CAPITOLO VENTUNO
Non sono uno chef
Dalla finestra della sala vedo Gianluca camminare sul vialetto in ciottoli e dirigersi verso il portone d’ingresso. “Quella bionda e corpulenta signora che tiene sottobraccio deve essere sua madre” penso, mentre sento il cuore accelerare di qualche battito e un brivido solleticarmi lo stomaco.
«Mamma! Sono arrivati!» grido, per richiamare l’attenzione di mia madre ancora intenta a spiegare all’orecchio sordo della povera zia Sofia chi sono gli ospiti che abbiamo a pranzo. Mi guardo rapidamente allo specchio a parete del corridoio, per controllare che i miei capelli abbiano mantenuto la giusta piega, poi mi precipito per le scale per andare in contro al mio uomo e alla mia futura suocera.
«Matilde!» esclama Gianluca, restando a bocca aperta come se mi vedesse per la prima volta.
«Ben arrivati» rispondo sorridendo a entrambi.
«Sei un incanto…» prosegue lui, passando allo scanner il mio vestitino a fiori lungo appena sopra il ginocchio.
«Io sono Emilia! Il mio bambino mi ha parlato così tanto di te che mi sembra di conoscerti da sempre.» La signora s’inserisce con solarità tra le parole del figlio.
Io, un po’ timidamente, le allungo la mia mano destra, lei l’afferra e mi trascina a sé, stringendomi in un vigoroso abbraccio.
«Davvero?» rispondo, cercando di non soffocare tra le sue morbide e robuste braccia.
«Mamma, quante volte ti ho detto di non chiamarmi “il mio bambino”» la rimprovera Gianluca, lanciandole un’occhiata fulminante.
«Da questa parte, seguitemi. La mia famiglia è ansiosa di conoscervi» annuncio, tornando padrona del mio corpo e cercando la mano di Gianluca. Salendo gli ultimi gradini avverto le dita del mio amato chef diventare umide e rannicchiarsi all’interno del mio palmo.
«Tesoro, tutto bene?» gli bisbiglio.
«Sono solo un po’… nervoso» mi risponde, tentando di sorridere. Gli dò un casto e rassicurante bacio sulla bocca e mi preparo anch’io al grande ingresso.
La mia famiglia è ancora riunita in sala, persa in un frenetico, ma composto chiacchiericcio.
«Eccoci qui, siamo arrivati!» esclamo a gran voce, come se dovessi annunciare l’arrivo dei nunzi messaggeri alla corte del re.
Un improvviso silenzio scende nella stanza e, in meno di un secondo, gli occhi dei miei parenti, e quelli più incuriositi dei miei genitori, sono puntati su Gianluca e sua madre. Una sorta di immobilità s’impadronisce della scena, come un fermo immagine destinato a segnare per sempre la storia di tutti i presenti.
«Buongiorno a tutti! Io sono Emilia, la mamma di Gianluca.» L’estroversa signora rompe la leggera tensione e, senza alcuna esitazione, comincia a stringere la mano ai membri della mia famiglia.
«Mamma, lui è Gianluca» inizio, presentandole con orgoglio il mio uomo.
«È un piacere conoscere il fidanzato di mia figlia. Sono Giulia» afferma lei, con lo stesso sguardo fiero e un po’ altezzoso che riserva a tutte le persone che per la prima volta varcano la soglia della sua dimora.
«Io sono Giovanni, il papà di Matilde» interviene mio padre che, invece, lo saluta con un’amichevole pacca sulla spalla.
«Chi è questo bel giovanotto?» chiede la zia Sofia, avvicinandosi a noi con il suo girello.
«Zia, lui è Gianluca, il mio ragazzo!» le urlo nell’orecchio sinistro, quello con un residuo collegamento con l’ambiente esterno.
«Il piacere è tutto mio, sono felice di essere qui e… complimenti, la vostra casa è davvero accogliente. Un po’ meno i due rottweiler che ho intravisto in giardino…» Gianluca cerca di scherzare e, anche se le due chiazze rosse comparse sul suo viso palesano una notevole dose d’imbarazzo, cerca di essere disinvolto, mantenendo il suo dolce sorriso bene in vista.
