Tutto ciò che conta
eBook - ePub

Tutto ciò che conta

  1. 222 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Tutto ciò che conta

Informazioni su questo libro

Quando il critico cinematografico Gene Siskel le chiese: "Di cosa sei assolutamente sicura?", Oprah Winfrey decise di cogliere l'occasione per "fare il punto sulla sua vita", inaugurando la rubrica da cui nasce questo libro sulla sua rivista "O, The Oprah Magazine". Da allora l'ha scritta una volta al mese per quattordici anni. Nel frattempo ha lasciato il talk show che l'ha resa celebre (il programma di intrattenimento più premiato nella storia) e lanciato la sua rete televisiva, diventando la prima miliardaria nera d'America; ha ricevuto una laurea honoris causa dall'università di Harvard e la Medaglia presidenziale della libertà da Barack Obama; ha visto amici e colleghi allontanarsi o restarle accanto, ha perduto i suoi adorati animali e ne ha adottati di nuovi, ha festeggiato compleanni spartiacque. Tutto ciò non le ha impedito di continuare a dispensare parole profonde e ispiratrici per i suoi lettori. Ora, per la prima volta, queste perle di saggezza sono state riviste, aggiornate e raccolte dalla loro autrice in questo libro ricco di intuizioni e rivelazioni, i cui capitoli parlano di gioia, resilienza, legami, gratitudine, possibilità, stupore e potere, che ci consente di comprendere il pensiero di una delle donne più straordinarie del mondo. Schiette, commoventi ed elettrizzanti, le parole di Oprah brillano di quel genere di umanità e verità a cui i lettori continueranno ad attingere sfogliando e risfogliando le pagine di questo libro.

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Informazioni

Editore
RIZZOLI
Anno
2014
Print ISBN
9788817078443
eBook ISBN
9788858672730

POTERE

«Più sai, meglio fai.»

