Salvare Venezia
eBook - ePub

Salvare Venezia

  1. 240 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
eBook - ePub

Informazioni su questo libro

Sin dalle origini Venezia ha vissuto in simbiosi con la laguna che la circonda e per preservarla il governo della Serenissima è stato molto attento alla gestione del territorio lagunare, con interventi di ampio respiro e istituzioni appositamente create.
Oggi Venezia si trova di nuovo in una situazione critica. L'acqua alta del novembre 2019 ha riportato l'attenzione sul MOSE, l'opera che doveva mettere al riparo la città da nuove disastrose alluvioni e che, dopo mezzo secolo di dibattito e un cantiere durato quasi vent'anni, non è ancora in funzione, né se ne conosce l'efficacia.
Nel frattempo, però, la costruzione del MOSE ha favorito la nascita di un sistema corruttivo e di malaffare che ha provocato un terremoto politico e giudiziario, coinvolgendo negli anni le principali istituzioni locali e nazionali e generando sprechi enormi a carico dei cittadini.
In questo libro, pubblicato nella prima edizione con il titolo Corruzione a norma di legge e oggi completamente aggiornato, Barbieri e Giavazzi raccontano come tutto ciò sia stato possibile e come sia avvenuto. Ma si chiedono anche come da questa situazione si possa uscire salvando Venezia dal disastro in cui si trova. È una storia che, per come si è sviluppata e per le opportunità che ora offre, può trasformarsi in un esempio per l'Italia nel momento in cui il nostro Paese si appresta, grazie all'aiuto dell'Europa, a lanciare quello che potrebbe divenire il più grande progetto di rinnovamento degli ultimi cinquant'anni.

Domande frequenti

Sì, puoi annullare l'abbonamento in qualsiasi momento dalla sezione Abbonamento nelle impostazioni del tuo account sul sito web di Perlego. L'abbonamento rimarrà attivo fino alla fine del periodo di fatturazione in corso. Scopri come annullare l'abbonamento.
Al momento è possibile scaricare tramite l'app tutti i nostri libri ePub mobile-friendly. Anche la maggior parte dei nostri PDF è scaricabile e stiamo lavorando per rendere disponibile quanto prima il download di tutti gli altri file. Per maggiori informazioni, clicca qui.
Perlego offre due piani: Base e Completo
  • Base è ideale per studenti e professionisti che amano esplorare un’ampia varietà di argomenti. Accedi alla Biblioteca Base con oltre 800.000 titoli affidabili e best-seller in business, crescita personale e discipline umanistiche. Include tempo di lettura illimitato e voce Read Aloud standard.
  • Completo: Perfetto per studenti avanzati e ricercatori che necessitano di accesso completo e senza restrizioni. Sblocca oltre 1,4 milioni di libri in centinaia di argomenti, inclusi titoli accademici e specializzati. Il piano Completo include anche funzionalità avanzate come Premium Read Aloud e Research Assistant.
Entrambi i piani sono disponibili con cicli di fatturazione mensili, ogni 4 mesi o annuali.
Perlego è un servizio di abbonamento a testi accademici, che ti permette di accedere a un'intera libreria online a un prezzo inferiore rispetto a quello che pagheresti per acquistare un singolo libro al mese. Con oltre 1 milione di testi suddivisi in più di 1.000 categorie, troverai sicuramente ciò che fa per te! Per maggiori informazioni, clicca qui.
Cerca l'icona Sintesi vocale nel prossimo libro che leggerai per verificare se è possibile riprodurre l'audio. Questo strumento permette di leggere il testo a voce alta, evidenziandolo man mano che la lettura procede. Puoi aumentare o diminuire la velocità della sintesi vocale, oppure sospendere la riproduzione. Per maggiori informazioni, clicca qui.
Sì! Puoi usare l’app Perlego sia su dispositivi iOS che Android per leggere in qualsiasi momento, in qualsiasi luogo — anche offline. Perfetta per i tragitti o quando sei in movimento.
Nota che non possiamo supportare dispositivi con iOS 13 o Android 7 o versioni precedenti. Scopri di più sull’utilizzo dell’app.
Sì, puoi accedere a Salvare Venezia di Giorgio Barbieri,Francesco Giavazzi in formato PDF e/o ePub. Scopri oltre 1 milione di libri disponibili nel nostro catalogo.

