Il Conto Vaticano
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Il Conto Vaticano

  1. 384 pagine
  2. Italian
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  4. Disponibile su iOS e Android
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Il Conto Vaticano

Informazioni su questo libro

Chi ha mandato una corona di fiori, a nome di un pontefice non ancora eletto, al funerale di un banchiere di New York assassinato in un vicolo? È uno dei misteri su cui il nuovo papa Giustino cerca di far luce, mentre lavora in segreto alla sua rivoluzionaria riforma della Curia. E quando, tra le carte sigillate del suo predecessore, trova i riferimenti a venticinque depositi bancari di cui nessuno ha mai sentito parlare, chiede aiuto al l'unica persona di cui si fida: Ludovico Siniscalchi, un sacerdote con un passato nei servizi segreti italiani. Fra doppi giochi e pedinamenti, intercettazioni a personaggi apparentemente intoccabili e attacchi allo IOR, la solidità della fede di Ludovico viene messa in pericolo anche dalla ricomparsa della bella Felicitas, con cui aveva vissuto una passione travolgente che solo la lontananza aveva spento. Ma deve portare a compimento la sua missione, costi quel che costi: perché beati saranno coloro che metteranno per primi le mani sul Conto Vaticano. Un conto bancario segreto, di proporzioni scandalose, che può far vacillare non solo la Chiesa, ma gli stessi equilibri geopolitici del mondo. Carlo Marroni ci mostra il volto oscuro del Vaticano, rivelando retroscena e giochi di potere che inquietano quanto più si avvicinano alla realtà. E dopo aver predetto l'ultimo conclave, ancora una volta è formidabile nel raccontare ciò che accade, prima che accada.

