per essere proiettato nel mondo reale. In quei momenti non capita spesso di avere in mano un’opportunità importante ancora prima di interrompere la carriera da giocatore. Per questo motivo, quella che Sacchi mi offriva era un’occasione che non potevo lasciarmi sfuggire.
La seconda ragione è stata la difficoltà che avevo in quel momento a giocare con una certa continuità. Avevo trentatré anni e i problemi fisici iniziavano a farsi sentire. In cinque stagioni al Milan avevo vinto praticamente tutto e nel club, con l’addio di Sacchi e l’avvento di Capello, era in atto un profondo cambiamento dei meccanismi consolidati. Io volevo appunto terminare la carriera prima che qualcuno mi facesse capire che avevo di fatto smesso ancora prima di decidere.
L’impatto con la realtà della Nazionale è stato molto positivo e fin da subito mi sono inserito senza difficoltà nel nuovo ruolo. Per questo devo sicuramente dire grazie per il loro aiuto alle persone che nutrivano grande fiducia in me. Ora, ripensando a quei momenti, se dovessi suggerire a un aspirante allenatore quale atteggiamento avere in una simile occasione, gli direi di porsi di fronte al nuovo cammino con grande curiosità e apertura. È la curiosità di conoscere che ti aiuta a essere motivato, a ricercare e a proporre qualcosa di nuovo.
Spesso il pensiero generale è quello che, dopo tanti anni di professionismo come calciatore, si possano avere le competenze per allenare a qualsiasi livello. Sbagliato: l’esperienza di giocatore può aiutare nella gestione della relazione interpersonale con i calciatori, ma niente più.
Ecco perché per me è stato importante poter iniziare al fianco di uno dei più grandi allenatori al mondo. Da Sacchi ho imparato molto. Chiedeva tantissimo a se stesso ma anche a chi stava al suo fianco, il modo migliore per imparare. Mi ha aiutato a capire come riuscire a motivare una squadra o un singolo nel breve e lungo periodo. Mi ha insegnato ad avere una metodologia di lavoro e a saperla comunicare in modo efficace. Ritengo la metodologia, ne parleremo nei prossimi capitoli, un aspetto molto importante nel lavoro di un allenatore. La definirei la carta d’identità, lo stile con cui ti proponi; il frutto, il riordino delle tue esperienze e conoscenze. Quando muovi i primi passi da allenatore, come dicevo, fai naturalmente ricorso all’esperienza fatta da calciatore. Quella è la tua base d’appoggio, lì sono racchiusi i metodi di lavoro degli allenatori che hanno accompagnato la tua carriera che però, per quanto importante sia stata, non è sufficiente per svolgere al meglio la nuova professione. Allenare significa svolgere funzioni che prevedono competenze tecniche, psicologiche, organizzative, e presuppone inoltre un grande equilibrio emozionale.
Occorre essere in grado di tradurre l’esperienza da calciatore nel nuovo ruolo e per farlo bisogna unire lo studio, la ricerca, il confronto con gli altri allenatori, oltre a tutte le conoscenze che si acquisiscono ai corsi della Scuola Allenatori.
Quale leader del suo team, l’allenatore diviene il centro di unità e coesione per il gruppo, assumendo il carico delle responsabilità. L’allenatore pensa sempre “Noi”, il calciatore pensa quasi sempre “Io”.