Informazioni

Editore
RIZZOLI
Anno
2014
Print ISBN
9788817075701
eBook ISBN
9788858671733
1

Come la Serenissima salvò Venezia

La città dei Veneti per volere della Divina Provvidenza è fondata sulle acque, circondata dalle acque e protetta da acque in luogo di mura: chiunque pertanto oserà arrecare nocumento in qualsiasi modo alle acque pubbliche sia condannato come nemico della Patria e sia punito non meno gravemente di colui che abbia violato le sante mura della Patria. Il diritto di questo Editto sia immutabile e perpetuo.
Editto di Egnazio, seconda metà del XIV secolo

La laguna è a rischio

La Repubblica di Venezia ha da sempre dovuto fare i conti con il precario equilibrio tra terra e mare. Una sola certezza: salvaguardare la laguna ha significato, nei secoli, salvare Venezia stessa, perché lo specchio d’acqua che separa la città dalla terraferma l’ha resa praticamente inespugnabile.
Certa dunque di non essere minacciata via terra, la Repubblica fu libera di allestire una potente flotta, che le permise di estendere il suo dominio sui mari fino al Mar Nero e all’Egeo.
L’unico pericolo che poteva venire dalla terraferma era rappresentato dai fiumi che sfociavano in laguna: il Brenta, il Sile e il Piave, le cui esondazioni vi trasportavano sabbia e altri detriti che col tempo, come è accaduto poi a Ravenna, rischiavano di trasformare la laguna in una pianura fangosa.
Nella sua Historia Langobardorum, una storia del popolo longobardo, scritta nell’abbazia di Montecassino fra il 787 e il 799, Paolo Diacono descrive gli effetti dell’esondazione dell’Adige e osserva che a causa di «un diluvio d’acqua [...] che si ritiene non ci fosse stato dal tempo di Noè, furono ridotti in rovina campagne e borghi, ci furono grosse perdite di vite umane e animali. Furono spazzati via i sentieri e distrutte le strade; il livello dell’Adige salì fino a raggiungere le finestre superiori della basilica di San Zeno martire, che si trova fuori le mura della città di Verona [...]. Anche una parte delle mura della stessa città di Verona fu distrutta dall’inondazione».1
Preoccupato che qualcosa di simile potesse accadere a Venezia, il Senato della Repubblica il 16 febbraio del 1330 promulgò una legge per la conservazione della laguna. Il problema più urgente erano il Brenta e il suo delta; il fiume scaricava in laguna grandi quantità di detriti, ostruendo i canali e inibendo la navigazione. Nel 1336 iniziarono gli interventi e venne scavato un canale per deviare le acque dal corso originale così che sfociasse lontano da Venezia. Tre anni più tardi venne poi realizzata la prima grande opera: un lunghissimo argine che aveva il compito di sbarrare la foce del Brenta, dei suoi alvei e di altri corsi d’acqua, convogliare in un canale artificiale le acque e spostare in questo modo a ovest la nuova foce del fiume.
Questi primi interventi però non furono risolutivi per il problema dei detriti, i canali spesso si ostruivano e l’acqua esondava ritornando in laguna. Poiché «i progetti dei secoli precedenti non davano sufficiente garanzia, il Maggior Consiglio diede ordine a Gianluigi Gallesi, nel 1604, di sistemare definitivamente il problema Brenta. L’architetto si mise subito all’opera e il suo progetto vide la luce nove anni dopo, nel 1613, quando venne inaugurato il Taglio Nuovo del Musone. L’intervento seguiva la vecchia politica della divisione dei fiumi per ridurne la forza e l’impeto, e questa volta non fu da meno. Vennero creati il Muson Vecchio e il Muson dei Sassi e le loro acque convogliate nel Brenta. A Mira, dove avveniva la confluenza tra i tre fiumi, venne costruito un nuovo canale, che portava le acque fino a Chioggia. Lo stesso procedimento venne utilizzato per il Piave. L’architetto nominato fu Sebastiano Benoti. Nel 1642 venne costruito un grande Argine de Intestadura, nelle vicinanze di Musile, con un canale che spostava la foce ancora più a nord. Il sistema non durò molto, ebbe un grosso problema nel 1683 e questo fece decidere per un ulteriore intervento che, oltre al Piave, allontanò pure il Sile dalla laguna. Fu così che Brenta, Adige, Piave e Sile vennero definitivamente dirottati verso il mare aperto lasciando così intatta la laguna. Senza questi interventi poderosi e assai invasivi, Venezia sarebbe stata sepolta dai detriti naturali e oggi sarebbe una comunissima città di terra. Invece il governo della Serenissima investì una fortuna nella tutela della laguna, cambiando il corso dei fiumi e costruendo canali. È grazie a queste opere, costosissime per l’epoca (anche per la loro manutenzione), che Venezia come oggi la conosciamo sopravvisse nella sua straordinaria e unica bellezza».2
