
- 630 pagine
- Italian
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L'Accademia dei Vampiri - 5. Anime legate
Informazioni su questo libro
Il quinto episodio della serie L'Accademia dei Vampiri. Dopo un lungo e straziante viaggio nel luogo di nascita di Dimitri in Siberia, Rose Hathaway è finalmente tornata dalla sua migliore amica, Lissa. Il diploma è vicino, e le ragazze non vedono l'ora che inizi la loro vita reale al di là dei cancelli dell'Accademia. Rose soffre ancora per Dimitri: sa che lui è la fuori, da qualche parte. Non è riuscita a ucciderlo quando ne ha avuto l'occasione e ora le sue peggiori paure stanno per diventare realtà: Dimitri ha assaggiato il suo sangue e le sta dando la caccia. Non si darà pace fino a quando non saranno uniti per sempre.
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Informazioni
Print ISBN
9788817071864eBook ISBN
9788858663202TRE
I due giorni successivi furono un po’ strani. Io e gli altri novizi potevamo anche aver sostenuto gli esami di diploma più spettacolari, ma non eravamo gli unici ad aver concluso il ciclo di studi alla St. Vladimir. I Moroi ebbero la loro cerimonia di commiato e il campus si riempì di visitatori. Poi, con la stessa rapidità con cui erano venuti, i genitori scomparvero portandosi dietro i figli. I Moroi di sangue reale andarono a trascorrere l’estate con i loro genitori in località di prestigio (in genere nell’emisfero sud dove le giornate erano più corte in quel periodo dell’anno); anche i Moroi “comuni” partirono con i genitori diretti verso mete più modeste, magari in cerca di qualche lavoretto estivo prima del college.
Come c’era da aspettarsi, visto che la scuola chiudeva per le vacanze estive, anche tutti gli altri studenti partirono. Quelli che non avevano una famiglia dove tornare, in genere dhampir, restavano nel campus tutto l’anno per seguire dei corsi speciali, ma erano la minoranza. La scuola si svuotava a vista d’occhio, mentre io e i miei compagni aspettavamo la data della nostra partenza per la Corte Reale. Salutammo gli altri, Moroi che avrebbero continuato a studiare e dhampir più giovani che presto avrebbero seguito le nostre orme.
Una persona dalla quale mi separai a malincuore fu Jill. La incontrai mentre mi recavo negli alloggi di Lissa il giorno prima della partenza. C’era una donna con Jill, con ogni probabilità sua madre; portavano entrambe degli scatoloni. Il viso di Jill si illuminò quando mi vide.
«Ciao, Rose! Ho salutato tutti, tranne te. Non riuscivo a trovarti» disse eccitata.
Le sorrisi. «Be’, sono contenta che alla fine mi hai trovata.»
Non me la sentivo di dirle che anch’io ero stata in giro a salutare gli altri. Avevo passato il mio ultimo giorno alla St. Vladimir visitando i luoghi più familiari, a partire dalla costruzione che ospitava la scuola materna dove avevo conosciuto Lissa. Avevo esplorato in lungo e in largo gli alloggi degli studenti, ero entrata nelle aule delle mie materie preferite e avevo perfino fatto un salto nella cappella. Avevo trascorso del tempo anche nei luoghi che mi suscitavano ricordi dolceamari, come i campi di addestramento dove avevo conosciuto Dimitri. La pista di atletica dove mi faceva correre. Il capanno dove ci eravamo finalmente donati l’uno all’altra. Era stata una delle notti più meravigliose della mia vita, e nel ripensarci provai un misto di gioia e di dolore.
Non volevo affliggere Jill con la mia nostalgia, così feci per stringere la mano a sua madre, ma mi accorsi che non poteva ricambiare per colpa dello scatolone che reggeva. «Sono Rose Hathaway. Lasci che l’aiuti.»
Le tolsi il cartone dalle mani prima che avesse modo di protestare. «Grazie» rispose lei, piacevolmente colpita. Riprendemmo a camminare tutte e tre insieme. «Io sono Emily Mastrano. Jill mi ha parlato tanto di te.»
«Ma davvero?» esclamai, scoccando a Jill un sorrisetto ironico.
«In realtà le ho solo raccontato che ogni tanto ci vediamo.» Un lieve scintillio di ammonimento negli occhi verdi di Jill mi fece capire che Emily non sapeva che nel tempo libero sua figlia imparasse le arti magiche per combattere gli Strigoi.
