CAPITOLO QUATTRO
I riflessi giallo-arancio del whiskey prendevano vita mentre Karen osservava le fiamme del camino attraverso il cristallo del bicchiere. Il dito di Bushmills che lui le aveva versato serviva giusto a scaldare il palato e ad accrescere la voglia di sentire ancora quel sapore di legno tostato che si appoggiava sulla lingua e si diffondeva nella gola con il suo aroma.
Un uomo sorprendente Tucker, diverso da qualsiasi cosa si aspettasse.
Non era bello.
I lineamenti erano duri, gli zigomi alti e squadrati e il mento volitivo, con una fossetta alla Kirk Douglas. La bocca aveva un taglio deciso, il labbro superiore sottile e netto che si ammorbidiva nel labbro inferiore carnoso, dandogli un’aria severa, ma condita di malizia.
Gli occhi colpivano subito. Grandi e un po’ infossati, con le sopracciglia folte e un caldo colore blu pervinca, dietro uno sbarramento di ciglia nere così lunghe da far dubitare fossero naturali. Uno sguardo che poteva indurti a fare ciò che voleva.
Il fisico, invece, era proprio da urlo. Si capiva che lo curava con attenzione.
Indossava una giacca color panna che esaltava l’ampiezza delle spalle e una camicia di un marrone brunito, che spariva dentro la cintura dei pantaloni. Vita e fianchi erano stretti, proprio come i canoni della forma maschile perfetta, celebrata da statue e ritratti.
Ma era la sua mente ad averla stupita davvero. La conversazione brillante, ironica, intelligente. Dimostrava un’attenzione acuta per quello che succedeva nel mondo e una visione aperta e non intrisa di grettezza e negatività.
E poi leggeva.
Praticamente un alieno, venuto sulla terra per far felici le donne di questo pianeta.
Karen ridacchiò tra sé.
“Se non fosse per quel piccolo particolare del lavoro, si potrebbe farci un pensierino” pensò.
Lui rientrò nella stanza in quel momento e si lasciò cadere al suo fianco sul divano.
«Grazie» gli disse, alzando il bicchiere dove del Bushmills ormai era rimasto solo il profumo.
Lui prese il suo dal tavolino e rispose al suo gesto. «Obbligato.»
Bevve un sorso di whiskey chiudendo gli occhi e lasciò passare qualche secondo prima di deglutirlo e farlo seguire da un sospiro di piacere puro.
«Non c’è niente che eguagli il sapore denso e torbato di un whiskey irlandese.» Karen si trovava d’accordo.
Tucker si girò verso di lei.
«Tutto bene?»
Quel tono basso e vibrante le ricordò tanto il gusto del whiskey che aveva appena finito.
«Sì» rispose, ma non era vero.
Stava lì seduta, rigida e impettita come se un burattinaio avesse tirato tutti i fili che la facevano muovere e li avesse annodati in un groviglio.
Il sorriso che le riservò era quello di qualcuno che non era convinto.
Allungò la mano e le accarezzò la guancia con un dito, spostando una ciocca dei suoi ricci indisciplinati dietro l’orecchio.
«Vediamo se riesco a farti stare meglio.»
Si avvicinò e la sfiorò prima con il suo alito caldo, e poi con le sue labbra che scorsero lungo il collo fino all’attaccatura della spalla.
«Hai un profumo buonissimo» le sussurrò, risalendo la strada già percorsa fino all’orecchio.
Karen rabbrividì senza però perdere un millimetro della tensione che la stava stritolando. Avrebbe voluto lasciarsi andare al calore del liquore appena bevuto e dell’uomo sensuale al suo fianco, ma non ci riusciva. Continuava a immaginarsi nuda su un letto con quello sconosciuto sopra di lei e si stava lentamente raggelando.
Come poteva pensare che con lui sarebbe stato diverso? Non aveva il coraggio di parlare con un uomo che conosceva.
E poi, pagarlo!
Qualcosa scattò dentro di lei e reagì d’istinto. Si scostò dal corpo di Tucker e si alzò in piedi di colpo, stringendosi le braccia intorno allo stomaco.
«Non ce la posso fare» disse in un mezzo sussurro. «Scusami.» Si guardò intorno per cercare le sue cose. Doveva andarsene, quell’idea era una follia, lo aveva sempre saputo. Ma per un attimo aveva sperato…
«Dimmi cosa posso fare per te.»
La sua voce profonda la raggiunse come una carezza e la fece rabbrividire di nuovo. Le piaceva quel tipo, anche molto, ma l’idea di uno sconosciuto che la toccava…
«Non sei tu, è colpa mia.» Karen si mosse verso la borsa che aveva lasciato su una poltrona. «Non preoccuparti, ti pagherò lo stesso.»
