CAPITOLO CINQUE
Marc scoprì la loro destinazione due ore dopo; aveva perso il conto di quanti cambi di direzione lei gli aveva imposto.
Erano nel Quartiere Latino, poco lontano da dove erano partiti, ma Julie era diversa: il trench rosso, ben ripiegato, era finito in una sportina di tela tolta dalla borsa di Patricia. I capelli biondo miele erano nascosti in un berretto e le Louboutin erano state sostituite da un paio di ballerine che aveva infilato al Luxembourg tenendosi in bilico su una gamba sola, anche quelle uscite dalla borsa di Patricia! Una giacca impermeabile gialla copriva il vestito nero.
Si era trasformata poco alla volta, non era più una signora alla moda ma una giovane turista o forse una bella parigina colta alla sprovvista da qualche goccia di pioggia.
Marc aveva assistito senza commenti, gli era sembrato di scivolare a poco a poco in una delle sue storie mozzafiato. Di una cosa era certo: lei gli piaceva molto in tutte le sue trasformazioni. Da tanto tempo non si sentiva così bene.
Julie si fermò davanti a un portone stretto fra una panetteria e un rivenditore di libri usati. «Ultimo piano, senza ascensore. Pensi di farcela?»
«Direi di sì, non sono così arrugginito!» Se fosse stato necessario, l’avrebbe portata anche in spalla. O fra le braccia, come un dono prezioso…
«Ho notato, hai una discreta resistenza per essere uno che passa il tempo sui libri. Adesso valuterò meglio le tue doti nascoste. Be’, non sempre nascoste» concluse con un’occhiata maliziosa.
Lui fece il gesto di prenderla, ma lei stava già correndo su per le ripide scale. La seguì fino all’ultimo piano.
La vide sollevare il vestito nero attillato. Le autoreggenti di seta si erano smagliate in qualche punto, tuttavia sottolineavano gambe lunghe da gazzella. Poi armeggiò nel reggiseno e ne estrasse una chiave, che usò per aprire l’uscio.
La sentì commentare che la teneva sempre con sé e quello era un posto abbastanza sicuro. Donna previdente e organizzata.
Lei entrò e gli tenne la porta aperta. «Non è una meraviglia, ma è mia.»
Marc le posò le mani sui fianchi. «Ti voglio.»
Lei si scostò e lo fissò negli occhi come se aspettasse qualcosa che non le aveva ancora detto.
«Ti voglio, Julie.»
Lei sorrise. Sì, voleva che la chiamasse con il suo vero nome.
«Julie. Julie. Un nome bellissimo. Tu sei bellissima.»
Lei tese una mano, chiuse la porta e mise il ferro morto. Poi gli si accostò e gli passò le braccia attorno alle spalle, sollevandosi sulle punte per baciarlo. Mentre lo baciava iniziò a togliergli la giacca e a sfilargli la camicia, mentre lui abbassava la lampo del vestito nero e glielo faceva scivolare giù.
Il suo corpo era come Marc l’aveva immaginato, la pelle era sottile e morbida. Le sganciò il reggiseno e finalmente riuscì a toccarle i seni piccoli e alti, con i capezzoli già turgidi.
Le abbassò il tanga mentre lei armeggiava con i suoi pantaloni.
Finalmente furono liberi dall’impaccio dei vestiti. Avevano fretta.
Julie quasi lo spinse verso il letto poco lontano e lo attirò sopra di sé.
Marc la toccò e capì che era già pronta; avrebbe voluto procedere lentamente, ma non riuscì a trattenersi ed entrò in lei immediatamente, mentre le sue gambe gli circondavano i fianchi per tenerlo stretto a sé.
La sentì dire qualcosa, incitarlo, anche gridare. A letto non era silenziosa come fuori. Era eccitante fare l’amore con una donna partecipe e lui si lasciò andare come non gli accadeva da tempo. Poi ci fu solo il ritmo dei loro corpi.
Marc riaprì gli occhi e incrociò lo sguardo sorridente di Julie. «Mi sono addormentato.»
Quello era il suo guaio, gli capitava quasi sempre, dopo aver fatto sesso. Patricia diceva che era disgustoso. Così finiva per controllarsi mentre facevano l’amore e dopo riusciva a stare con gli occhi aperti.
«Due minuti d’orologio, mi è piaciuto guardarti dormire. Sorridevi soddisfatto, segno che ti è piaciuto.»
«E a te?»
Lei gli diede un pugno scherzoso sulla spalla. «Sono pronta a ricominciare, io!»
«Io no, non sono un supereroe, ho i miei tempi.» Le afferrò il polso. «Ma potremmo aspettare insieme. Di cose interessanti se ne possono fare.»
«Tutti i preliminari che abbiamo saltato?»
«Tutti quelli che riusciremo prima che la faccenda ci sfugga di mano.»
«Perfetto. Si capisce che sei uno scrittore, usi le parole giuste. E una cosa così come la chiameresti?» mormorò lei sfiorandogli il torace con un dito, scivolando lentamente verso il basso.
«Direi che è il modo migliore per ingannare l’attesa. Ma non impegnarti troppo, ora vorrei assaggiarti un po’.» Si chinò e cominciò a solleticarle i capezzoli con le labbra.
