Moscerine (VINTAGE)
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Moscerine (VINTAGE)

  1. 256 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Moscerine (VINTAGE)

Informazioni su questo libro

Nove racconti che esaltano aspetti microscopici dell'esistenza, trame insospettabili, elementi irrilevanti. Ma mentre ci disponiamo a osservare il disegno che incessantemente la vita traccia sulla tela dei personaggi, scopriamo che un qualche diavolo di inaccessibile vizio, uno scivolone, una carezza involontaria, una luce accesa nella casa di fronte, hanno mutato del tutto la scena. Anna Marchesini ci racconta di come anche un filo invisibile di fulminee irrilevanze, moscerine appunto, sia in grado di travolgere l'esistenza di tutti noi.

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Informazioni

Editore
RIZZOLI
Anno
2014
Print ISBN
9788817076128
eBook ISBN
9788858672235

Il salotto

«Sono molto cattive le zanzare quest’anno?»
Madame Isidori rivolse la domanda con tono disinvolto e lasciò squillare le parole nella quiete luminosa del luogo.
Era rientrata solo da qualche giorno, Madame, dalla sua residenza parigina; da anni infatti ella preferiva di gran lunga svernare in quella adorabile città dove, diceva, ogni giorno succede qualcosa anche quando non succede nulla; un’affermazione inconcludente e insulsa di cui le era stata più volte sottolineata la incontestabile significativa carica di banalità, tuttavia e nondimeno, ciò non le aveva impedito di riconfermarla ad ogni fine di stagione, all’inizio di ogni estate, ovvero da quando, da qualche anno ormai, aveva contratto, e con quale alacre dedizione poi, l’aristocratica abitudine di aprire al gran mondo il suo salotto italiano.
Madame Isidori era rimasta vedova in circostanze oscure, ma dalle quali era stata scagionata, non senza una qualche dubbia perplessità, assai lecita a dire il vero, a cagione del fatto che dal ricco matrimonio contratto con un anziano proprietario terriero ella aveva ereditato, oltre ad una cospicua rendita annuale, una magnifica residenza nella italianissima Toscana in seno alle dolcissime colline senesi, nelle cui fertilissime terre vantava ridentissimi ettarissimi di terra modernissimamente coltivati a vite.
Rientrava dunque proprio ora dalla sua deliziosa passeggiata, la prima della stagione, Madame Isidori; ed era stato proprio nell’atto di consegnare la mantellina di seta alle cure di Angeletta, la serva che le aveva aperto la porta, che ella aveva rivolto, non senza un velo di trepidazione, quella questione: «Sono molto cattive le zanzare quest’anno?».
Erano un vero incubo quegli insetti! Madame sosteneva, e con una certa dose di autorevolezza, di avere il sangue dolce e, a cagione di quella specialità, le sue delicatissime braccia, diceva con l’aria di lanciare une excellente boutade, fungevano da carta moschicida per quelle orride belve alate, tant’è che all’aperto d’estate la compagnia tutta che la circondava non poteva trarre che un cospicuo vantaggio dalla sua prossimità.
Il mese di maggio, quell’anno italiano, si presentava incantevole, i campi avevano già cominciato ad assumere quel colorito giallognolo, il grano ormai quasi maturo pareva avere colato in essi un oro pregiato un’offerta che si annunciava assai promettente e attendeva solo di venir colta a stagione inoltrata.
Il cielo naturalmente era azzurro, senza nuvole, la notte era trascorsa magnificamente, i guanti color camoscio pallido che Madame aveva acquistato a Parigi si intonavano perfettamente col completo color vaniglia che aveva inaugurato quel sabato pomeriggio, perciò onestamente non esisteva alcun ragionevole motivo per essere di umore malinconico.