Capitolo 2

Da allenatore a coach






2.1 Metodologia e relazione nel calcio attuale

Quello dell’allenatore è un mondo in continua evoluzione. Un cammino in cui il modo di giocare, le metodologie e le persone si modificano costantemente e arricchiscono il bagaglio di conoscenze già acquisite.
Per esempio: a metà degli anni Novanta, quando ho cominciato la mia carriera come primo allenatore alla Reggiana e poi al Parma, il lavoro si svolgeva quasi esclusivamente sul campo. La maggior parte del tempo era dedicata alla programmazione degli allenamenti, al miglioramento tecnico e tattico individuale e collettivo, alla crescita del gruppo e dei giocatori a disposizione. Lo spazio riservato ad alcuni aspetti come il potenziamento muscolare o gli esercizi per la prevenzione degli infortuni, che oggi è dato per acquisito, non era previsto nella metodologia di allora o lo era solo in parte, mentre si prestava la massima attenzione al lavoro sulla resistenza. Inoltre, quella che oggi è l’organizzazione collegiale della seduta di allenamento, con momenti di analisi e confronti approfonditi tra i membri di tutto lo staff, era molto generica anche perché non esistevano efficaci metodi e tecnologie che permettessero di quantificare con certezza il lavoro collettivo e individuale. La valutazione del carico di lavoro era affidata quasi esclusivamente a parametri spesso approssimativi e di certo non sufficienti. Ci si basava molto sull’esperienza e sulla competenza personale dell’allenatore e del preparatore atletico. Io stesso, agli inizi, non avevo un buon rapporto con il computer, lo ritenevo pressoché inutile e prendevo in giro il mio assistente che mi proponeva di utilizzarlo. Ma col tempo le cose sono molto cambiate e oggi la tecnologia è diventata una compagna indispensabile nel lavoro.
Un cambiamento rilevante avvenne al mio secondo anno al Milan, quando mi fu data la possibilità di avere a disposizione l’ormai celebre Milan Lab, una struttura in grado di monitorare, durante l’allenamento, anche il carico fisico delle esercitazioni di carattere tecnico-tattico.
Da quel momento mutò il mio modo di gestire il lavoro. Naturalmente anche alla Reggiana e nelle realtà successive avevo un mio staff con cui la collaborazione e la condivisione erano totali, ma il metodo era differente e il numero dei membri del gruppo di lavoro numericamente inferiore rispetto all’esperienza iniziata al Milan. Fino ad allora ero stato abbastanza “accentratore”, ora non potevo più permettermelo: nacque la necessità di avvalersi di nuove figure e di creare una sintonia di lavoro tra competenze diverse, in altre parole di avere uno staff allargato dove ai tradizionali allenatore in seconda, allenatore dei portieri e preparatore fisico si affiancarono nuovi professionisti.
Se prima all’allenatore spettavano tutte le decisioni su ogni ambito della programmazione, da quel momento divenne necessario delegarne alcune per rendere possibile la costruzione di un team, cioè di un gruppo di lavoro affiatato in grado di svolgere un’azione integrata.
Questo cambiamento in continua evoluzione ha reso l’immagine dell’allenatore più identificabile in quella di coach, ovvero una figura che esercita prevalentemente un ruolo di controllo, di supervisione su quanto viene svolto da altre presenze professionali. L’apporto di più competenze che formano uno staff di fiducia, serio e preparato, consente un servizio migliore per la crescita dell’atleta, e per questo il tecnico deve ampliare le sue conoscenze se vuole coordinarle al meglio.
Di conseguenza, il mio impiego diretto sul campo negli anni si è ridotto, mentre è divenuto totale il coinvolgimento su molte altre situazioni e conoscenze che vedremo in dettaglio.
Possiamo quindi dire che il ruolo del coach, rispetto al passato, si modifica nelle funzioni, perché sono differenti le richieste sotto l’aspetto del gioco, sotto l’aspetto tecnico e fisico dell’atleta. Se solamente pensiamo a com’è cambiata la velocità del gioco rispetto ai tempi in cui andavo in campo io, ci rendiamo conto di come sia necessariamente cambiata anche la metodologia per allenare un calciatore moderno. Allora, dopo aver ricevuto la palla, potevi controllarla, pensare a dove passarla e poi eseguire il gesto tecnico. Ora bisogna abituare il calciatore ad avere la soluzione prima ancora di avere il controllo della palla.
Certamente sto scrivendo di un aspetto conosciuto da tutti i colleghi, ma è opportuno rimarcare come un allenatore non possa mai fermarsi sul presente e debba lavorare affinché la metodologia che utilizza sia in continua evoluzione e gli permetta così non solo di stare al passo con i cambiamenti, ma di cercare di precederli.

