In cammino (1992-1998)
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In cammino (1992-1998)

  1. 416 pagine
  2. Italian
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  4. Disponibile su iOS e Android
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In cammino (1992-1998)

Informazioni su questo libro

In cammino è l'ottavo e ultimo volume della serie "L'Equipe", in cui si riproducono le lezioni e i dialoghi di don Giussani con i responsabili degli universitari di CL negli anni 1992- 1998, durante i quali l'Autore mette a fuoco una categoria centrale del suo pensiero, quella di "avvenimento": qualcosa che irrompe, imprevisto, imprevedibile, non conseguenza di fattori antecedenti. Unica categoria che può definire che cos'è il cristianesimo. Ma qual è la sua forma caratteristica? Quella di un incontro umano nella realtà di tutti i giorni. Come nei villaggi della Palestina dove non poteva arrivare, Gesù mandava coloro che lo seguivano più da vicino, così Egli ci raggiunge oggi attraverso persone come noi, eppure così diverse che ci fanno sperimentare un'inaudita corrispondenza a quello che siamo. È solo l'avvenimento di Cristo ora, attraverso l'umanità con cui ci tocca, che può rendere chiaro e consistente il nostro io, strapparlo alla dispersione. È questo un paradosso che non si riesce facilmente a tollerare: che sia un avvenimento, non un'analisi o un progetto nostro, a rendere possibile un cammino umano. Il cristianesimo è questo avvenimento, oggi come duemila anni fa.

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Informazioni

Editore
BUR
Anno
2014
Print ISBN
9788817073233
eBook ISBN
9788858671979
Categoria
Religion
1992

COLUI PER CUI SI VIVE*

La frase di Péguy, proposta e commentata nell’estate del 1991, era risuonata come monito e proposta nei mesi successivi nelle comunità degli universitari, non più ormai solo italiane, e aveva destato più di una coscienza a levare lo sguardo, oltre limiti ed errori, alla maestà e alla gratuità che la musica di Mozart, divenuta familiare, facevano quasi percepire sensibilmente: «Gesù venne, non perse tempo, tagliò corto in modo semplice, facendo il cristianesimo». Era un invito, anzi una sollecitazione, alla decisione: la decisione nel parlare, che si fece essenziale e robusto, la decisione nel gesto, pensato e voluto, e perciò non equivoco, la decisione nel pensare e nel giudicare, audaci nell’ampiezza e profondi nella concretezza, la decisione nell’agire, di fronte a fatti e bisogni.
Da meno di un mese era iniziata Tangentopoli, e ancora non si potevano immaginare gli effetti sconvolgenti che avrebbe avuto sull’intero sistema politico e sulla società stessa. La mafia aveva cominciato a uccidere a Palermo, e sarebbe passata alle stragi nei mesi successivi. Da tre mesi l’URSS era stata definitivamente sciolta e Clinton si preparava a diventare il 42° Presidente degli Stati Uniti d’America.
Che cosa comportava «fare il cristianesimo» per dei giovani, poco più che ventenni, alle prese anche con i loro problemi di studio e di carriera? Se lo chiesero in seicento, quella mattina a Milano, in una breve e vivace assemblea, nella quale emerse, per loro e poi per tutto il movimento, la chiara ragione per cui può valere la pena vivere.
* Equipe del CLU, 22 marzo 1992, Milano.

Introduzione alle Lodi

Giussani: In piedi! Qualunque sia il nostro stato d’animo, incominciamo con l’adorare quell’istante, quel momento concreto in cui tutto è accaduto; è accaduto ciò da cui tutto sarà travolto, trasformato, clamorosamente dimostrato a tutto l’universo, a tutti gli uomini di tutti i tempi. Tutto è nato da un istante nascosto, ma un istante del tempo, un istante storico, fatto di carne, che ha toccato una carne: è nato da una carne.
Noi dobbiamo rendere quasi abituale nella nostra immaginazione – in quella immaginazione che “consegue” il nostro agire, che segue il nostro cammino, perché è l’espressione del rapporto tra la concretezza dell’istante che ci assorbe come compito, come lavoro, come attrattiva, e quell’ultimo termine cui l’ideale ci sospinge, l’ultimo termine ideale della nostra vita –, noi dobbiamo rendere abituale nel nostro cammino il posto di questo ricordo, di questa memoria. Chiediamo che essa “ingombri” sempre di più l’orizzonte della nostra immaginazione, perché, allora, già le cose che facciamo e che tocchiamo si trasformano secondo il destino finale e del destino finale incominciano ad anticipare la sicurezza e la gioia, l’evidenza e la gioia, e perciò una pace e una fecondità che qualsiasi guerra, qualsiasi antitesi non può arrestare, non può soffocare; né l’antitesi che viene da noi, dalla nostra meschinità, né l’antitesi che viene dalla menzogna che ci circonda e che mai come oggi sentiamo come braccia che tentano di soffocarci (come nei film dell’orrore che voi normalmente vedete).