– Maya Angelou





greca
Ogni volta che ascolto la canzone di Paul Simon Born at the Right Time penso che stia parlando di me. Sono nata nel 1954 nel Mississippi – lo Stato dell’Unione con il numero più alto di linciaggi – in un’epoca in cui un nero che camminava per strada pensando ai fatti suoi poteva subire qualsiasi accusa per il semplice ghiribizzo di un bianco. Un’epoca in cui avere un buon posto significava lavorare per una «brava» famiglia bianca che si rivolgeva a te evitando di chiamarti «negra». Un’epoca in cui erano in vigore le leggi Jim Crow che sancivano la segregazione razziale e gli insegnanti neri, loro stessi poco istruiti, erano costretti a usare libri di testo ormai logori, scartati dalle scuole dei bianchi.
Tuttavia l’anno stesso della mia nascita segnò l’inizio di una stagione di cambiamenti. Nel 1954 la Corte suprema deliberò nel caso Brown vs. Board of Education che la popolazione di colore aveva diritto a una istruzione pari a quella dei bianchi, una decisione che suscitò la speranza di una vita migliore per i neri.
Ho sempre creduto che il libero arbitrio sia un diritto di nascita e faccia parte del progetto che l’universo ha per noi. E so che ogni uomo desidera essere libero. Nel 1997, mentre mi preparavo a interpretare il ruolo di Sethe nel film Beloved, organizzai un viaggio lungo un tratto della Underground Railroad. Volevo capire cosa si prova a essere uno schiavo che vaga per i boschi puntando verso nord, verso una vita senza schiavitù, una vita dove essere liberi, senza un padrone che ti dice cosa fare. Ma quando fui bendata, portata nel bosco e lasciata sola a riflettere su quale direzione prendere per raggiungere la più vicina «casa sicura», capii per la prima volta che la libertà non è non avere un padrone. La libertà è avere una scelta.
Nel film, Sethe spiega cosa aveva provato a fare quel viaggio verso la libertà: «Sembrava che amassi di più [i miei bambini] dopo essere arrivati qui» disse. «O forse sapevo che in Kentucky… non erano veramente miei per amarli… A volte sento i miei ragazzi, li sento ridere, una risata che là non avevo mai udito. Prima mi spavento, ho paura che qualcuno li possa sentire e arrabbiarsi. Poi mi ricordo che se ridono finché fa male, quello sarà l’unico male che sentiranno in tutto il giorno.» Dice anche: «La mattina mi sveglio e scelgo io cosa fare di quella giornata», come se pensasse: «Pensa, io che scelgo».
Durante le riprese ripetevo senza sosta quelle battute e percepivo la loro forza. Da allora ne gioisco ogni giorno. A volte sono il mio primo pensiero appena sveglia. Posso alzarmi la mattina e decidere da me cosa fare di quel giorno – pensa, decido io. Che immenso dono!
Tutti noi dobbiamo aver caro quel dono, e goderne piuttosto che darlo per scontato. Dopo aver sentito centinaia di storie di atrocità commesse in tutto il mondo, so che se nasci donna negli Stati Uniti sei una delle donne più fortunate al mondo. Cogli la tua buona sorte ed eleva la tua vita alle altezze cui sei chiamata. Comprendi che il diritto di scegliere la tua strada è un privilegio sacro. Usalo. Sfrutta questa possibilità.
greca
Sono sempre stata un tipo casalingo. So che può sembrare difficile da credere, visti i miei impegni, ma di solito torno a casa subito dopo il lavoro, termino di cenare prima delle sette e per le nove e mezzo sono già a letto. Perfino nei weekend, casa mia è il mio rifugio preferito. Avendo trascorso la maggior parte della mia vita adulta in una posizione di notorietà, per me è importante ritagliarmi uno spazio privato. Un nido. Un approdo sicuro.
Anni fa, Goldie Hawn mi raccontò che si era creata il suo personale porto sicuro dichiarando casa sua zona franca da pettegolezzi. Lei e la sua famiglia si impegnarono a sostituire le parole che sminuiscono e provocano danni con altre che infondono coraggio e hanno una valenza costruttiva, nel quadro del suo lavoro per Words Can Heal, una campagna nazionale che aveva l’obiettivo di eliminare la violenza verbale. La scelta di usare un linguaggio che elevi è in linea con una verità che mi trasmise Maya Angelou: «Sono convinta che la negatività è potente, e se le permetti di infilarsi in casa tua, nella tua mente, nella tua vita, può prendere il sopravvento su di te» disse. «Le parole negative intaccano porte, scale, mobili e, prima che te ne accorga, te le trovi sulla pelle. Una dichiarazione negativa è veleno.»
