1. domenica. La luce
È una mattina gonfia di sole, di quelle che ti fanno guardare il calendario con un bagliore di sorpresa: la data è in primavera ma il cielo e la tua maglietta ti dicono che è molto di più. Annalilla e la Vualà sono in paese a fare scherzi.
«Col chiaro vengono meglio» dice Annalilla.
«Perké?» chiede la Vualà sfogliandosi via dal labbro un chewing gum rosa.
«La gente se li aspetta solo col buio, e di giorno crede sia più difficile perché devi stare allo scoperto. Ma la luce nasconde.»
La Vualà guarda ammirata e confusa l’amica: non ha capito nulla ma intanto s’apposta sotto la finestra di un condominio dall’intonaco scrostato.
«Sta kui la grassona» annuncia da sotto i suoi capelli lunghissimi e pieni di fiocchi che chiudono treccine scomposte. Annalilla fa sì con la testa anche se non era una domanda.
La Vualà prende a trafficare in una borsa dai manici annodati e intanto fa il riassunto per chi s’è perso la puntata precedente: «Ieri le abbiamo sbucciato l’intonaco del muro perké ci servivano i piattelli per giocare a campana. Ma cosa pensava? Ke fossimo ladri? Ci ha trattate da delinkuenti, ha detto kuelle cose sulle nostre mamme. Ma adesso ce la paga.»
Annalilla sogghigna: «Con la vendetta perfetta: toglierle la cosa più preziosa.»
«La televisione.»
«La televisione.»
Dalla borsa saltano fuori due telecomandi universali ancora nella plastica, di quelli da due soldi al minimarket. La finestra dell’appartamento è mezza aperta: dentro, una signora grassissima seduta su una poltrona color pelle di ramarro si sta godendo i programmi del mattino. Dietro di lei una fila di foto in bianco e nero ritrae un ragazzino buffo; sullo schermo passano assaggiatori di formaggi, stambecchi, damigelle, sbandieratori stanchi, orsi che ne hanno le pellicce piene dei curiosi che vanno là a filmarli perfino quando si rotolano nei prati con l’orsa.
Annalilla sale in groppa alla Vualà . Ci mette un po’ perché deve liberare le spalle dalle treccine.
«Okkio con la gonna. Ti si vedono le mutande.»
«Fa uguale. Tanto a quest’ora i guardoni del paese sono in chiesa.»
Annalilla è in posizione, acchiappa uno dei telecomandi e schiaccia un pulsante. Che fa cilecca. Riprova, nulla.
«Kuesto non va» dice alla Vualà lasciandolo cadere nella borsa. «Doveva essere universale, ma di universale ormai non c’è più niente.»
L’altro però è perfetto. Intercetta in un microsecondo il sensore della tivù e il canale cambia: dalle caciotte incontaminate si passa al gran premio di Formula Uno. Annalilla da fuori alza la barra del volume fino in cima, e parte una tempesta di bolidi e frenate, la casa trema mentre il motore di una macchina da corsa scarbura in rettilineo squassando porte e finestre; persino Annalilla per un attimo è tramortita da tanta roboante bellezza. La grassona fa un salto per il botto, cambiano colore sia lei che la poltrona. Si rialza da terra e corre a prendere il telecomando sul tavolo: il gran premio scompare.
Annalilla manda alla Vualà un bacio d’intesa. La Vualà guarda l’orologio: «Diamo alla grassona kualke secondo di pausa?»
«Ha il pacemaker. Facciamo un minuto.»
La grassona intanto è tornata a sedersi col cuore che le batte fin nelle orecchie: è riuscita a cambiare canale e in televisione ricompaiono cannoli alla ricotta e due signori che agitano mozzarelle nell’aria, un altro taglia il lardo e guarda le fette come fossero banconote, un presentatore passeggia su e giù nella vigna e finge che il fango sugli stivali non gli faccia terribilmente schifo.
Un minuto dopo, Annalilla punta il telecomando e pompa la saturazione del colore fino a quando le majorette che ballano attorno alle damigiane di vino sembrano arrostite da un incidente nucleare, con gonna e bacchetta e cappello piumato. La grassona non crede ai propri occhi e nemmeno ai propri occhiali, tanto che se li toglie per pulirseli. Velocissima, Annalilla abbassa tutta la saturazione: ora l’immagine è in bianco e nero. Sembra di essere saltati indietro nel tempo. La grassona s’appoggia gli occhiali sulla fronte e fissa stupita il telecomando, si mette a cercare il tasto giusto imprecando forte in un dialetto incomprensibile. E sistema la saturazione.
«La vecchia sa sistemare la saturazione» dice Annalilla alla Vualà .
«Non li fanno più i vekki di una volta, ke non sapevano fare niente.»
