Capitolo 1
«Ragazze, sul serio, devo fare la pipì. Sto per scoppiare!»
Siamo in macchina da nemmeno un’ora quando Gaia implora un’altra sosta. Non ho capito dove siamo dirette, ma di questo passo non arriveremo mai.
«Resisti, al prossimo autogrill ci fermiamo!» Diana accelera, penso più preoccupata per la tappezzeria della sua auto nuova che per la vescica evidentemente compromessa della cugina.
«Sì, però la prossima volta portati un catetere, facci il favore!» la rimbrotta Margherita seduta al suo fianco, sbuffando rumorosamente.
Tra le rimostranze di Gaia, sorpassiamo una station wagon stracarica.
È la tipica auto della famiglia media italiana che parte per le vacanze. Ci sono tutti: padre, madre, due bambini, nonna e cane in bauliera, incastrato tra valigie, fagotti, ombrellone e borsa frigo. Il tettuccio è occupato da una specie di cassa da morto che, a giudicare dalle dimensioni, probabilmente contiene il nonno.
Penso che un giorno peggiore per partire non potevamo proprio sceglierlo: gli esperti del traffico lo hanno etichettato da tempo con un infausto bollino nero, i meteorologi hanno previsto un’ondata di caldo africano che nemmeno nel Sahara a Ferragosto, ma la mia migliore amica qui non sembra curarsene. Perché Diana è così, quando si mette in testa una cosa, non c’è niente che possa fermarla. Nemmeno sua Madre.
L’autostrada corre veloce dal mio finestrino, tutto ribolle tra campi pieni di sole.
Getto un’occhiata distratta al panorama che non riconosco ma non me ne curo, non ne ho il tempo. Ho talmente tante cose da fare che mi ci vorrebbe una piscina di Redbull.
Ricaccio il naso tra i preventivi che stavo valutando e chiudo le trasmissioni con l’esterno, come ormai ho imparato a fare bene. A volte in ufficio mi ritrovo a lavorare fino a tardi senza rendermi conto che se ne sono già andati via tutti, anche la donna delle pulizie.
D’altra parte, lavorare per Tancredi De Bernardinis mi ha insegnato a concentrarmi al massimo: intorno a me può esserci il Carnevale di Rio, ma è come se alle orecchie avessi dei pannelli fonoassorbenti che mi isolano dal resto del mondo.
Sono coibentata, in pratica.
E funziona la maggior parte delle volte, ma non oggi, non contro la vocetta stridula di Gaia che continua a implorare una sosta: «La faccio qui, ve lo giuro!».
Diana le lancia un’occhiata minacciosa dallo specchietto retrovisore, mentre soffia via dal viso i ciuffi di tulle bianco che le penzolano sulla testa come un velo. Li fisso e mi accorgo che fanno pendant con l’esplosione di cuoricini luccicanti della scritta KEEP CALM AND MARRY ON! sulla maglietta che indossa.
Tra poco meno di un mese la mia migliore amica sposerà Luca, il figlio del custode del suo palazzo, con cui pare sia sbocciato un amore improvviso e travolgente otto mesi fa.
Ha sempre amato bruciare le tappe: ha preteso la festa di laurea dopo il primo esame all’università.
Secondo me, tuttavia, questa relazione è nata più che altro per fare un dispetto a sua madre, con la quale Diana ha una «relazione complicata» almeno quanto quella tra Palestina e Israele.
In fondo, è sempre stata una ribelle.
A diciotto anni se n’è andata di casa per girare l’Europa un anno intero alla ricerca di se stessa.
Poi però non si è trovata ed è ritornata a Milano.
Si dice che quel giorno Madre, per la soddisfazione di vederla costretta a tornare sui suoi passi, si sia quasi strozzata con l’oliva del suo inseparabile Martini.
Io invece sono davvero felice che Diana sia ritornata, visto che ci siamo conosciute poco dopo, al primo anno di università, e da lì siamo diventate inseparabili.
Di colpo Diana mi scruta dubbiosa, i capelli biondi sono corti, le punte sparate come se qualcuno le avesse fatto esplodere dei petardi sulla testa. «Guarda, Maia Marini, che poi devi mettere anche tu la maglietta con la scritta “Amica della sposa”, eh!»
Scuoto la testa inorridita. «Scordatelo, io non mi metterò mai quella roba!» esclamo buttando un’occhiata alla sua come se fosse fatta di bava di lumaca.