Senza neppure attendere la risposta della serva dunque, Madame superò l’ampio corridoio; nel passare davanti a uno specchio si riassettò l’abito, in quello notò con soddisfazione che il suo punto vita si era notevolmente avvantaggiato del recente stato vedovile, in effetti, sebbene fosse trascorso ben più di un anno dal fatto in sé, la vedovanza, con tutti i suoi oneri sociali e gli impegni mondani che pretendeva, l’aveva stancata le aveva tolto l’appetito, da tempo ahimè si era ridotta a piluccare appena qualche ostrica durante i ricevimenti commemorativi.
Il lutto l’aveva decisamente ringiovanita, quella leggera pinguedine che nondimeno ancora modellava il suo busto, decise che fosse un richiamo sufficientemente femminile – aveva evitato di pensare “erotico” – sul quale ella avrebbe potuto contare ancora! Ma naturalmente in seguito eh!, ça va sans dire, al momento no! No no no no no no no no no no. Non vi era in lei alcun pensiero alcuna allusione la benché minima aspirazione ad un possibile legame o ad un qualsivoglia uomo maschio marito nonno che meritasse la sua attenzione. Per carità! Col tempo chissà… Magari in Italia… forse! Adesso non voleva pensarci.
«Angeletta! Non farti chiamare due volte per il thè, è un’attesa detestabile mia cara!» Questa volta Madame urlò con voce diversa con un timbro improvvisamente forte istrionico, stava giusto per entrare in quella che poteva considerarsi la sua arena, indugiava ancora sulla soglia e aveva bisogno di un ingresso sfavillante. Quando infine con un gesto ampio e carico di aspettative aprì la porta del salotto, fu invasa anzi permeata dalla luce intensa che penetrava attraverso le enormi vetrate che tutte intere costituivano due delle quattro pareti della stanza; le porte finestre immettevano direttamente nel giardino che circondava la villa tutto intorno, curatissimo verdissimo fioritissimo, così che il salotto era come un graziosissimo gazebo trasparente che veleggiava in mezzo a prati fioriti alberi di agrumi mandorli e pruni la cui abbondante fioritura in quella stagione stava cedendo il passo ai primi acerbi frutti.
Ah, che orgoglio era quella vista! Che intima soddisfazione! Peccato che suo marito fosse morto senza vederlo quel gioiello italiano che lei aveva arredato con quel suo gusto parigino e che, nondimeno, quanta acrimonia e quanta invidia procurava nell’animo di quelle signorine di campagna con la dote scaduta e i primi segni dei baffi sulle labbra, zitelle nient’altro che avvezze alla penosa solitudine dello squallido salottino sul retro.
Ah, lei no! Lei c’aveva pensato in tempo, lei ci aveva messo riparo a quella torbida eventualità altro che, lei era fatta per vivere in cima alla piramide costasse quello che costasse, a lei era andata bene, era andata bene perché aveva fatto i conti giusti e quel suo sostenuto tenore di vita lo stava a dimostrare; ora senza alcun dubbio era lei la più in alto! Lei eccelleva eccome!
Con un incedere indulgente pigro e regale che aveva più volte provato davanti allo specchio e che si era ripromessa di mantenere anche quando era sola e non si mostrava in società, al fine di non perdere la posa, si avvicinò alle tende di mussola bianche che scoprivano, come un sipario aperto, la vista dei prati all’esterno, le accostò un poco per attutire il riverbero. Al suo presentarsi dietro il vetro un paio di uccelletti che si erano spinti a becchettare e a cercare cibo sul gradino esterno, una lastra di marmissimo di carrarissima lucidissimo, volarono via spaventati sbattendo convulse le ali; Madame seguì con lo sguardo compiaciuto il loro volo, li vide posarsi sull’albero di pere acquattati tra le foglie in attesa di volare giù di nuovo.
Fiori fiori fiori fiori, c’erano fiori dappertutto in quel salotto; Angeletta aveva avuto disposizione di non farli mancare mai, di disporli ovunque, fiori vasi di fiori anfore terracotte fiori recisi ovunque ma con gusto; un attributo che a quella bestiola implume era destinato a mancare del tutto.