Annalilla s’appoggia con un gomito al davanzale e punta il telecomando.
«Brava, appoggiati. Ké mi pesi» dice la Vualà ruminando tra i denti.
Annalilla preme un tasto e si salta su un thriller tedesco. Prima di alzare il volume al massimo, ci aggiunge il carico di perfidia: cambia la lingua dell’audio e inserisce quella originale. La stanza si riempie di urla che sembra un’adunata nazista. La grassona cerca di cambiare canale, Annalilla torna sul tedesco, la grassona cerca di abbassare, Annalilla tira su il volume. È un braccio di ferro tra telecomandi. Entra il marito e la guarda con noncuranza, probabilmente abituato alla sua spocchia. Arrivano anche due vicini di casa, attirati dalle urla lancinanti di una tipa in tivù in bilico coi tacchi su una balaustra di Friburgo, a cui stanno sparando tre malviventi baffuti. Complimenti per la mira, criminali friburghesi: mille colpi sparati e nemmeno uno a segno.
Annalilla se la ride. «Sono entrati i vicini» fa alla Vualà .
La Vualà si gode l’audio e ride pure lei. I vicini di appartamento vanno e rientrano armati del loro telecomando per aiutare la grassona disperata. Annalilla molla la presa, lascia andare i tasti e il mondo in un attimo torna alla normalità . Vicini e marito escono ma non la grassona, che si è piazzata di nuovo sul programma di prima. È il momento del sorvolo della spiaggia in elicottero. Rumore di vento, mare azzurro, cuffie sulle orecchie del pilota. In tivù il conduttore spiega che nella stagione calda è meglio fare un bel bagno.
«Ha ragione» dice la Vualà . «Guarda a lui cosa è successo: deve aver preso un bel colpo di calore per fare ragionamenti così profondi.»
L’elicottero atterra e sulla spiaggia c’è il protagonista di una soap opera. Non è bello e nemmeno giovane ma in tivù sembra bello e giovanissimo. Con la quantità di fondotinta che ha in faccia, Pablo Picasso ci faceva due dipinti e ne iniziava un terzo. Appena inquadrano il bello da vicino, la grassona trasalisce di passione.
«Luce dei miei occhi» sembra bisbigliare e avvicina le labbra allo schermo della tivù.
Che schifo, pensa Annalilla e cambia sulla celebrazione in diretta dal Convento di Sant’Avvilito del Divin Dolore. Proprio in quel momento la regia indugia sulla statua del patrono, circondata da ogni genere di fiori e messaggi di miracolati. Sant’Avvilito, dicono, era un poveruomo leggendario martirizzato nel 1333 con trentatré armi diverse, tra le quali un servizio intero di cucchiaini da budino e una schiumaiola medievale.
La grassona non ne vuol sapere della messa e torna sul bello della soap, che le sembra un santo anche lui, tanto è alto e puro. Però meno avvilito. E son di nuovo sospiri di passione. Annalilla cambia e via col Coro Polifonico delle Affrante che canta un Ora pro nobis; la grassona si tira i capelli dalla rabbia, schiaccia il grande tasto rosso e spegne. Annalilla riaccende. Miserere nobis. La grassona rispegne. La Vualà se la ride, Annalilla riaccende. Ora pro nobis. La grassona si alza, stramaledice il mondo e i santi del calendario solo da gennaio a marzo perché decide di darsi un contegno, spegne la tivù e sbatacchia il telecomando sulla poltrona. Fa per uscire. Annalilla riaccende. Miserere nobis. La grassona è a mezza via tra la poltrona e la porta, fulmina la tivù con un’occhiata di odio e un gesto del braccio. Amen. Annalilla la spegne. La grassona, sorpresa, pensa d’avere poteri sovrannaturali e se ne va sorridendo.
Fine dello scherzo. Le spalle della Vualà sono color delle bistecche ma ne è valsa la pena, Annalilla gliele osserva camminandole a fianco.
«Dovevi vedere. È diventata pazza.»
«Tu e le tue idee: brava! Però la prossima volta sto sopra io.»
«L’ho pensata ieri sera, mentre correvo al tramonto.»
«Follia pura.»
«Ma quanto ci tengono alla tivù in quella famiglia?»
«O non hanno niente da fare, o non hanno capito nulla.»
«Per loro è come una persona, come una compagna. E solo perché la tivù è luce colorata.»
La Vualà questa volta resta muta.
Annalilla se ne accorge ma riattacca: «In fondo, quando bevi una bibita cosa bevi?»
«Akkua colorata» dice la Vualà senza capire.
«La tivù è uguale, è luce colorata.»
«Però le bibite sono buone.»
«Vedi? È appunto quella la trappola.»
La Vualà non capisce una virgola ma ormai è abituata alle riflessioni strane della sua amica.