«Già, ci piace la sua compagnia» commentai per non far saltare la sua copertura. «E uno di questi giorni le insegneremo a domare quei capelli selvaggi.»
Emily si mise a ridere. «Io ci provo da quasi quindici anni. In bocca al lupo.»
La mamma di Jill era di una bellezza mozzafiato. Le due non si somigliavano granché, almeno non in apparenza. I lucenti capelli di Emily erano lisci e neri, aveva gli occhi blu scuro e le ciglia lunghissime. Camminava con una grazia sinuosa ben diversa dall’andatura goffa di Jill. Eppure qui e là si intravvedevano i geni di famiglia: il viso a cuore, la forma delle labbra. Jill era ancora una ragazzina ma crescendo avrebbe assunto i lineamenti della madre e si sarebbe trasformata anche lei in una splendida donna, cosa di cui probabilmente adesso era ancora ignara. E magari sarebbe cresciuta anche la sua sicurezza in se stessa.
«Dove abitate?» domandai.
«Detroit» rispose Jill con una smorfia.
«Non è così male» rise sua madre.
«Non ci sono montagne. Solo strade piene di macchine.»
«Faccio parte di una compagnia di balletto in città» spiegò Emily. «Perciò viviamo dove posso pagare le bollette.» Fui sorpresa di scoprire che a Detroit la gente andasse a vedere il balletto, più che dal mestiere di Emily. Era evidente, quando la si guardava; in effetti, grazie alla loro struttura fisica slanciata e snella, i Moroi erano ballerini ideali secondo i criteri umani.
«Ehi, è una grande città» dissi a Jill. «Divertiti finché puoi, prima di tornare in questo buco noioso sperduto nel nulla.» A dire il vero, l’illecito addestramento di arti marziali e gli attacchi degli Strigoi non si potevano definire propriamente noiosi, ma volevo far sentire meglio la mia piccola amica. «E poi non sarà per molto.» Le vacanze estive dei Moroi duravano meno di due mesi. I genitori non vedevano l’ora di riportare i figli al sicuro nell’Accademia.
«Già» disse Jill, poco convinta. Arrivammo alla loro auto e caricai lo scatolone nel bagagliaio.
«Ti scriverò delle email ogni volta che posso» le promisi. «E scommetto che anche Christian lo farà. E chissà, potrei convincere Adrian a scriverti.»
Jill sorrise raggiante, e io fui lieta di vederla tornare alla sua consueta euforia. «Davvero? Sarebbe magnifico. Voglio sapere tutto quello che succede a corte. Probabilmente avrai un sacco di avventure fichissime con Lissa e Adrian, e scommetto che Christian scoprirà un sacco di cose… su certe cose.»
Emily parve non notare il goffo tentativo di autocensura della figlia, e mi rivolse un sorriso garbato. «Grazie per il tuo aiuto, Rose. È stato un piacere conoscerti.»
«Anche per me… ehi!»
Jill mi aveva travolta in un abbraccio. «Buona fortuna per tutto» disse. «Sei così fortunata… ti aspetta una vita fantastica!»
Ricambiai l’abbraccio, incapace di spiegare quanto fossi io a invidiare lei. La sua vita era ancora sicura e innocente. Magari non le andava di passare l’estate a Detroit, ma il soggiorno sarebbe durato poco e ben presto sarebbe tornata nel mondo familiare e confortevole della St. Vladimir. Non le sarebbe toccato di andare in un mondo sconosciuto e irto di pericoli.
Soltanto quando lei e sua madre si furono allontanate in auto riuscii a trovare la forza di rispondere al suo commento. «Lo spero» mormorai, pensando al mio futuro. «Lo spero proprio.»
Il giorno dopo presi l’aereo insieme ai miei compagni di classe e al ristretto gruppo di Moroi selezionati. Ci lasciammo alle spalle le montagne rocciose del Montana per volare verso le dolci colline della Pennsylvania. La Corte Reale era come la ricordavo: aveva la stessa aria imponente e antica che la St. Vladimir cercava di trasmettere con i suoi edifici turriti e l’architettura gotica. Ma laddove la scuola cercava di emanare anche un senso di raccoglimento e di studio, la Corte era più appariscente. Era come se i palazzi stessi volessero infondere nei nuovi arrivati la consapevolezza che quella era la sede del potere regale dei Moroi. La Corte Reale voleva stupirci e, perché no?, intimorirci al tempo stesso.