Madame invece aveva imparato perfettamente dalle amiche parigine più esperte una certa arte di mischiare i colori; “macchia” dovevano fare, “macchia” a volte tenue a volte azzardata, a volte “macchia” per contrasto. I fiori di campo, non i più trascurabili, erano più giusti in certe occasioni rustico giovanili, mentre la disposizione in buona evidenza di fiori pregiati, magari regalati da un buon conoscente affettuoso e altolocato, si prestava alla meraviglia nelle occasioni mondane più accreditate.
Fiori dappertutto, anche sul pavimento e poi piante, piante da interni piante discendenti, era la sua firma il suo stemma la sua carta stampata il segno più luminoso della sua barocca ospitalità.
Ma neanche per sogno! No che non faceva boudoir il velluto rosso che aveva scelto per i divani e le poltrone e le sedie! Ma niente affatto!
Quanto avevano discusso con la buonanima al momento di scegliere la tappezzeria; aveva avuto ragione lei, ogni volta che la guardava ne era sempre più soddisfatta, anche ora nel voltarsi dalla finestra Madame ripeté la prova; si mise una mano davanti agli occhi per toglierla poi all’improvviso appena si fosse girata, voleva trovarsi davanti il suo salotto rosso e vedere che effetto le avrebbe fatto quel colpo d’occhio. Sennonché quando tolse la mano e scoprì la vista, all’improvviso le apparve di fronte, rannicchiata sul divano, la figura copiosa del colonnello Bortoli che si era appena accorto di lei e stava cercando di trascinare il suo sedere sul cuscino per alzarsi, senza successo si affaticava a dare gran colpi di schiena in avanti ma non trovava il modo di smontare da quella bassa e rigida seduta in cui si era incagliato, per mettersi in piedi e salutare a dovere la padrona di casa.
«Rimanga pure comodo colonnello!» lo precedette Madame con una specie di urgenza; era un’immagine impietosa quella a cui stava assistendo, probabilmente il colonnello si era appisolato da un bel po’ e, nonostante gli apprezzabili sforzi da lui compiuti per sembrare vivo e sveglio, il suo volto recava addosso una curiosa espressione di urbanità stinta. I suoi sconnessi tentativi di offuscarla conferivano purtroppo alla situazione una tale carica di ridicolo che Madame finì col dimenticare il motivo per cui si fosse girata con la mano sugli occhi.
Giacché il colonnello, abbondante nella stazza e per di più gravato da fastidiosi accidenti di carattere reumatico, non riusciva in alcun modo a prendere la rincorsa giusta per attivare il colpo di reni necessario per uscire da quella buca in velluto, la donna veleggiò verso di lui ostentando una superficiale allegrezza alla quale aveva affidato l’evidente compito di minimizzare l’incidente. Si fermò accanto al colonnello proprio nel momento in cui egli era riuscito ad emergere: «Sono in anticipo!» si scusò dopo aver consultato l’orologio; aveva la faccia contratta e la cotenna tutta sudata.
Madame notò che il riposino pomeridiano gli aveva colorato le guance di rosso e anche il naso sembrava piuttosto tumefatto come da una specie di raffreddore cronico che poteva in effetti spiegare l’accento nasale con cui il colonnello declamava pigramente le sue frasi.
Un ciuffetto sparuto di capelli, inoltre, sventolava da dietro l’accentuata radura del cranio come una bandierina ammainata, si era sollevato dritto sulla nuca a causa dei ripetuti scivolamenti della testa sullo schienale del divano. In quel suo caotico tentativo di recuperare una se non antica autorevolezza, almeno quella precedente all’abbiocco, il colonnello aveva preso a dimenarsi, gesticolava per uscire dall’imbarazzo, si adoperava nella spassionata profferta di scuse con un eccesso di disinvoltura rumorosa.
Così agitato poveretto, pensò Madame, così conciato in faccia, pareva un clown struccato male alla fine dell’ultimo spettacolo.