«Andiamo a farlo anke al don?» chiede la Vualà .
«Sarà in chiesa per la messa. Ma stamattina ho poco tempo.»
«E cosa avresti di così urgente da fare?»
«Prendiamoci delle patatine così ti spiego.»
Comprano un pacchetto nel negozio che vende frutta, cappotti in saldo, riviste e dentifrici, e se lo dividono perché dopo la spesa dei telecomandi i soldi che hanno in tasca non bastano per due. Si siedono sullo schienale della loro panchina preferita. Tutto intorno c’è un giardinetto che sembra essersi svegliato cinque minuti prima: gli alberi sgranchiscono i rami, la luce del sole batte sulle foglie e fa giocare insieme le ombre, rotolano palloni inseguiti da grida di bambini sconosciuti. La panchina è ricoperta di parolacce a pennarello e disegni sconci. C’è scritto Anche Rombo è stato qui. Rombo è il più cattivo della scuola.
Annalilla si riempie il palmo di patatine e riesce a compiere un’impresa: se le caccia tutte in bocca. E parla.
«I miei sono partiti.»
«Vacanza?» chiede la Vualà .
«Chiamala così. Corso di ballo latinoamericano col maestro De Las Vegas o De Las Cuevas o De Las Qualcosas. Secondo anno di seguito. Stanno sulle colline ma dovresti vederli: sembra di essere ai Caraibi. C’è anche una piattaforma con la sabbia.»
«Eri andata anke tu l’anno scorso?»
«Ma figurati. Mi fan ridere. Le cose le so perché me le hanno raccontate loro.»
«Kuindi sei a casa da sola con Olga?»
«Sì. Così fa da badante più a me che alla nonna.»
«Ke è sempre a letto» dice la Vualà sgranocchiando una manciata di patate.
«Già .»
«E cosa dice?»
«Cosa vuoi che dica? Non si ricorda di niente. Ogni volta mi chiama con un nome diverso, non riconosce neanche Olga. E sì che una che si veste in quel modo la distingui a occhio nudo dal satellite.»
«E kuindi?»
«Quindi cosa?» Annalilla si gratta con la lingua il palato incrostato di patate sbavate e infila una mano nel pacchetto.
«Kuindi ti cura?»
«Fino a sabato prossimo, poi domenica tornano i miei e fine. Quando vanno via, Olga si ricorda che hanno una figlia e mi marca stretta. Mi chiede dove vado e con chi, mi fa le storie per dieci minuti di ritardo. E torna presto, e stai attenta, e adesso ti aiuto a vestirti, e ma come esci conciata. I miei di solito non sanno neanche dove sono.»
«Però a te non dispiace ke ti tratti così.»
«È un rullo compressore. Però cucina bene, e poi torno a casa e so che qualcuno sta guardando l’orologio e pensando a me. Alla fine non è così male.» Salta giù dalla panchina, si ravviva la gonna, e finisce di sgranocchiare l’ultima patata.
«Ti accompagno con la bici» dice la Vualà .
Annalilla sale in piedi sul portapacchi, appoggia le mani sulle spalle sottili della Vualà , che ora hanno ripreso il loro colore normale. La bici è vecchia, bianca e da donna. Forse la Vualà l’ha rubata dietro la piscina.
Si bilanciano, vanno.
Come sono diverse le cose da quassù, pensa Annalilla. A volte basta cambiare la prospettiva: il naso all’altezza degli adulti, anzi di più. Non sarebbe bello essere grandi quando serve? Non si sentirebbe più la debolezza.
Annalilla non sa se sia la velocità della bicicletta a scompigliarle i capelli, oppure se sia vento vero a spettinarla, di quello che soffia dalle campagne e porta oggi profumo di tigli e gelsomino, erbe di pianura, canali che odorano di alghe. È questa la felicità che fa bagnare gli occhi, o sono solo il vento e la velocità a farli lacrimare? Ma la risposta non avrebbe alcuna importanza per il naso di Annalilla che si gode l’ossigeno, e per il suo cuore che batte al ritmo dei pedali, e per i suoi occhi che guardano strade e case colorate del paese, e per ciascuna riconoscono un abitante, un timore, un ricordo. O uno scherzo.
Qui è dove compro il pane. Lì è dove mi aggiustano le scarpe e dove la mamma porta le cinture e le borsette da sistemare. Laggiù ci sono il fruttivendolo e la tabaccheria che vende le liquirizie. Una goccia scappa via dagli occhi e segue una sua strada verso l’orecchio, lo supera e si stacca.
Il paese non è grande e dopo un’ultima curva ecco la casa. La Vualà fa scendere l’amica davanti al cancello. Annalilla ha le chiavi, apre, richiude. Con le mani sul manubrio e un piede piantato sul pedale, la Vualà attende che Annalilla sia entr...