So per averlo provato su di me quanto possano ferire le parole negative. All’inizio della mia carriera, quando i tabloid iniziarono a pubblicare menzogne sul mio conto, ero distrutta. Mi sentivo così incompresa. E sprecai un sacco di energia a preoccuparmi se la gente avrebbe creduto a quelle falsità. Dovevo combattere l’impulso di alzare la cornetta e chiamare ogni persona che malignava su di me per difendermi.
Questo fu prima che capissi ciò che adesso so per certo: se qualcuno diffonde menzogne sul tuo conto, la cosa non riguarda te. Mai. Il pettegolezzo – che sia una diceria che dilaga per l’intera nazione oppure una semplice chiacchiera tra amiche – riflette l’insicurezza della persona da cui viene. Spesso, quando parliamo male dietro le spalle degli altri, è perché vogliamo sentirci potenti – e questo accade di solito perché ci sentiamo impotenti, privi di valore, non abbastanza coraggiosi per essere espliciti.
Le parole che feriscono trasmettono il messaggio, a noi e a quelli con cui le condividiamo, che non siamo affidabili. Se una persona è disposta a criticare un «amico» perché non dovrebbe fare lo stesso con un altro? Spettegolare vuol dire che non abbiamo abbastanza fegato per parlare a viso aperto con la gente con cui siamo in disaccordo, così la sminuiamo. L’autore teatrale Jules Feiffer lo chiama «commettere piccoli assassini»: il pettegolezzo è un tentato omicidio da parte di un codardo.
Viviamo in una cultura ossessionata dal pettegolezzo: chi indossa cosa, chi esce con chi, chi è coinvolto nell’ultimo scandalo sessuale. Che cosa accadrebbe se dichiarassimo le nostre case zone franche da pettegolezzi? Probabilmente saremmo sorpresi di quanto tempo ci si libererebbe per dedicarci all’occupazione più importante di tutte: realizzare i nostri sogni invece di distruggere quelli altrui. Riempiremmo le nostre case con uno spirito di verità che invoglierebbe gli ospiti a mettersi comodi e fermarsi per un po’. E ci ricorderemmo che le parole hanno sì il potere di distruggere, ma anche quello di guarire.
greca
Alcuni potrebbero trovare bizzarro che io non sia mai stata una patita della televisione. A parte le repliche di vecchi spettacoli, per esempio l’Andy Griffith Show, ho smesso di sintonizzarmi regolarmente sulle sitcom la sera in cui Mary Tyler Moore terminò la serie omonima. A casa salto l’ultimo telegiornale perché non voglio assorbire energia negativa prima di dormire e in vacanza ho di rado il televisore in camera. Nei giorni in cui faccio una carrellata dei programmi, è quasi certo che m’imbatta almeno in uno in cui si parla di sfruttamento sessuale o violenza contro le donne.
Agli albori della mia carriera televisiva, ero colpevole di fare televisione in modo irresponsabile senza nemmeno saperlo – in nome dell’«intrattenimento». Un giorno il mio staff e io ospitammo un uomo coinvolto in uno scandalo sessuale e la moglie venne a sapere che il marito la tradiva proprio lì, sul nostro palco, davanti a milioni di spettatori. Non dimenticherò mai quel momento: l’umiliazione e la disperazione dipinte sul volto di quella donna mi fecero vergognare di me stessa per averla messa in quella situazione. Esattamente lì, in quel preciso istante, decisi che non avrei più partecipato a uno spettacolo che umilia, imbarazza o sminuisce un altro essere umano.
So per certo che ciò su cui indugiamo è quello che diventiamo: come una donna pensa, così diventa. Se assorbiamo ora dopo ora immagini e messaggi che non riflettono la nostra magnificenza, non c’è da stupirsi che ci sentiamo prosciugate della nostra forza vitale. Se sintonizziamo il televisore su decine di atti di violenza alla settimana non dovrebbe sorprenderci che i nostri bambini considerino la violenza un modo accettabile per risolvere i conflitti.
Il principio in base al quale ho deciso di vivere è questo: diventa il cambiamento che vuoi vedere. Invece di sminuire, esalta. Invece di demolire, edifica. Invece di indurre in errore, illumina il cammino così che tutti noi possiamo elevarci.
greca
Quinta ora, lezione di algebra con Mr. Hooper: eccomi lì, terrorizzata davanti al compito in classe, quando un annuncio all’interfono invita tutti nell’aula magna. C’è un ospite speciale. Evviiiva! Sono salva! dico a me stessa, immaginando che per quel giorno con l’algebra sia finita.
Mentre con i miei compagni entro in fila indiana nella sala, lo scampato pericolo è l’unica cosa che occupa la mia mente. Prendo posto e mi preparo a cadere addormentata dalla noia quando viene annunciato il nome dell’oratore: è Jessie Jackson, il leader dei diritti civili che era con Martin Luther King il giorno in cui gli hanno sparato. Mi raddrizzo un po’ sulla sedia. Quello che non so ancora, tuttavia, è che sto per ascoltare il discorso della mia vita.