Angelus

Giussani: Il nostro rapporto col Mistero, il nostro rapporto con Dio, qualunque luce già viva o da qualunque tenebra sia ancora oppresso, da un certo momento in poi della nostra vita non può che essere dominato da una parola, la parola «liberati», liberazione, ancora come malinconica attesa o già come esperienza presente, perché esso è tutto proteso a diventare esperienza presente. Questo termine, «liberazione», definisce il nostro agire umano di fronte all’eterno, di fronte al Mistero da cui è nato, perché se c’è una cosa evidente è che la nostra vita nasce da un Mistero, da Altro, da totalmente Altro.
Diciamo le Lodi con questa «pre-occupazione», con l’animo occupato da questa parola, anche se non possiamo dialettizzarla nel pensiero, anche se è inutile abbandonarci, nel pensiero, sottraendo impeto alla nostra dedizione a Dio, ad analizzarla o a porre gli interrogativi che la nostra debolezza ci suggerisce. Diciamo le Lodi ringraziando il mistero dell’Essere che ci ha fatti, che ci ha toccati con questo messaggio: libertà. «Liberati dal giogo del male»,1 dalla menzogna; male è infatti uguale a menzogna, ciò che non è e che pretende di essere, che appare come essere, apparenza, la sponda infida che succhia, travolge e insabbia chi ci sta, ciò che ci ferma, invece che essere punto di partenza per l’altra riva. Liberati dal fango della riva dell’al di qua, liberati dall’al di qua vuol dire essere in navigazione verso l’al di là: questa è l’audacia che la fede libera in noi.
Leggeremo salmi che sono dettati dalla grande fede dei Profeti antichi, del popolo antico scelto da Dio. Per noi suonano un po’ come espressioni esagerate: ci sembrano esagerate, perché sono metafore. Ricordiamo che sono metafore di slancio e di meraviglia, seguiamole come possiamo; noi non tradiamo la nostra dignità utilizzando frasi che non corrispondono ancora al tessuto e ai termini del nostro sentire momentaneo, del nostro sentire esistenziale, perché il nostro sentire esistenziale tende a una infinitezza che non può essere tradotta nel presente se non come metafora, come un’esagerazione, perché l’infinito, per il finito, è come una grande, inconcepibile esagerazione.