«Nulla di grave colonnello, non si dia pena» aveva risposto Madame, «piuttosto forse vorrà darsi un’aggiustatina?» gli aveva chiesto con una studiata e credibile premura; voleva evitare in qualunque modo che seguitasse e scusarsi come aveva l’abitudine di fare, riportando ogni volta con dovizia di particolari il calcolo esatto di quanti minuti avesse impiegato a sbrigare tutte le funzioni private che doveva svolgere prima di giungere alla villa di Madame: compiti di igiene personale, di sbrigo della corrispondenza, dal meccanico per la macchina, quella mattina anche in banca era dovuto andare e poi la gran fila di gente che aveva trovato allo sportello, per non parlare del traffico e come avesse cercato di portare a termine tutto con estrema rapidità per il timore di giungere in ritardo e poi come avesse preso le sue precauzioni per evitarlo, lei doveva sapere come, aveva di fatto accorciato i tempi della faccenda in banca, troppo lunga si annunciava la rischiosa attesa, per carità no, non si sarebbe giammai perdonato se per causa sua, Madame lo capiva bene… aveva addirittura dato la carica ad una certa sveglietta dell’orologio, un meccanismo prodigioso, Madame se ne sarebbe appassionata, che segnalava lo scorrere di ogni ora emettendo una deliziosa musichetta che peraltro non aveva mancato di destare l’attenzione e la curiosità degli astanti sinanco in banca appunto dove più di uno gli aveva domandato cosa tenesse in tasca, quale diabolico marchingegno nascondesse e che spasso si fosse preso poi a mostrarlo al direttore che aveva espresso il desiderio di possederne uno anch’egli, anzi uno simile avrebbe voluto regalarlo alla moglie in occasione del compleanno; ma poi proprio mentre lo aveva mostrato si era accorto dell’ora e così aveva desistito dall’adempiere alla sua commissione rinunciandovi del tutto; di conseguenza dunque, aveva aggiunto, come si fosse ritrovato perciò addirittura con un eccesso di minuti di tempo risparmiato, di quanti minuti si trattasse con esattezza ora non era in grado di ricordarlo, tuttavia era un calcolo che si sarebbe potuto tentare e come, anzi, la prossima volta, lo giurava ovvero lo prometteva, in ogni caso si impegnava proprio in quell’occasione di fronte a lei, si sarebbe guardato bene dal ripetere gli stessi errori, avrebbe cercato di identificarli tutti, uno per uno e, ammesso e non concesso che ogni giorno si possa dichiarare uguale ad un altro, giacché, per fare un esempio, alcune mattinate capita che si possa andare avanti a dormire in tutta tranquillità, altri giorni invece pare che il mondo intero alzi la voce e si metta a chiamarti a urlare perché tu gli dia retta, ognuno vuole il suo tempo, gli obblighi, persino alla sua età non mancavano di certo, considerando pure le condizioni di salute della vecchia madre, che peraltro ringraziava Madame dell’invito e sarebbe di lì a poco giunta alla villa per l’ora del thè; tutte quelle incombenze dunque non permettevano di certo a lui il lusso di dormire essendo ogni giorno disgraziatamente sollecitato da qualche tedioso inconveniente, dalla sempre più frequente aspra necessità di parlare con un dottore per un consulto, oppure di portarsi in una qualche clinica per le cure specialistiche di mamma, senza trascurare i suoi inveterati obblighi militari che seppure assopiti, giacché ora era in pensione, non potevano certo essere negletti. A volte avrebbe necessitato, diceva, con una specie di risolino, di un segretario o magari di una segretaria… ma quella era tutta un’altra questione, suvvia Madame non doveva fraintendere, stava celiando, non intendeva certo mescolare le carte. Avrebbe modificato la tabella di marcia onde non incorrere nell’intollerabile pericolo di importunarla di nuovo. Essere stato colto costì da Madame, mezzo sbracato gli era venuto di dire ma preferì non dirlo, era stato già imbarazzante, disse, non voleva che Madame gli attribuisse la malcreanza di essersi introdotto nella villa magari con una scusa, a tal proposito ci teneva a precisare che la servitù lo aveva autorizzato, sì insomma… che poi lui non si era mosso di lì lo giurava, non aveva neanche idea di quanto tempo fosse trascorso, la sveglietta era rimasta sorda, dunque con ogni probabilità si trattava di una questione di minuti, in ogni caso poteva stare certa che non sarebbe accaduto mai più! E giù in quello crollò in un inchino come se avessero lasciato di colpo i fili che lo muovevano.