Indro Montanelli considerò il salvataggio della laguna un’impresa non inferiore, per dimensioni e portata, allo scavo del canale di Panama: «Quel miracolo fu dovuto in parti uguali all’abnegazione del popolo, alla sagacia dei governanti e alla coscienza di una burocrazia che per il proprio dovere sapeva rischiare non soltanto il “posto” ma la pelle (i veneziani di allora erano gente seria e avevano la forca facile)».3
Nel 1817 lo storico Jacopo Filiasi scrisse che i lavori per deviare il corso del Piave erano durati vent’anni e costati 800.000 ducati,4 uno sforzo economico enorme per l’epoca. È quindi possibile azzardare, seppure in maniera molto indicativa, un confronto tra l’investimento effettuato dalla Repubblica di Venezia secoli fa e quello dei governi italiani degli ultimi quarant’anni per realizzare il MoSE: allora si trattava di difendere la laguna dai pericoli che provenivano dalla terraferma, oggi dalle insidie del mare. Un utile strumento di paragone è il salario di maestri e lavoranti della Scuola di San Rocco. Lo storico Brian Pullan, nel suo articolo Wage-earners and the Venetian Economy, 1530-1630, afferma che nel 1630 i maestri avevano un salario annuale di 126 ducati, mentre i lavoratori si fermavano a 87.5 Ne consegue che il costo per la deviazione del Piave rappresentò circa 9125 anni di lavoro di un lavorante della Scuola di San Rocco nel 1630.
Ora spostiamoci ai giorni nostri: il reddito medio di un operaio è di 23.000 euro lordi l’anno. La spesa definitiva per la costruzione del MoSE, che attualmente ammonta a 6,4 miliardi di euro circa, equivale a quasi 280.000 anni di lavoro di un lavoratore dell’industria. Questo confronto, seppur con tutti i limiti del caso, dimostra come i lavori per la costruzione delle dighe mobili siano costati oltre trenta volte la monumentale deviazione del fiume Piave di cinque secoli fa.
Un altro metro di paragone può essere il reddito pro capite. Luciano Pezzolo, professore di Storia a Ca’ Foscari, ipotizza che nella Repubblica di Venezia del 1670 si aggirasse intorno ai 40 ducati l’anno.6 Utilizzando questo parametro la deviazione del Piave sarebbe costata l’equivalente del reddito annuo medio di 20.000 cittadini veneziani. Posto che il reddito medio oggi si aggira sui 21.000 euro, la costruzione del MoSE rappresenta una spesa corrispondente al reddito annuo medio di un numero di cittadini oltre dieci volte maggiore: quasi 305.000. Come si può vedere, anche utilizzando criteri diversi, le dighe risultano essere un investimento molto più oneroso della deviazione di un fiume avvenuta secoli fa.
Da questi episodi della storia della città si traggono due insegnamenti. Primo: la laguna è un ambiente naturale molto delicato, senza le grandi opere della Repubblica, Venezia, come la conosciamo, non esisterebbe, come non esiste più la Ravenna immersa nell’acqua di epoca romana. Sarebbe probabilmente una città come Treviso, lontana dal mare. E non basta evitare che la laguna si riempia di detriti: occorre far sì che resti viva, e ciò è possibile se l’acqua affluisce e poi defluisce nel mare. E questo la Repubblica lo aveva capito molto bene. Il secondo insegnamento è più una curiosità: come fece l’architetto Gallesi in soli nove anni – e con i mezzi dei primi decenni del Seicento – a deviare un fiume delle dimensioni del Brenta, spostandone la foce fino a Chioggia? Con quali risorse economiche, con quali tecniche di aggiudicazione degli appalti, con quale sistema di controlli da parte della Repubblica?