«Nino e Lion sono i nostri cuccioloni. Non farebbero mai del male a nessuno» lo rassicura mio padre, indicandogli la cornice d’argento sopra la cassapanca, che racchiude la foto di quando i due cani avevano all’incirca un mese di vita.
«Giovanni, che ne dici di aprire una bottiglia di Bisol di Valdobbiadene da offrire insieme all’aperitivo?» interviene mia madre, ansiosa di dare inizio al pranzo inter-familiare.
«Ho chiamato il catering del ristorante Sesto senso, spero sia di tuo gradimento» si rivolge poi a Gianluca, guardandolo dritto negli occhi per avere un suo riscontro.
«Ma certo, signora, noi mangiamo di tutto.»
«Matilde mi ha decantato così tanto la tua abilità in cucina che mi sono sentita in imbarazzo a proporre un menu fatto in casa.»
«È stata molto gentile, ma non doveva disturb…»
«Matilde, puoi fare accomodare gli ospiti mentre io vado a dare istruzioni allo chef?» mi chiede lei, prima di dileguarsi nel corridoio. Gianluca e io rimaniamo qualche istante da soli e, mentre le nostre mani tornano a intrecciarsi, una voce ci sorprende alle spalle.
«Il primo sorso spetta all’ospite» dice mio padre, porgendo a Gianluca un calice pieno per metà e invitandolo ad assaggiare e dare l’autorizzazione per la distribuzione del Prosecco agli altri.
«Davvero ottimo…» risponde Gianluca, dopo aver trattenuto per qualche secondo il liquido tra la lingua e le labbra.
«Fa parte della mia cantina personale. Vista la tua esperienza, scommetto che riconosci anche l’annata…» prosegue mio padre, intento a ostentare la propria passione per i vini.
«Perché invece voi due non mi aiutate a radunare la famiglia intorno al tavolo?» mi intrometto, sapendo quanto mia madre ci tenga a vedere ognuno di noi seduto al proprio posto prima che il cameriere cominci il giro degli antipasti.
«Matilde, ma quando si mangia? Io devo prendere le pastiglie…» sento zia Sofia tirarmi per un lembo del vestito.
«Hai ragione, zia. Vieni, che ti accompagno…» le rispondo, spostandole indietro la sedia per farla accomodare. Poi mi rivolgo a Gianluca, che sembra essere rimasto imbalsamato con lo sguardo perso nel vuoto e il bicchiere stretto in mano.
«Noi ci sediamo vicino ai miei e tua madre alla tua destra, che ne pensi?»
«Come?»
«Gianluca, stai bene?»
«Sì, è che non so dove sia finita mia madre…» prosegue, con espressione smarrita.
«Ci aspetta un menu con i fiocchi!» esclama la signora Emilia, rientrando nella sala, tenendo in mano una mezza tartina e masticando con gusto l’altra metà.
«Mamma, ma dov’eri finita?»
«Lo sai che se sento odore di cucinato io non resisto…» risponde lei, mentre alle sue spalle compare anche mia madre.
«Gianluca, hai una mamma davvero…»
«Sì, lo so e… chiedo scusa…»
«È una donna…»
«Invadente, indiscreta, che non…»
«La signora Emilia è la persona più simpatica e solare che abbia mai conosciuto» conclude, mentre con un gesto della mano raduna tutta la famiglia intorno al tavolo.
O mia madre sta mentendo con un sorriso da Oscar, oppure la cucina è davvero un luogo magico dove tutto può accadere.
Dopo qualche minuto due grandi vassoi di tartine di paté di olive taggiasche, vol-au-vent ripieni di crema di champignon e crostini di pane di mais aromatizzati al tartufo occupano il centro della tovaglia. Il cameriere, con tanto di guanti bianchi, comincia a servirci gli antipasti e, appena tutti i piatti sono stati riempiti, in sala scende quel profondo silenzio che caratterizza i primi minuti di un pasto molto gradito.
«Scusate, ma non possiamo iniziare senza fare un brindisi» dice mio padre, sollevando con la mano destra il bicchiere.
«È vero, questo momento è dedicato a Matilde e Gianluca» afferma mia madre, appoggiando le posate accanto al piatto.
«Che belli i nostri bamb…» interviene la signora Emilia.
«Mamma?!» la interrompe Gianluca.
«Ai nostri figli, innamorati e felici di stare insieme» si corregge lei.
«A Matilde e...