Il Grifo
Carlo Bonini e Giancarlo De Cataldo
1
Milano, giugno 2003
Gli uffici della società Ring occupavano il piano nobile di un austero palazzotto ottocentesco a breve distanza dal Duomo. Uscito dalla Punto bianca che aveva accostato lungo il marciapiede, Simone Monaco, capitano del Nucleo Speciale di Polizia Valutaria della Guardia di Finanza, mostrò al contegnoso portiere la piastra di riconoscimento, soffermandosi per un attimo sull’eleganza ostentata dell’uomo. Un servo in livrea, pensò, paragonando il doppiopetto grigio del custode al proprio completo blu cobalto da outlet. Se avesse indossato l’uniforme l’effetto sarebbe stato molto diverso. Ma certi affari meglio sbrigarli in borghese. Quando sottoponi uno squalo alla verifica fiscale, è importante conquistarsi la sua fiducia. Tutto sta nel convincere l’interlocutore ad abbandonarsi prima o poi a una complicità che la divisa rende semplicemente impossibile.
Quella mattina Monaco si giocava tutto. A trentotto anni, quanti ne aveva, l’affare Ring avrebbe comunque deciso della sua carriera. Comunque. Non ci sarebbero state vie di mezzo. Troppo alta la posta in palio. Lo sapeva lui; lo sapeva il generale Antonio Franzese che lo aveva scelto per quell’incarico; lo sapeva l’uomo che ora aveva di fronte nella grande sala che occupava il centro degli uffici della Ring, unico spazio chiuso in un layout di open space disposti a raggiera. Si chiamava Manfredi Treves e a Milano il suo nome provocava alternativamente riflessa sudditanza e ammirato timore. Quale se ne può avere per chi, come Treves, aveva costruito una carriera attraversando indenne le vicende più opache e insieme cruciali della finanza italiana. Lo chiamavano “il Professore”, per via della cattedra di diritto tributario nella più prestigiosa università privata del Paese, per l’infinita teoria di pubblicazioni scientifiche che nessuno riusciva a capire quando avesse il tempo di scrivere, per i modi accademici con cui amava offrirsi al pubblico.
A dispetto dell’anagrafe, che gli dava cinquantasette primavere, Treves dimostrava un’età indecifrabile. Come se per quell’uomo il tempo avesse deciso una moratoria. Merito del senso di potere che la sua pacatezza comunicava. Merito dell’innata eleganza di un fisico asciutto enfatizzato da un magnifico completo gessato, dalla cravatta dalla fantasia impercettibile, dalla pochette bianca.
Treves era il più anziano e spregiudicato dei fiscalisti della Ring e nella sfida con quel “ragazzo” del nucleo valutario, la società riteneva di aver scommesso sul sicuro. Ne erano certi. Il capitano Monaco e i suoi uomini non sarebbero mai venuti a capo della matassa. Un anno prima la Ring aveva fatto sparire due miliardi di euro di plusvalenza incassati dalla cessione a una cordata olandese della controllata Netlink, il principale operatore di telefonia mobile del Paese. Se avesse chiesto agli studenti, che esaminava con studiata severità, di definire una simile operazione, quelli avrebbero avuto una sola risposta a disposizione: frode fiscale. Ma Simone Monaco non era un suo studente. E con lui si doveva usare un ben diverso linguaggio.
Treves strinse cordialmente ed energicamente la mano dell’ufficiale. Gli fece cenno di sedersi. Quindi, indicò un grande posacenere di cristallo colmo di morbidissime gelatine alla frutta.
Il capitano sorrise.
«La ringrazio, ma non amo le caramelle, dottor Treves.»
«Allora potrebbe andar bene un bel caffè. Magari amaro, visto che non gradisce il dolce.»
«Grazie, ne ho presi già tre da stamattina. Diciamo che almeno per un po’ non ne ho bisogno.»
«Magari lo gradiscono i suoi uomini di là.»