Julie sentì ondate di calore e di piacere correrle fino al ventre e poi diramarsi ovunque mentre lui le mordicchiava i capezzoli.
Conosceva quel giochetto, le era sempre piaciuto, ma non l’aveva mai sciolta come burro alla fiamma. Avrebbe voluto fingersi impassibile, almeno per scherzo, eppure il suo corpo non le ubbidiva più. Ecco, ora sentiva l’impulso di parlare, di incitarlo.
Si strinse il labbro inferiore fra i denti, decisa, per una volta, a non sembrare una sirena della Gendarmerie.
Quel gesto e il suo improvviso irrigidirsi lo incuriosirono. Marc alzò gli occhi e le chiese cosa c’era. «Sono stato troppo brusco? Non ti piace?»
«Mi piace, eccome. Ma lo so, ora comincerò a gridare.»
«Mi piaci quando gridi.» Ricominciò la sua esplorazione. «Io mi addormento e tu gridi.»
Scese lambendole la pelle vellutata fino all’ombelico, che curò con particolare attenzione. Poi arrivò più giù, al sesso ancora turgido per l’amplesso di poco prima. La baciò sempre più in profondità , mentre lei inarcava il bacino per accoglierlo meglio.
La sentì sussultare, le sollevò i fianchi posandole le mani sulle natiche e la sistemò cavalcioni su di sé.
Julie iniziò a gridare parole senza senso.
Quella sì che era una donna e non un manichino! Fu l’ultimo pensiero cosciente prima che tutto svanisse in un’ondata di piacere mentre entrava in lei.
Quando Marc riaprì gli occhi vide che Julie stava ancora dormendo rannicchiata contro di lui. Tirò su la trapunta per coprirsi e si guardò attorno, perché niente rivelava una persona più della casa in cui viveva.
Una mansarda tutta imbiancata, tranne nello spiovente sopra il letto a una piazza e mezza, dove c’era una tappezzeria un po’ consunta, azzurro scuro con nuvolette candide. In un angolo una minuscola cucina e alle pareti scaffali pieni di libri. Per gli abiti uno stand per grucce come quelli dei negozi, con sotto dei cestoni.
La stanza da bagno, come aveva verificato, era minuscola.
Da una delle due finestre si vedeva il cielo.
Patricia, che ignorava gli hotel inferiori a cinque stelle ed esigeva le suite, l’avrebbe classificata come una topaia, ma a lui piaceva, semplice ed essenziale.
«Hai finito di curiosare?»
La voce divertita di Julie lo riscosse. «Non volevo svegliarti» rispose stringendosela al fianco.
«Forse c’è polvere sotto il letto, controlla bene.»
Marc scoppiò a ridere. «Quello che c’è sopra mi piace molto.»
Lei alzò gli occhi verso il soffitto. «Ho imbiancato tutto perché era in pessimo stato, ma ho lasciato la vecchia tappezzeria sopra il letto, perché non era troppo rovinata. Sarò una stupida romantica, ma vedere al risveglio un cielo sereno con qualche nuvoletta mi dà una sensazione magnifica.»
«Hai ragione, hai fatto bene a lasciarla, ma quando parlavo di quello che c’è sopra al letto non mi riferivo alla tappezzeria!» Infilò una mano sotto la trapunta e cominciò a spiegarle cosa intendeva.
Dopo pochissimo la sentì reagire. Di solito fare sesso con una donna lo stancava presto. Ma anche lui ne aveva voglia di nuovo, temeva che ne avrebbe avuto sempre.
Marc la teneva stretta, gli piaceva sentirla contro di sé. Avrebbe voluto sapere tutto di lei, anzi no, avrebbe voluto scoprirla giorno per giorno. Si mosse appena per baciarle una spalla.
«Bella» le sussurrò mordicchiandola. «Sei da mangiare. Avevo desiderato farlo dalla prima volta che ti ho vista scoperta.» Fece una pausa. «Ero uscito dal bagno e tu ti eri spogliata.»
«Stavo controllando che la semiautomatica fosse carica. Avevo dimenticato di farlo, la tua presenza cominciava a distrarmi.»
Lui rimase qualche minuto in silenzio continuando ad accarezzarla pigro e soddisfatto, poi chiese: «Come mai hai scelto questo lavoro?».
«Dopo due anni nella Police sono stata assunta da Barrat.»
La risposta così evasiva lo incuriosì. «Perché?»
«Perché cosa?»
«Perché la scelta della Police e perché poi Barrat.»
«Due domande! Sei curioso? E se lo fossi anch’io?» replicò Julie. «Non rispondermi che sei un personaggio pubblico e si sa tutto di te.» Anche lei si era documentata su internet, non accontentandosi delle scarne informazioni avute da Barrat. «Se fossi curiosa dell’uomo?»
«Una domanda per uno? Come in una partita a scacchi. Ti andrebbe?»
Lei annuì. «La Police? Non avevo voglia di un lavoro sedentario. Non avevo spiccate attitudini per nulla, ho fatto domanda, ho superato le prove di ammissione e anche gli esami finali.»
«Ci sono molti lavori non sedentari, perché ...