Lui si alzò con un movimento fluido delle lunghe gambe e le venne vicino, troppo vicino. Tucker invase il suo spazio personale con determinazione, togliendole l’aria con la sua presenza, e Karen abbassò lo sguardo sui bottoni della sua camicia.
Lui allungò la mano e gliela appoggiò su un fianco, attirandola verso di sé.
Lei ebbe l’impulso di allontanarsi, ma la sensazione di calore che si diffuse da quel contatto lottò contro il gelo e la indusse a fermarsi.
Tirandole il mento con un dito, lui la costrinse ad alzare il viso e a farsi incatenare da tutto quel blu che la fissava pieno di promesse.
«Dimmi cosa posso fare» ripeté piano, scandendo le parole con dei toni bassi che le vibrarono nel petto.
«Te l’ho già detto» sussurrò con una nota disperata nella voce, senza riuscire a liberarsi dall’intensità del suo sguardo. «Non è colpa tua. Sono io che non ce la posso fare.»
Avrebbe voluto abbassare la testa, ma l’indice sotto il mento la teneva inchiodata ai suoi occhi.
«Perché mi hai chiesto un appuntamento?»
Bella domanda.
“E, adesso, cosa posso rispondergli? Posso mentire, e poi?” pensò.
«Avevo pensato che…» Karen respirò a fondo «… tu potessi aiutarmi.» Scosse la testa facendo ondeggiare le ciocche ramate intorno al viso.
Gli occhi di Tucker si strinsero leggermente.
«Aiutarti per cosa?»
“Non molla” pensò.
«A trovare una risposta.»
«E la domanda qual è?»
Lui sembrava proprio non volersi arrendere.
Il suo sguardo oltrepassava i suoi occhi, scavando dentro di lei e facendola sentire esposta, nuda.
Era arrivata fino a lì, che senso aveva non provare? In fondo, non lo avrebbe mai più rivisto dopo quella sera.
Alla fine Karen parlò.
«Ecco…» Si passò la lingua sulle labbra all’improvviso secche. «Se sono… frigida.» Sputò fuori quella parola come un boccone avvelenato.
Lui trasalì e spalancò gli occhi, ma si fermò in tempo e non disse una parola.
Karen lo guardò ferita e cercò di divincolarsi.
La presa di Tucker divenne ancora più salda.
«Scusa. Mi hai colto impreparato. Posso chiederti cosa intendi?»
Qualcosa nel suo tono la colpì, non sembrava una frase di circostanza. Decise di proseguire.
«Non ho mai…» Fece una pausa per radunare tutto il coraggio rimasto. «Avuto…» sospirò. «Un orgasmo.» La frase smozzicata finì in un sussurro.
Tucker non replicò subito, ma questa volta il volto era una maschera immobile.
«Neanche da sola?»
Karen strinse le labbra e scosse la testa.
Lui sembrò riflettere. «Quindi speravi che io potessi aiutarti a capire se sei… irrecuperabile?» Le parole gli uscirono lente, caute.
“Che brutta parola!” si disse.
«Qualcosa del genere.»
Lo guardò da sotto in su e scoprì una luce d’interesse che le fece perdere un battito.
«Potresti?» sussurrò, anche se mentre lo diceva sentiva il morso dello scetticismo agguantarle la gola.
Tucker sollevò il pollice e le accarezzò le labbra in silenzio, mentre gli occhi blu pervinca sembrarono trasformarsi in due frammenti di cielo notturno.
Karen arrossì davanti alla delicata sensualità di quel gesto, davanti a quello sguardo nuovo che non sapeva interpretare, ma che faceva reagire il suo corpo.
Rimasero qualche secondo incantati a guardarsi e poi lui accennò un sorriso.
«Non sono infallibile» disse con cautela, «ma ho molta esperienza.» Di nuovo le sfiorò le labbra con il pollice. «Credo di poterti aiutare. Ma devi essere tu a volerlo, devi fidarti di me.» Abbassò la voce. «Devi pensare che lo stai facendo per te stessa.»
Karen lo sapeva bene, ma come faceva a lasciarsi andare se non riusciva neanche a rilassarsi a sufficienza per respirare?
La mano sul fianco incominciò ad accarezzarle la schiena con un lento movimento, piccoli cerchi che le riscaldarono ancora un po’ il sangue.
L’indice che le fermava il mento scivolò lungo la mandibola fino all’orecchio, t...