Monaco pensò ai ragazzi che, oltre la vetrata della sala, avevano cominciato ad acquisire pile di documentazione.
«I miei ragazzi direi di lasciarli lavorare.»
«Non credo che una pausa caffè renda più inutile di quanto già non sia la fatica di raccogliere tanta carta.»
Treves lo aveva preso alla sprovvista. Lo faceva più felpato.
«È il nostro mestiere. Le verifiche si fanno sui documenti.»
«Capitano, lei mi sembra un ragazzo intelligente. Risparmi queste facezie a un uomo dai capelli bianchi come me.»
«Se una verifica fiscale le sembra una facezia.»
«Non ci provi con me, capitano. Lei sa esattamente quanto me che qui dentro non troverà un solo pezzo di carta che le consenta di dare una risposta ragionevole alla domanda per cui lei è qui. E per la quale, aggiungo io, questa società liquiderà al sottoscritto una parcella che, più o meno, ammonta a quanto lei guadagnerà di qui al congedo.»
«Se nella vita avessi voluto fare i soldi non avrei scelto il mestiere che faccio.»
«Non sia permaloso. Non volevo offenderla, né provare a corromperla. Il generale Antonio Franzese mi ha detto che lei è un ufficiale dalla schiena dritta.»
«Il generale Franzese?»
«Sì. Non le ha detto che abbiamo parlato di lei?»
«No.»
«Condividiamo la passione per il golf. E sul green capita di parlare più o meno con la stessa sincerità con cui ci si confida in una sauna.»
«Non pensavo che…»
«Che il comandante della Guardia di Finanza di Milano frequentasse una vecchia volpe come il sottoscritto? O, se vuole, che guardie e ladri ogni tanto smettano di inseguirsi?»
«Dottor Treves, io non ho molto tempo.»
«Da perdere con me?»
«Anche. Senza offesa…»
«E allora, capitano, vengo subito al punto. Lei pensa che la Ring sia un caso di esterovestizione, giusto?»
«Diciamo che lei non è lontano dal vero.»
«Ma lei sa anche che una esterovestizione deve essere dimostrata, giusto? Che non è sufficiente esserne convinti.»
«Mi sembra un’ovvietà.»
«Cosa le sembra un’ovvietà? L’onere della prova o che lei sia in grado di raggiungerla, quella prova? Perché, vede capitano, la Ring ha la sua sede legale in Lussemburgo. E una società paga le imposte nel Paese in cui ha sede.»
«Non mi sembra che in Lussemburgo ci sia il Duomo. E se non sbaglio da una di queste finestre, invece, le guglie si vedono. La Ring è una società che di fatto ha sede a Milano.»
«La prego, capitano, non mi annoi con la storia che quel che rileva è il luogo effettivo in cui la società conduce i suoi affari.»
«La annoierà, ma è la legge. E la Ring conduce i suoi affari da qui. Da questi magnifici uffici. Per questo i miei ragazzi stanno tirando giù quella montagna di carta. Dimostreremo che qui avete chiuso per la cessione della Netlink e qui avete evaso le imposte. Su una plusvalenza di due miliardi, direi un miliardo e rotti.»
«Lo sa che mi affascina vedere tanto entusiasmo?»
«Non ho ancora trovato nessuno che me lo abbia fatto perdere.»
«Lei è un uomo fortunato.»
«Trova?»
«Tutti gli uomini che credono nel bene e nel male, lo sono.»
«E chi le dice che io sia uno di quegli uomini?»
«La fiducia che ripone nella legge. Nella sua univocità. E, se mi permette, una certa ingenuità nei riguardi dell’uniforme che indossa. A proposito, lei non ha un accento del nord. Deve essere uno di quei…»
«Meridionali che entrano in Finanza?»
«Mi ha tolto le parole di bocca. Avrei comunque detto “uno di quei brillanti meridionali”.»
«Sono nato e cresciuto a Roma.»