2.2 Valore della programmazione

Una corretta programmazione dà grande efficacia al lavoro.
Più avanti vedremo come le sedute siano coordinate e preparate attraverso incontri allargati tra i membri dello staff e parleremo anche delle differenze che caratterizzano la pianificazione nelle varie realtà di club e culture nazionali. In linea generale, però, nella programmazione ritengo sempre importante avere:
• Un chiaro obiettivo da raggiungere (gioco di squadra)
• Una corretta preparazione del macrociclo, ossia di un’ampia parte della stagione agonistica
• Una coerente pianificazione dei mezzi da utilizzare (esercitazioni)
• Una programmazione della seduta giornaliera che tenga conto del numero di giocatori a disposizione
Programmare un macrociclo nello specifico può essere semplice, mentre spesso diventa più difficile pianificare la seduta di lavoro giornaliera perché viene condizionata dal numero effettivo dei giocatori che hai a disposizione. Quando dico che «i programmi sono fatti per essere modificati» (frase che i miei collaboratori conoscono bene…) intendo dire che la pianificazione del lavoro stabilita dopo un’attenta analisi dell’ultima seduta può essere cambiata dalla realtà. Allenare il gruppo al completo è ben diverso che allenarne uno dove mancano calciatori infortunati, convocati in Nazionale eccetera.
Cambiare in corsa, senza perdere l’efficacia e la finalità del lavoro sul gruppo e sul singolo, prevede una ricerca di equilibri alla quale l’allenatore, con il contributo dei suoi collaboratori, deve sempre tendere. Oggi, grazie ai nuovi sistemi di monitoraggio, il fattore recupero è quello che più incide sulla pianificazione e sulla programmazione dell’allenamento. L’obiettivo primario è fare in modo che tra un incontro e quello seguente si raggiunga un pieno reintegro sia da parte del singolo, in considerazione della sua partecipazione diretta o meno alla gara, sia da parte della squadra nel suo complesso, mettendola quindi in condizione di sostenere pienamente la successiva seduta programmata.
C’è naturalmente molta differenza tra la programmazione di una settimana-tipo e quella in cui si è giocata una gara infrasettimanale. Affronteremo quest’argomento in modo più dettagliato quando illustrerò le sedute di alcune settimane svolte nei vari club da me allenati. Intanto posso rimarcare che, a prescindere dalla realtà in cui si lavora, quando si pianificano le due differenti settimane andranno valutati due aspetti importanti:
1. Una diversa gestione del rapporto carico-recupero
2. Un’adeguata gestione fisica dei giocatori non utilizzati in gara
La suddivisione qui esposta, però, si limita a un’indicazione di carattere cronologico.
Freccia indicatrice
Esempio di settimana-tipo senza gare infrasettimanali e con partita giocata di domenica.
1° giorno: Lunedì
Riposo
2° giorno: Martedì
Obiettivo: recupero attivo
Mezzi: esercitazioni a bassa intensità
3° giorno: Mercoledì
Obiettivo prevalente: miglioramento della forza
Mezzi: esercitazioni con la palla in spazi mirati
4° giorno: Giovedì
Obiettivo prevalente: miglioramento della re...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Copyright
  4. Dedica
  5. Introduzione - Il perché di questo libro
  6. 1. Da calciatore ad allenatore
  7. 2. Da allenatore a coach
  8. 3. Il sistema di gioco e la sua interpretazione. La partita
  9. 4. L’esordio. - Il 4-4-2 di Reggio Emilia
  10. 5. Da Reggio a Parma, un grande salto in pochi chilometri
  11. 6. La Vecchia Signora: l’esperienza Juventus, Zidane al centro del progetto
  12. 7. Il ritorno a casa, la famiglia Milan, nasce l’Albero di Natale
  13. 8. Da Milano a Londra. - Il Chelsea e il calcio inglese
  14. 9. Il progetto Paris Saint-Germain e il calcio francese
  15. 10. Dieci partite nella mia storia
  16. 11. Volevo smettere subito
  17. 12. La decima
  18. Glossario
  19. Curriculum Vitae
  20. Indice