Sebbene ci fossi già stata, m’impressionò comunque. Le porte e le finestre delle costruzioni di pietra scura erano incorniciate da decorazioni di oro zecchino. Non si potevano paragonare allo splendore dei palazzi che avevo visto in Russia, ma intuii che gli architetti di Corte avevano progettato quegli edifici tenendo a mente quelli europei, i castelli e i palazzi di San Pietroburgo. La St. Vladimir aveva panchine e sentieri nei cortili e nei giardini, ma la Corte si era spinta oltre. Fontane e statue di passati regnanti ornavano i prati, squisite opere di marmo che l’ultima volta non avevo visto perché coperte dalla neve. Invece, nel pieno fulgore dell’estate facevano bella mostra di sé spiccando in un tripudio di fiori, alberi, cespugli… era uno spettacolo da togliere il fiato.
Era abbastanza logico che i neodiplomati visitassero la sede centrale dei guardiani, ma avevo il sospetto che ci portassero lì d’estate anche per un’altra ragione. Volevano che i miei compagni e io ci sentissimo soggiogati da tutto quello splendore e apprezzassimo la gloria per cui avremmo combattuto. Nello studiare i volti dei miei compagni, mi accorsi che la tattica stava funzionando. La maggior parte di loro non era mai stata a Corte.
Lissa e Adrian avevano viaggiato in aereo con me, e seguivamo il gruppo tutti e tre vicini. Faceva caldo come in Montana, ma qui era molto più umido. Dopo appena qualche passo, ero già in un bagno di sudore.
«Ti sei portata un vestito elegante stavolta, vero?» mi chiese Adrian.
«Certo» risposi. «So che ci saranno dei ricevimenti a cui dovremo partecipare, oltre al benvenuto ufficiale. Ma forse in quell’occasione mi faranno mettere la tenuta bianca e nera.»
Lui scosse la testa e notai che la sua mano andava alla tasca della giacca, esitò, e poi ricadde al suo fianco. Stava sicuramente facendo progressi, nel suo impegno di smettere di fumare, ma l’abitudine di cercare automaticamente il pacchetto ogni volta che si trovava all’aperto doveva essere difficile da abbandonare.
«Voglio dire per stasera. A cena.»
Rivolsi un’occhiata interrogativa a Lissa. Il suo programma a Corte prevedeva sempre eventi a cui le persone “normali” non erano invitate. Con il mio nuovo e incerto status, non ero sicura che sarei andata con lei. Avvertii la sua perplessità attraverso il legame e capii che nemmeno lei era a conoscenza di cene speciali.
«Quale cena?» chiesi.
«Quella che ho organizzato con la mia famiglia.»
«Quella che hai…» Mi fermai di colpo e lo fissai con gli occhi sbarrati. Aveva un sorrisino malizioso che non gradii affatto. «Adrian!» Un paio di neodiplomati mi rivolsero sguardi incuriositi mentre ci passavano accanto.
«Andiamo. Stiamo insieme da un paio di mesi ormai. Conoscere i genitori fa parte del rituale di accoppiamento. Ho conosciuto tua madre. E perfino quello sbudellatore di tuo padre. Ora tocca a te. Ti garantisco che nessuno dei miei ti dirà niente di lontanamente simile a quello che mi ha detto tuo padre.»
A dire il vero avevo già incontrato il padre di Adrian una volta. O meglio, lo avevo visto a una festa. Dubito che sapesse chi ero, se non per la mia pessima reputazione. E non sapevo praticamente niente della mamma di Adrian. Lui parlava molto poco dei membri della sua famiglia… be’, della maggior parte, intendo.
«Soltanto i tuoi genitori?» m’informai guardinga. «Nessun altro parente di cui dovrei sapere?»
«In effetti…» La mano di Adrian fremette di nuovo. Immagino che questa volta volesse una sigaretta come una sorta di protezione dallo sguardo minaccioso che gli avevo rivolto. Lissa sembrava divertirsi un mondo a quella scena. «La mia prozia preferita potrebbe fare un salto.»
«Tatiana?» sbottai. Per la centesima volta mi chiesi quale sfortuna cosmica mi avesse spinta fra le braccia di un ragazzo imparentato con la regina dei Moroi. «Lei mi odia! Lo sai cosa è successo l’ultima volta che ci siamo parlate.» Sua Altezza Reale me ne aveva cantate quattro, urlando che ero una sciacquetta indegna di frequentare suo nipote e che aveva grandi “progetti” per lui e Lissa.
«Penso che potrebbe venire per un saluto.»