«Mi lasci indovinare. Lei è dell’Eur. Anzi, del laghetto dell’Eur. Media borghesia romana, tifoso della Roma, figlio unico di padre impiegato e madre casalinga. 110 e lode in Economia e commercio, scuola allievi ufficiali…»
Monaco sorrise scuotendo la testa.
«È vero. Ma lei che ne sa dell’Eur e del laghetto? Non mi dica che è un’altra confidenza del generale Franzese. Né mi dica che le piace tirare a indovinare.»
Questa volta fu Treves a sciogliersi in un sorriso compiaciuto.
«No, certo! Ho preso qualche informazione. Come si dice, la legge cammina sulle gambe degli uomini. E a me piace conoscere in anticipo gli uomini con cui avrò a che fare.»
«Immagino che queste… ricerche le costeranno un bel po’ di tempo.»
«Tempo ben speso, mi creda. D’altronde, come… oggetto della mia attenzione… lei è in ottima compagnia.»
«Ha schedato tutta la Guardia di Finanza, per caso?»
Treves si allargò in un sorriso benevolo.
«Ah, voi finanzieri! Siete un po’ come i Cavalieri dell’Ordine di Malta. Una volta portata la Croce non ve la togliete più. Ovunque voi andiate. Fate rete. E comunque, un giorno, magari, le mostrerò questo mio modesto inventario. Anche perché qualcosa mi dice che non sarà il nostro ultimo incontro.»
«Non so se ci vedremo ancora. Noi con il materiale che raccogliamo oggi abbiamo finito con la verifica. Consegnerò la mia relazione di servizio al più tardi nel giro di due settimane.»
«Quando dico che ci rivedremo non penso alla Ring. Ma non ha importanza.»
Treves si congedò da Monaco con la stessa vigorosa stretta di mano con cui si era presentato. Gli porse un biglietto da visita, sciogliendosi in un sorriso di cortesia.
«I miei recapiti. Non si sa mai.»
Il capitano rimase solo. Infilò l’indice nel collo umido della camicia per allentare la presa della cravatta. Scrutò il bavero del suo rigido completo blu cobalto. Non aveva dubbi. La Ring era un caso di esterovestizione. E il miliardo di euro di imposte evase, la più grande frode fiscale della storia repubblicana.
Si diresse verso la porta della sala che dava accesso all’open space dove stavano lavorando i suoi ragazzi.
Finita questa storia, pensò, devo prendermi un vestito come Dio comanda.
2
Milano, luglio 2003
Aveva indossato l’uniforme e non ci fu bisogno di annunciarsi. Il generale Antonio Franzese attendeva Monaco sulla porta del suo ufficio. E anche con una certa impazienza, si sarebbe detto dal sorriso inespressivo in cui aveva imbalsamato la sua mimica facciale.
Erano celebri i modi affettati del generale, cui contribuiva sicuramente il parossismo di un accento campano che si faceva all’improvviso più marcato ogni qualvolta la cortesia annunciava l’impellenza di una richiesta.
La relazione finale sulla esterovestizione della Ring occupava il centro esatto della scrivania del generale, peraltro sgombera di qualsiasi altra scartoffia. Neanche fosse un cadavere pronto per l’autopsia al centro di un tavolo settorio.
«Allora, capitano. Ho letto. Ho letto attentamente la sua relazione. Direi un lavoro eccellente. Quasi ineccepibile.»
«Quasi.»
L’esordio di Franzese non prometteva granché. La sua arte di blandire era una dote familiare. Monaco decise di stare al gioco. Un po’ perché aveva imparato a prendere Franzese per il verso giusto. Ma, soprattutto, perché sapeva che proprio dal generale molte cose sarebbero dipese da lì in avanti. Il destino della vicenda Ring, naturalmente. E la sua carriera da ufficiale. Con la nuova maggioranza di governo, Franzese era dato come prossimo capo di Stato Maggio...