Lodi

Giussani: La metafora dominante nei salmi che abbiamo letto nelle Lodi, questa mattina, è la metafora della guerra, del Dio che combatte e che vince. Tutti gli dei, vale a dire tutte le energie e le presenze che tentano di possedere e di fatto, per breve tempo, entro certi limiti, dominano l’uomo e la società sono spazzate via, nel tempo sono spazzate via. Colui che domina è il Signore, ed Egli domina attraverso l’individuo. Così viene esaltato l’io umano, come dice il salmo: «Per la giustizia contemplerò il Tuo volto».2 La giustizia è la Tua strada, io seguo la Tua strada, perciò contemplerò il Tuo volto, che è il significato di tutte le cose. Il volto di Dio è il significato di tutte le cose, il significato di ciò che brandisci con la mano, del volto che baci, della fatica che si trasforma in frutto, del cielo e della terra, come diceva in principio: «I cieli cantano le Tue meraviglie, Signore».3
Ma il cielo è la profondità del presente, a noi ignota. Noi scandagliamo con le mani, con l’occhio, col cuore questa apparenza presente, questo volto presente, spinti da un inesorabile destino a qualcosa di oltre, perché è incompiuto ciò che vediamo e tocchiamo. Attraverso la fedeltà della persona, attraverso l’impegno tuo, mio, «al risveglio, mi sazierò della Tua presenza».4 Sarà come un risveglio: è un accenno alla morte e alla resurrezione. Ma morte e resurrezione è il compito che ci aspetta ogni giorno, perché noi scivoliamo da un’azione all’altra, spinti dal desiderio di una precisione, di una evidenza, di una consequenzialità, inquieti di fronte all’incertezza e all’impotenza o alla insoddisfazione, comunque sia, del presente.
Dio vince attraverso me, te, vince. E questo è già clamoroso: è come se fosse continuamente sconfitto nella nostra debolezza, perché è come se nessuno di noi Ti credesse, o Dio, sopra ogni cosa, chiaramente; eppure, nel tempo che passa, la Sua vittoria assume sempre il volto di un popolo che niente vale a soffocare e a distruggere. Questo è il significato del Benedictus: il primo volto di questo popolo attraverso cui Dio domina il mondo, il volto di quel piccolo popolo ebraico. Ma con che gusto potremmo aver letto: «Guidasti con il Tuo favore questo popolo che hai riscattato»!5 È attraverso di me e di te, che Dio vince; attraverso «me e te»: è già una compagnia, è già l’inizio di un popolo. Quando ti sposerai, cosa è quel «tu e lei», «tu e lui», se non l’inizio di un popolo? Se non lo percepirai come inizio di un popolo, sei già fatto fuori dalla grandezza di ciò in cui ti introduci, sei come scacciato da ciò che tenti di abbracciare. «Guidasti con il Tuo favore questo popolo che hai riscattato», la grande compagnia, che è altro, più che «me e te»: «me e te» è Lui; è Lui – Lui – la nostra grande compagnia, «luogo che per Tua sede, Signore, hai preparato». In nessun luogo c’è questa consapevolezza chiara come tra di noi. Perciò «guidasti con il Tuo favore questo popolo che hai riscattato, lo conducesti con forza alla Tua santa dimora». Il che non è contraddittorio con la libertà, ma piuttosto colloca in primo piano e fa venire a galla quella suggestività profonda del vero per cui la libertà è fatta, a cui la libertà inevitabilmente deve cedere per essere se stessa.
Comunque, quando leggiamo queste cose, un brano o un altro ci deve colpire, altrimenti è inutile leggerle. Questo, a ogni modo, è il popolo che cantavano le trombe di Assisi dell’Inno delle Scolte,6 che voi avete cantato in modo così scadente: è un canto da imparare bene, così da evitare che, improvvisamente, manchi la folla perché nessuno sa più cosa dire e vada avanti il solista con la sua flebile voce, dando un’impressione abbastanza amara di solitudine: imparatelo, questo canto! È il canto del popolo nuovo, del popolo che Dio guida.
1 «Liberati dal giogo del male», in Il libro delle ore, Jaca Book, Milano 2006, p. 30.
2 «Antifona», Lodi mattutine della domenica, ibidem, p. 52.
3 «Salmo 88», Lodi mattutine della domenica, ibidem, p. 50.
4 «Antifona», Lodi mattutine della domenica, ibidem, p. 52.
5 «Cantico», Lodi mattutine della domenica, ibidem, p. 52.
6 «Inno delle scolte di Assisi», in Canti, Cooperativa Editoriale Nuovo Mondo, Milano 2014, p. 233.