Come la Serenissima sconfisse la peste

A metà del XIV secolo, attraverso le vie carovaniere e navali, la peste fece il suo ingresso in laguna proveniente dalla colonia genovese di Kaffa (l’odierna Feodosia), in Crimea, che era assediata dai tartari. L’epidemia era giunta dalla Mongolia lungo la via della Seta e si era diffusa tra gli assedianti che avevano poi gettato con le catapulte all’interno delle mura alcuni cadaveri di appestati.
Fuggiti per mare, i coloni intrapresero un’odissea fino al porto di Messina. La città dello Stretto li lasciò sbarcare, ma ben presto il morbo cominciò a fare vittime anche lì. Allontanati dalla Sicilia, i superstiti fecero rotta verso Genova, ma la loro stessa città li respinse. Marsiglia, invece, concesse loro ospitalità e in breve tempo la peste fece il suo ingresso a Venezia dove i morti, su un totale di 110.000 abitanti circa, furono, a seconda delle stime, fra 38.000 e 70.000.7
La provenienza del contagio fu evidente, così come la sua diffusione, avvenuta per il tramite di mercanti e marinai che avevano contratto la malattia. In un primo tempo come unico rimedio venne utilizzato la fuga dalle città. «Ogni rapporto umano e ogni relazione sociale furono stravolti dal terrore, che minò la stabilità socio-economica e gli equilibri politici» ha scritto Nelli-Elena Vanzan Marchini, presidente del Centro italiano di Storia sanitaria e ospedaliera del Veneto. Processioni, fiere, mercati e riti pubblici furono sospesi, in quanto occasioni di contagio. Si inchiodarono le porte delle case degli appestati e si chiusero interi quartieri.
Tra il XIV e il XV secolo, l’epidemia di peste si ripresentò in più occasioni. Nel 1423, dopo che in tre mesi si raggiunsero i quaranta decessi al giorno, il Senato decise di blindare i confini, bloccando l’ingresso a forestieri e mercanti provenienti dai territori contagiati. I capitani di nave avevano l’obbligo di denunciare i malati, pena sei mesi di carcere, 100 lire di multa e cinque anni di sospensione dalla carica, e fu stabilito il divieto di accogliere gli infetti. Ma, soprattutto, fu creato il primo lazzaretto della storia: una struttura ospedaliera pubblica ad alto isolamento sull’isola periferica di Santa Maria di Nazareth, al quale ne seguì nel 1468, un secondo detto «Nuovo», in cui venivano tenuti, per un periodo di contumacia, sia i guariti sia quanti erano entrati in contatto con luoghi e persone infette.
In questa fase venne anche creata la cosiddetta «polizia sanitaria marittima» che obbligava le imbarcazioni sospette di avere a bordo dei malati a ormeggiarsi nei canali di Fisolo e Spignon, tra la bocca di porto di Malamocco e l’isola di Poveglia, mentre gli infetti erano costretti a una quarantena (veneziano per quarantina) di giorni nell’isola di Santa Maria di Nazareth.
Per la gestione dei due lazzaretti fu creato, nel 1486, un organo apposito, il Magistrato alla Sanità – composto da tre patrizi eletti ogni anno, un ufficio tecnico, un protomedico e un braccio armato – che monitorava l’andamento dei flussi epidemici attraverso una rete di diplomatici e le sue «spie di sanità».
In una città come Venezia, infatti, non era semplice raccogliere in maniera tempestiva le informazioni su tutti i casi sospetti, perciò si incoraggiavano le denunce segrete, firmate e convalidate da due o più testimoni, che in un primo momento venivano infilate sotto la porta della sede del Magistrato, poi imbucate in apposite caselle. Già dal Trecento per le strade di Venezia e sulla terraferma erano state poste le cosiddette «bocche di leone», bassorilievi raffiguranti il muso dell’animale allegorico dove si inserivano le lettere. Il denunciante, la cui identità rimaneva segreta, veniva ricompensato con una percentuale sulla sanzione pecuniaria che il reo era chiamato a corrispondere. In rari casi si accettavano anche denuncie orbe, cioè anonime, come quella che nel 1576 smascherò alcuni ministri del lazzaretto che facevano uscire e vendevano oggetti dei ricoverati, e dunque potenziali veicoli di trasmissione dell’infezione, mettendo in pericolo la salute dei cittadini.
La rete di controlli messa in atto dalla Serenissima assurse a modello, per altri Stati, nella prevenzione del contagio epidemico. Ad esempio il Magistrato alla Sanità inviò alcuni suoi uomini per verificare l’insorgere dell’epidemia a Salisburgo nel 1553, a Mantova e a Trento nel 1576 e a Marsiglia nel 1720, prima che la pandemia dilagasse in tutta la Provenza. Queste operazioni, che oggi definiremmo «di intelligence», avevano lo scopo di bloccare preventivamente le vie di terra e di mare e isolare i focolai dell’infezione. Ne è la prova il fatto che dal 1630 la peste, pur continuando a flagellare fino al XIX secolo i Paesi con cui Venezia intratteneva rapporti commerciali, non fece più la sua comparsa in laguna.
In conclusione, il controllo della peste mediante misure atte a prevenire il contagio fu introdotto in Italia, e segnatamente a Milano e a Veneiza, nel XV secolo, prima che nell’Europa del Nord, dove queste misure vennero introdotte nel secolo successivo.8