Era sempre la stessa lagna, il colonnello la annoiava con la sua insistente pedanteria.
Il colonnello sempre chino senza risollevarsi si sedette di nuovo, fece solo un passo indietro e crollò sulla poltrona questa volta, gli parve più prudente, e si soffiò il naso, soffriva per la presenza di tutti quei fiori, negli ultimi anni era afflitto da una specie di allergia che si manifestava con più insistenza ad ogni primavera.
Non appena ebbe riposto il fazzoletto, «Madame» riprese con un tono confidenziale che non suonava né scorretto né irriguardoso, «alcuni sostengono, non senza una certa impertinenza, a mio modo di vedere, che i suoi ricevimenti siano fatti per incontrare!».
Madame ascoltò con estremo interesse la improvvida dichiarazione dell’anziano colonnello.
Non aveva mai considerato questo singolare aspetto della sua ostentata ospitalità.
A dire il vero Madame, in società, parlava esclusivamente della sua vita e di tutta l’umanità che era passata davanti ai suoi occhi, era evidente che l’eventuale eccedenza negativa delle impressioni che l’avevano colpita non le aveva tuttavia impedito di conservarne un ricordo vivace e toccante, cosicché la sua provata capacità di drammatizzarne il potere rimaneva pur sempre la cosa più efficace e importante.
Madame aveva bisogno di un suo pubblico di ascoltatori sul quale rovesciare durante la stagione estiva tutto il marciume il metabolizzato della sua vita parigina, lo scaricava loro addosso come i bidoni della spazzatura dei ristoranti scaraventano le bucce e l’umido della cucina dentro gli enormi secchioni in strada.
Incontri culturali piuttosto ella riteneva che fossero i suoi ricevimenti, salotti di interesse artistico li considerava, tuttavia Madame si sentì esentata dal rispondere a quell’involontaria insinuazione del colonnello dall’arrivo dei primi ospiti che alla spicciolata cominciavano a fare il loro ingresso nella villa.
La casa era frequentata da solenni zitelle, attempate signorine che vedevano nelle serate mondane una sorta di mercato dell’usato dove potersi portar via qualche esemplare non del tutto inedito, magari un capo non più nuovo e senza garanzia, strappato in una cortese guerra civile agli acquirenti più astuti ed esperti.
Per prima, una vecchia signora dall’imponente statura, gravata da una monumentale capigliatura bianca, una ambiziosa architettura tuttavia portata con esemplare dignità, aveva fatto il suo ingresso; era la moglie dell’ex sindaco del paese vicino, con al seguito le sue tre figlie tutte da marito e tutte sopra la quarantina.
La carica di sindaco del coniuge era decaduta da una quindicina di anni, tuttavia la signora, ormai prossima alla settantina, continuava a rappresentare la parte della moglie del primo cittadino, si mostrava in pubblico sempre meticolosamente pettinata e truccata; anche in questa occasione dunque aveva fatto il suo ingresso in testa al corteo delle zitelle, con un passo altero e un irriducibile tono di corrucciata severità che ben si addicevano ad una primadonna.
A ben guardare, abbondanti strati di cipria conferivano al suo volto un aspetto moderatamente pietrificato; sembrava piuttosto la statua corrosa, il mezzobusto sgretolato di un poeta sconosciuto, piazzato in un angolo nascosto di un vecchio parco cittadino.
Al loro ingresso, la madre del colonnello si era svegliata; era giunta poco prima in effetti, accompagnata da una specie di autista, un bestione rustico e sgarbato ma talmente forzuto da riuscire a portare la vecchia in braccio e scaricarla sulla poltrona proprio come faceva ogni mese il giardiniere della villa co...

Indice dei contenuti

  1. Cover
  2. Vintage
  3. Frontespizio
  4. Copyright
  5. La signorina Iovis
  6. Lisetta
  7. L’odore del caffè
  8. La Torta Nuziale
  9. Poi si vedrà
  10. Le evidenze
  11. Il salotto
  12. In punto di morte
  13. Cirino e Marilda non si può fare