Correva l’anno 1969 e siccome ero una studentessa con ottimi voti pensavo di aver ormai capito l’importanza di dare il meglio. Ma quel giorno, il reverendo Jackson accese in me un fuoco che cambiò la mia visione della vita. Il suo discorso verteva sui sacrifici personali che erano stati fatti per noi, indipendentemente dalla sorte dei nostri antenati. Parlò di coloro che ci avevano preceduto preparandoci la strada per farci sedere in una scuola superiore integrata a Nashville. Ci disse che dovevamo a noi stessi l’eccellenza.
«L’eccellenza è il miglior deterrente nei confronti del razzismo» disse. «Dunque siate eccellenti.»
Lo presi in parola. Quella sera andai a casa, mi procurai del cartoncino e preparai un poster con le sue parole di sfida. Lo attaccai con il nastro adesivo al mio specchio, dove rimase poi per tutti gli anni del college. Col tempo vi aggiunsi massime mie: «Se vuoi ottenere il successo, sii eccellente». «Se vuoi il meglio che il mondo ha da offrire, offri al mondo il meglio di te.»
Queste parole mi hanno aiutato a superare molte difficoltà, comprese situazioni in cui non emergeva proprio la parte migliore di me. L’eccellenza è tuttora il mio obiettivo. Essere eccellente nel donare. Nella benevolenza. Negli impegni. Nella lotta e nelle liti. Per me, essere eccellente significa fare sempre del mio meglio. Nel libro di Don Miguel Ruiz, La via dei quattro accordi, l’accordo finale è: fai sempre del tuo meglio. So per certo che questa è la via più gratificante alla libertà personale. Il vostro meglio varia da un giorno all’altro, dice Ruiz, a seconda di come vi sentite. Non importa. Date il meglio di voi stessi in ogni circostanza, così non avrete motivo di giudicarvi e provare sensi di colpa e vergogna. Vivete in modo da poter dire a fine giornata: «Ho fatto del mio meglio». Questo significa eccellere nel grande compito di vivere la vita al meglio.
greca
Mio padre mi ha cresciuta nella convinzione che avere debiti era una cosa terribile. In casa nostra era quasi un difetto del carattere, affine alla pigrizia e a ciò che lui chiamava «perdersi in frivolezze».
Così, quando me ne andai da casa e per un anno ebbi un debito di 1800 dollari, mi sentii una fallita. Non lo dissi mai a mio padre né avrei osato chiedergli in prestito del denaro. Stipulai invece un mutuo al ventuno per cento d’interesse, mangiai solo pane alle uvette per cena e comprai la macchina più economica che trovai – la chiamavo «il catorcio» ma mi portava avanti e indietro dal lavoro. Versavo il dieci per cento alla Chiesa e facevo shopping una volta all’anno.
Estinsi il mio debito e giurai che non ne avrei mai più fatti. Odiavo spendere più di quanto potevo. Mio papà risparmiava per tutte le cose importanti: una lavasciuga, un frigorifero nuovo… Quando lasciai la casa di Nashville, nel 1976, non aveva ancora un televisore nuovo. Diceva di non avere «soldi per quello». Quando l’Oprah Winfrey Show fu trasmesso su una rete nazionale la prima cosa che gli comprai fu un apparecchio a colori. Pagato in contanti.
Perché scegliere di vivere una vita di debiti? Per me è sempre stato un enigma. Non dimenticherò mai quei coniugi che vennero nel mio show per parlare della loro situazione finanziaria. Erano sposati da soli nove mesi, ma il loro rapporto stava già vacillando sotto il peso di un enorme conto in sospeso. Dovevano ancora pagare gran parte delle spese per il matrimonio, celebrato su una spiaggia in Messico: aragosta e filetto per il pranzo di nozze, open bar, stanze d’albergo e trattamenti al centro benessere per alcuni degli ospiti. In più c’erano gli estratti conto delle carte di credito: 50.000 dollari. Dal pacchetto erano esclusi 9000 dollari che il marito si era fatto anticipare sul suo piano di risparmio pensionistico per l’anello di fidanzamento. Quel weekend da favola era finito in un incubo che durò per anni.
Ciò che so per certo è che se voi definite voi stessi in base alle cose che potete comprare invece di distinguere cosa vi serve per essere veramente felici e appagati, non state solo vivendo al di sopra dei vostri mezzi o sovraesponendovi finanziariamente. State vivendo una menzogna.
Ecco perché essere carichi di debiti fa stare così male. State mentendo a voi stessi. ...

Indice dei contenuti

  1. Cover
  2. Frontespizio
  3. Copyright
  4. Introduzione
  5. Gioia
  6. Resilienza
  7. Legami
  8. Gratitudine
  9. Possibilità
  10. Stupore
  11. Chiarezza
  12. Potere