La terra sfida il mare

Ai tempi della Repubblica, come ai giorni nostri, in laguna si scontravano forti interessi sociali ed economici. Da una parte il «partito della mercatura», che, come spiega il professor Luigi D’Alpaos, vedeva nella tradizione marinara e nel commercio per mare il futuro della Repubblica. Dall’altra il «partito degli agrari», che esaltava il ruolo dell’agricoltura come decisivo per il destino di Venezia, grazie alla conquista di nuove terre da bonificare e coltivare, in modo da rendere maggiormente autonoma la Repubblica soprattutto dal punto di vista alimentare. «Non va da ultimo sottaciuto» continua D’Alpaos «che le opere della bonifica si prestavano a facili operazioni speculative da parte della ricca aristocrazia veneziana, soprattutto per il massiccio afflusso di danaro pubblico che poteva essere convogliato sugli interventi volti a redimere le terre paludose dalle acque. La storia racconta che vinsero le ragioni del mare su quelle del “retrazar”, cioè della bonifica.»9
Il regolamento delle acque della laguna era materia talmente centrale per gli equilibri economici e politici della Repubblica che, nel 1505, si ritenne necessario istituire un Collegio solenne cui affidare tutte le decisioni. Nacque così il primo Magistrato alle Acque, un organo con una forte autonomia e rigide regole per impedire eventuali conflitti d’interesse, che aveva competenza sulla manutenzione delle acque lagunari e dei fiumi che vi sfociavano. Lo storico Piero Bevilacqua spiega che «una delle singolari prerogative del Collegio solenne sopra le acque fu la facoltà di eleggersi i membri che di volta in volta erano chiamati a dirigerlo, a testimonianza del potere assegnato a tale Magistrato e della relativa indipendenza operativa di cui esso godeva all’interno delle istituzioni veneziane». Si ritenevano così importanti l’indipendenza e l’assoluta autonomia di giudizio del Magistrato «che a comporlo furono dichiarati inabili tutti i nobili che possiedono beni, che possano anteporre il proprio al pubblico bene». Il 22 aprile 1527, al fine di mantenere costantemente distinto il «pubblico servizio» dall’interesse privato, venne deliberato di scegliere tra i membri del Senato tre nobili con il compito di sostituire i provveditori nel caso questi avessero «beni, o padre, figlioli, fratelli, suoceri, generi, germani et cuginati [...] che fussero interessati nel Retrato (consorzio) che si facesse».10
Un sistema ferreo, quello del Cinquecento, disegnato per evitare possibili conflitti d’interesse, che dimostra come la salvaguardia della laguna fosse un tema centrale nelle politiche della Repubblica, da affrontare al riparo dalle pressioni delle lobby economiche che esistevano anche all’epoca. Con una particolarità decisiva: per chi «sgarrava» la sanzione era immediata. «Le varie magistrature inventate dai veneziani nel corso dei secoli» aggiunge Bevilacqua «sono organismi particolari di controllo e di indirizzo improntati, nel loro funzionamento, a quel criterio di collegialità e temporaneità delle cariche che costituisce un e...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Salvare Venezia
  4. Premessa
  5. 1. Come la Serenissima salvò Venezia
  6. 2. Come nasce un monopolio
  7. 3. Il MoSE nella Seconda Repubblica
  8. 4. Il malaffare: la violazione delle regole
  9. 5. Alla radice del male
  10. 6. Tutti i miliardi gettati al vento
  11. 7. La «retata storica» e il tempo perduto
  12. Conclusione. Quale futuro per Venezia dopo l’aqua granda del 2019 e la pandemia del 2020?
  13. Appendice. I sommersi e i salvati
  14. Note
  15. Copyright