Mi spiace, ma non sono fatta per queste cose.
Insomma, non abbiamo più diciassette anni. A trentadue devi pensare a costruirti un’immagine credibile, seria, professionale. Non puoi perdere due giorni di lavoro per andare a fare baldoria per un addio al nubilato dio solo sa dove, considerato che se mi vedesse Lapo con quella maglietta addosso gli verrebbe un colpo apoplettico. Se mi vedesse sua madre, poi, la incendierebbe con il raggio laser che ha in dotazione al posto degli occhi.
Atena Salvi Chiurazzi è la madre di Lapo, mio fidanzato da cinque anni, e di Diana.
«Madre», come l’abbiamo soprannominata io e lei, è l’erede delle famose Industrie Chiurazzi, la Forrester Creations della Lomellina.
La florida azienda di famiglia da generazioni produce riso e tutti i suoi derivati: piatti pronti a base di riso, snack di riso, prodotti da forno a base di riso, condimenti di riso. Diana non ha mai voluto saperne di occuparsi dell’azienda di famiglia, così suo fratello, subito dopo la laurea in Economia, ha preso in mano le redini delle Industrie Chiurazzi, che oggi conduce insieme al padre Enzo e allo zio Paolo, il marito di Selene, madre di Gaia e sorella di Atena.
Sì, tutte le donne della famiglia Salvi, a partire dalla mitica nonna Olimpia, un goblin nel corpo della tenera nonnina delle favole, portano il nome di una dea della mitologia greco-romana. Atena, Selene, Gaia e Diana. Probabilmente, se mai un giorno io e Lapo dovessimo avere una figlia, la chiameremo Minerva. E al momento del parto l’ostetrica griderà: «Grifondoro!».
«Pensi di andare avanti così per tutto il giorno?» Il rimprovero di Diana, che mi scruta con un sopracciglio sollevato, mi riporta al presente.
Non capisco perché mi guardi in quel modo, voglio dire: che male c’è a sfruttare i tempi morti come un viaggio in macchina portandosi avanti con il lavoro. Insomma, ormai nessuno fa più una cosa per volta.
C’è chi twitta mentre invia un fax o chi manda una email mentre beve un caffè, o chi va in bagno mentre parla al cellulare. Okay, questo forse sarebbe meglio evitarlo, ma adesso non venite a dirmi che non lo avete mai fatto.
Siamo tutti multitasking, questa è la verità. Ottimizzare il tempo a disposizione oggi è una questione di pura sopravvivenza. Per esempio, al momento io sto mandando una email dall’iPad per coordinare il servizio fotografico per l’inaugurazione del nuovo autosalone fissata per mercoledì, con l’altra mano sto rispondendo a un sms di mia madre che mi domanda, curiosa, se sono ancora viva, e con l’altra mano ancora sto parlando al telefono con il mio capo.
Okay, scherzo: ho l’auricolare.
Continuo a lavorare fino a che Gaia non si mette a cantare in un inglese da spavento. «Ani, ani, ani. I uld laic tu ev ani, ani, ani. Ohhhh, ohhh…»
Margherita sbuffa come un muflone con gli zoccoli scheggiati. «Money, money, money, vorrai dire! Almeno canta in inglese, santo cielo!»
Mi volto divertita e trovo Gaia che si stringe nelle spalle. «Non conosco l’inglese.»
«Chissà come mai non avevo dubbi…» borbotta Margherita.
Diana ridacchia al suo tono. «Ma sei stata a studiare in California per tre anni!» ricorda alla cugina.
«Studiavo il modo di fidanzarmi con un attore di Hollywood con villa a Beverly Hills e yacht al seguito, mica studiavo l’inglese!»
«Abbandoniamola qui, vi prego!» Margherita alza gli occhi al cielo, stremata.
È divertente vederle vicine, sembra di avere Angela Merkel e Shakira che battibeccano sul sedile posteriore.
Margherita è un’amica di Diana dai tempi della scuola. È una broker finanziaria molto quotata e agguerrita: «Quando si tratta di vendere, venderebbe anche sua madre!» dicono di lei i suoi colleghi.
La stessa grinta, Margherita la mette nel suo sport preferito, il rugby. L’ho vista giocare un paio di volte: è un treno, stende gli avversari come birilli per arrivare a meta. Avrei paura a trovarmela contro.