Assemblea

Intervento: Cominciamo l’assemblea, che vuole essere un momento di paragone. Si tenga presente l’ultima Equipe,7 Qui salvandos salvas gratis, e anche Dalla natura scaturisce il terrore della morte, dalla grazia l’audacia, che abbiamo suggerito di riprendere nelle giornate di inizio, attraverso la dialettica sogno e ideale, fino all’ultima cosa che ci ha colpiti, che è il volantino di Natale: «Il cammino del Signore è semplice come quello di Giovanni e Andrea […]. Non c’è altra strada, al fondo…».
Giussani: Perché è semplice?
Intervento: Perché «hanno cominciato ad andare dietro a Cristo: per curiosità e desiderio. Non c’è altra strada, al fondo, oltre questa curiosità desiderosa destata dal presentimento del vero».
Giussani: Questa è proprio la reconductio ad simplicitatem ultimam. Ripeti quest’ultima frase, per favore.
Intervento: «Il cammino del Signore è semplice come quello di Giovanni e Andrea, di Simone e Filippo, che hanno cominciato ad andare dietro a Cristo: per curiosità e desiderio. Non c’è altra strada, al fondo, oltre questa curiosità desiderosa destata dal presentimento del vero».
Giussani: «Curiosità desiderosa destata dal presentimento del vero»:8 togliete una di queste parole e togliete la vita.
Intervento: Vorrei, prima di tutto, testimoniare la letizia e anche la generosità con cui in questi tempi si lavora nella campagna elettorale, nei mercati, nei paesini dove si incontrano spesso preti spenti e sfiduciati. Questa dedizione ha un’unica origine: la grande Presenza a cui apparteniamo, che ci unisce tutti, il giudizio sulla nostra appartenenza, che è più ragionevole di ogni opinione anche intelligente. L’appartenenza è un criterio più ragionevole perché ciò che parte da me parte sempre da una natura ferita, mentre il criterio dell’appartenenza parte da un fatto integralmente umano che è la persona di Cristo vivo tra noi. È proprio vero che, come si diceva a La Thuile nell’agosto scorso, «non è possibile la percezione del mistero [di Cristo] senza la concretezza della realtà» e che non può esserci nesso con la «realtà concreta senza il riconoscimento di un infinito».9 In questo senso, allora, le elezioni sono una occasione missionaria.
Giussani: In quale senso? Ripeti.
Intervento: Nel senso che sfidano a stare più concretamente nella realtà e perciò a cogliere di più il nesso tra Cristo e la realtà.
Giussani: Guardate che questa affermazione è molto importante, educativamente parlando; non capite cos’è il Signore e non capite cos’è il cristianesimo senza capire questa frase: non si può comprendere Cristo se non…
Intervento: … nel nesso con la realtà.
Giussani: Nel nesso con la realtà, nel nesso col modo con cui tratti la ragazza, nel nesso col modo con cui tratti l’esame che devi fare, nel nesso col modo con cui ti alzi al mattino. E questo è il cammino, la lunghezza del cammino. Non ti devi smarrire, se ti senti lontanissimo da queste cose; sei stato risvegliato a un cammino attraverso cui penetri dentro la verità di questo messaggio: Cristo. Ma Il senso religioso lo dice di Dio: dice che capisce l’esistenza di Dio chi prende sul serio la vita (vi ricordate che c’è questa affermazione?).10 Solo chi prende sul serio la vita, non nel settore in cui la taglia o nel sentimento in cui la stempera, ma la vita secondo la totalità dei suoi fattori, capisce Dio. Uno che non è serio in questo modo con la vita non capisce Dio, non capisce l’esistenza di Dio. A maggior ragione, senza il nesso con la carne di ogni giorno, qualunque flessione e versione essa prenda, non si può capire Dio incarnato. Cosa vuol dire? Che rimane il ricordo di un passato o la misticheggiante sensazione di qualcosa che tutt’al più interessa gli abissi del futuro, gli abissi che circondano la terra, come quelli che compaiono in certe antiche carte geografiche: c’è tutto il disegno della terra e poi attorno: Hic sunt leones, qui c’è il selvaggio, ciò che non è dominabile dall’uomo, oppure “terra incognita”, terra sconosciuta. Pressappoco Dio lo percepiamo così. Perlomeno Cristo ce lo impedisce, perché Cristo vuol dire la trasformazione del presente, un altro significato del presente, un’altra plasmazione del presente, un altro modo di plasmare il rapporto tra me e te, che ti vedo per la prima volta e ti sento fraterno come mio fratello e anche le mie sorelle (ne ho due).
Intervento: Queste cose che dicevi mi aiutano anche a fare emergere l’aspetto problematico che ho visto coi miei amici. Vale a dire, è come se fossero le circostanze a sfidarci a stare nella realtà, non ancora la percezione netta che questa storia che abbiamo incontrato è l’unica vera storia interessante per noi e per tutti. Se dovessi riassumere in poche parole la storia del CLU in questi mesi, io adotterei la grande metafora che usavi a La Thuile: una soglia che ha fatto finalmente entrare in una grande dimora. Questo si capisce dall’intensità affettiva che i rapporti hanno p...

Indice dei contenuti

  1. Cover
  2. Frontespizio
  3. Copyright
  4. Prefazione di Julián Carrón - L’unica risorsa: il senso cristiano dell’io
  5. 1992
  6. 1993-1994
  7. Dal 1995 in poi
  8. Appendice
  9. Legenda
  10. Indici