«Oddio, no.»
«Tranquilla, dài.» Sembrava sincero. «Ho parlato con mia madre l’altro giorno e… non so. A quanto pare zia Tatiana non ti odia più tanto.»
Scossi la testa incredula, e ricominciammo a camminare. «Magari apprezza i tuoi successi da vigilante» ipotizzò Lissa.
«Può darsi» borbottai, ma non ci credevo. Semmai, il mio ultimo colpo di testa doveva avermi resa ancor più detestabile agli occhi della regina.
Per un verso mi sentivo tradita da Adrian, che aveva organizzato questa cena a mia insaputa, ma ormai non potevo più tirarmi indietro. D’altra parte, avevo l’impressione che avesse solo voluto prendermi in giro dicendo che sarebbe passata sua zia. Gli assicurai che sarei andata e la mia decisione lo mise di buon umore, tanto che non indagò quando Lissa e io lo informammo che quel pomeriggio avevamo da sbrigare una “nostra faccenda”. I miei compagni avrebbero visitato la Corte e i suoi vasti giardini in quanto parte irrinunciabile dell’orientamento, ma io avevo già visitato tutto in precedenza e quindi ero riuscita a farmi esonerare. Lissa e io lasciammo i bagagli nelle nostre rispettive stanze e ci avviammo verso l’ala più distante della Corte dove abitavano le persone di estrazione sociale più bassa, i non reali.
«Allora, mi dici qual è quest’altra parte del tuo piano?» mi domandò Lissa.
Da quando Abe mi aveva parlato della prigione di Victor, avevo cominciato a stilare una lista mentale dei problemi che avremmo dovuto affrontare. I principali erano due, uno in meno di quelli che avevo prima di parlare con Abe. Non che le cose si fossero semplificate, tutt’altro. Innanzitutto, non avevamo il minimo indizio su dove in Alaska si trovasse la prigione. In secondo luogo, non sapevamo che tipo di struttura fosse né quali difese avesse. Non avevamo idea di come entrarci.
Eppure qualcosa mi diceva che avrei avuto tutte le risposte da un’unica fonte, perciò avevo solo un grosso problema da risolvere nell’immediato: come arrivare a quella fonte. Per fortuna conoscevo qualcuno in grado di aiutarci a raggiungerla.
«Andiamo a trovare Mia» le dissi.
Mia Rinaldi era una nostra ex compagna di classe Moroi… una ex nemica, a dirla tutta. Era un esempio ideale di restyling della personalità: da stronza patentata disposta a farsi chiunque nella sua vanesia ricerca della popolarità era diventata una ragazza coi piedi per terra e sicura di sé, desiderosa di imparare a combattere per difendere se stessa e gli altri dagli Strigoi. Ormai viveva a Corte con suo padre.
«Pensi che Mia sappia come entrare di nascosto in una prigione?»
«Mia è in gamba ma non fino a questo punto, temo. Però potrebbe aiutarci con l’intelligence.»
Lissa brontolò. «Non ci posso credere che hai appena usato la parola intelligence. Come in un film di spionaggio.» Il suo tono era canzonatorio, ma avvertii una sincera preoccupazione in lei. Prendermi in giro era un modo per mascherare le sue inquietudini, la paura di Victor che ancora la tormentava, nonostante la sua promessa.
I non reali che lavoravano e svolgevano mansioni ordinarie a Corte abitavano lontano dai saloni delle feste e dagli appartamenti della regina. Mi ero procurata in anticipo l’indirizzo di Mia, così ci incamminammo sul prato impeccabile lamentandoci fra noi dell’afa opprimente. La trovammo in casa, vestita con semplicità – solo un paio di jeans e una T-shirt – con un ghiacciolo in mano. Spalancò gli occhi quando ci vide sulla porta.
«E voi che cosa ci fate qui?» esclamò.
Mi venne da ridere. Era il tipo di reazione che avrei avuto io. «Anche per noi è un piacere rivedert...
Indice dei contenuti
- Cover
- Frontespizio
- Copyright
- Dedica
- Uno
- Due
- Tre
- Quattro
- Cinque
- Sei
- Sette
- Otto
- Nove
- Dieci
- Undici
- Dodici
- Tredici
- Quattordici
- Quindici
- Sedici
- Diciassette
- Diciotto
- Diciannove
- Venti
- Ventuno
- Ventidue
- Ventitré
- Ventiquattro
- Venticinque
- Ventisei
- Ventisette
- Ringraziamenti