Quando Diana mette la freccia verso l’area di sosta, riduco a icona i miei pensieri e scendo nel parcheggio dell’autogrill, insieme ad altre tre o quattrocentomila persone che hanno avuto la stessa idea geniale delle mie amiche.
Capitolo 2
Odio l’estate.
Da quando abito a Milano, vorrei cancellare dal calendario i mesi da giugno a settembre.
L’estate a Milano è la mia esatta rappresentazione dell’inferno.
L’umidità ti si appiccica alla pelle come grasso di foca, l’aria prosciugata in mezzo a quel lago di cemento. Il sole brucia implacabile sull’asfalto arroventato, non un alito di vento, non una nuvola.
Solo nel tragitto a piedi tra la fermata della metro e l’ufficio, mi ritrovo sudata come un maratoneta etiope. E anche qui dove ci troviamo, in qualche punto imprecisato della Lombardia, sembra di stare in un altoforno, per questo ci precipitiamo nel locale in cerca di un po’ di refrigerio.
Appena entriamo, Diana e Margherita si mettono in fila alla cassa, mentre Gaia corre in bagno con lo scatto di un velociraptor.
«Maia, tu cosa prendi?» chiede Diana.
«Niente, grazie» rispondo distratta mentre leggo una email della nostra stagista Debora che mi racconta di un altro giorno di ordinaria follia in agenzia, la DB Communications.
Adesso capisco perché Cristina, amministratore unico, non si fa mai vedere in quell’ufficio. Per forza: ogni mattina sembra di entrare nell’arena di Hunger Games.
Lei che è molto astuta, oltre che sfacciatamente ricca, preferisce andare a farsi la manicure mentre noi ci decomponiamo in ufficio.
Ha dimostrato di avere anche uno spiccato gusto dell’orrido, tuttavia, il giorno in cui ha sposato il direttore Tancredi De Bernardinis, centodieci chili di malvagità concentrati in un metro e settanta centimetri di prepotenza. Sebbene gli altri lo chiamino a sua insaputa «Ciccio Cianuro», Tancredi ama definirsi come il «Comunicatore più famoso di Milano».
C’è chi sostiene che recentemente si sia autoproclamato anche capo supremo dell’Universo dopo aver spodestato l’imperatore Palpatine con un colpo di stato. Senz’altro modestia e umiltà sono i tratti distintivi del suo carattere.
Da tre anni io sono la sua assistente personale, dopo la laurea in Scienze della Comunicazione e il Master in Giornalismo.
Presentarmi al «Comunicatore più famoso di Milano» è stato un regalo della mia futura suocera, gradito almeno quanto il set per la «Dieta mima digiuno», sentito dono per il mio ultimo compleanno.
Madre, infatti, è una cara amica di Tancredi, cosa che non mi stupisce affatto: sono quasi sicura che si siano conosciuti in un campo di addestramento kamikaze. Mi pare quasi di vederli insieme, ridere e scherzare fin da piccoli, mentre imparano a piazzare autobombe.
Comunque io sono una tosta e, al momento, vanto il primato di sopportazione più lungo, visto che la resistenza media in agenzia si aggira intorno ai sei mesi.
Mentre aspetto che le mie amiche riescano a ordinare finisco di scrivere a mia madre, che non mi sente da un po’ di giorni. Ultimamente riesco a comunicare con i miei solo via sms una volta ogni tanto.
Lo so, non è bello, ma al lavoro è un momento un po’ intenso. Passerà. Devo solo riuscire ad arrivare a mercoledì.
«Vi volete muovere?» Margherita, affamata come un chupacabra, si fa avanti nella fila con la stessa delicatezza di un giocatore degli All Blacks che deve arrivare a meta.
La sua stazza glielo permette: atletica e coriacea, è massiccia come un frigorifero.
In questi momenti mi rendo conto che, in fondo, lavorare per Tancredi De Bernardinis presenta anche i suoi vantaggi. Ti insegna a controllare i bisogni primari. I pasti, ormai, stanno diventando un optional per me.
Il che è un bene, visto che anche Lapo ci tiene molto che mantenga il mio peso forma di cinquanta chili. Più o meno.
Lapo, occhi verdi e spalle larghe, sembra un modello di Dolce & Gabbana. I capelli castano chiaro sono lisci e sempre in piega. Potrebbe fare la pubblicità ...