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Informazioni

Anno
2014
Print ISBN
9788817072038
eBook ISBN
9788858664155

1

Accostò forchetta e coltello da pesce sul bordo inferiore del piatto. Il segnale per gli altri che il pranzo era terminato. Il branzino in crosta di sale marino con panache di vegetali era il suo piatto preferito del ristorante sulla Cinquantaquattresima Strada, tra Madison e la Quinta. Era lì che i banchieri si recavano quando volevano farsi vedere: lontano da Wall Street e dai suoi broker chiassosi. I veri signori del denaro andavano in centro, nei soliti ristoranti a cinque stelle o nei loro circoli privati affacciati su Park o tra la Quarantatreesima e la Quarantaquattresima Strada.
«Bene signori, mi pare che siamo d’accordo su tutto. Per ricapitolare: la vostra banca partecipa per il dieci per cento sul prestito principale a due anni, ma vi accollate il cinquanta per cento della parte rotativa che eccede i tre miliardi. Tre ottavi di commissione.»
«Sì, siamo d’accordo.»
«Molto bene, allora. È stato un piacere fare affari con voi.»
«Anche per noi. Arrivederci, presidente.»
«Arrivederci.»
Lucas Allen, capo assoluto e incontrastato della First Credit, aveva appena concluso il quinto grosso affare del giorno. Molto spesso gli capitava di chiudere una trattativa a pranzo, ma lui mangiava l’essenziale: niente pane, assaggiava appena il vino ricercato che ordinava, e il dolce era bandito da tempo immemorabile, feste comprese. Era in forma, e questo gli consentiva di restare sempre concentrato. Ma soprattutto gli garantiva che gli altri si concentrassero su di lui. Era il segreto del carisma, piacere senza stuccare, farsi imitare senza dar spettacolo, lasciarsi trovare ma poi sparire.
I signori del denaro spesso salivano al vertice facendo lavorare gli altri, senza avere idea di cosa rappresentassero le mille voci dei loro ricchi bilanci, grazie ai quali però intascavano cifre da capogiro. Lui no: figlio di un postino e di una bidella, arrivava dalla dura gavetta delle sale operative, aveva spalato il denaro per conto di altri prima di intascarlo, e conosceva a fondo tutti i meccanismi, le scorciatoie e i trabocchetti. Amava entrare nel business, accarezzare la ruota che faceva girare i soldi, fissare con occhio paterno il margine che si materializzava.
L’affare concluso a pranzo gli dava un cuscinetto di una ventina di milioni aggiuntivi sul budget trimestrale, che non avrebbe certo scomodato quando si sarebbero chiusi i bilanci e fissati i bonus. Sempre più ricchi.
Quando uscì dal ristorante il cielo era coperto di nuvole, ma non minacciava pioggia. Avrebbe camminato fino alla sede della banca: erano sei blocchi, una decina di minuti se avesse preso la solita scorciatoia che tagliava dietro i grandi magazzini Blum’s. Camminare era l’altra regola. Camminare sempre, e fare sempre le scale a piedi per quanto a New York fosse possibile.
A metà del vicolo incrociò una persona che, per un momento, lo fissò negli occhi. Non ci badò: succedeva spesso, il suo era un volto che calamitava la curiosità e incuteva rispetto e ammirazione. Anche per strada.
Il colpo gli fu sparato da dietro le spalle. Un sibilo sordo. Un colpo solo, alla testa.
Si accasciò come un vestito lasciato cadere in terra dall’attaccapanni. Il sangue cominciò a sgorgare sul selciato dopo qualche attimo.
I due uomini che lo avevano seguito per giorni, e che dalla mattina non lo avevano perso di vista un momento, neppure dentro la banca, si separarono senza farsi neanche un cenno, dirigendosi uno verso nord, l’altro a ovest, mescolandosi alla gente sui marciapiede. Erano professionisti, sapevano cosa fare. Il primo raggiunse la metropolitana, prese la linea che portava a Queens, dopo tre fermate cambiò e tornò verso South Manhattan, per poi prendere un’auto parcheggiata e imboccare il tunnel verso il New Jersey. L’altro camminò parecchio cambiando continuamente direzione, entrò e uscì da molti negozi, e alla fine si infilò in un cinema, ma senza entrare in sala. Imboccò direttamente l’uscita di emergenza, che aveva l’allarme disattivato grazie a un intervento di un’ora prima. Si dileguarono.
Il cadavere fu scoperto dieci minuti dopo dagli addetti alla nettezza urbana che avrebbero dovuto svuotare i cassoni del vicolo. La polizia arrivò in un baleno, le tv subito dopo. Fu la notizia di apertura dei notiziari della sera di tutto il Paese, e il titolo di testa dei giornali del giorno dopo, e di quello dopo ancora. Il sindaco repubblicano di New York fu chiamato dal direttore dell’FBI, dal presidente della Federal Reserve, dal direttore generale del Fondo monetario internazionale, e anche dal capo dello staff della Casa Bianca, guidata da un democratico, che precedette di poco il segretario al Tesoro. Allen conosceva bene il presidente fin dai tempi in cui era governatore – ne aveva generosamente finanziato la campagna elettorale, così come quella del sindaco – mentre il capo della banca centrale era stato spesso suo ospite nella villa davanti al mare del Maine, dove andavano insieme a pesca d’altura.
Si scatenò la caccia all’uomo, fu mobilitata una mezza dozzina di agenzie governative oltre al dipartimento di polizia, ma fu subito chiaro che l’assassino non aveva lasciato tracce né indizi. Le indagini sarebbero proseguite per giorni, ma nessuno si aspettava che si arrivasse al colpevole né tantomeno al mandante.
I solenni funerali nella cattedrale cattolica di St. Patrick furono trasmessi in diretta televisiva nazionale; i diritti erano stati comprati dai canali di mezzo mondo.
Il cardinale di New York nell’omelia tuonò con voce possente, degna dei tagliaboschi irlandesi da cui discendeva: «Nella mia mente, o Dio, risuona una domanda martellante: perché, Signore? Perché questa morte? Guardo Te sulla croce cercando la risposta. Il dolore è troppo grande, ma tutti noi troviamo conforto nella certezza che Lucas, terminata la sua vita terrena, una vita di sposo e padre premuroso costellata di successi ma soprattutto di opere giuste per la sua Chiesa e per i bisognosi della Terra, possa ora iniziare quella eterna. Dio, dài a tutti noi quaggiù, e soprattutto ai suoi cari, a chi aveva avuto la fortuna di conoscerlo da vicino, la forza di superare la sofferenza per la tragica perdita».
Un lungo applauso salutò l’uscita della bara, portata a spalla dai presidenti delle maggiori sei banche americane, nessuno dei quali cattolico. Tre erano ebrei, due battisti e uno indù di nascita. Nessuno era neppure vagamente praticante.
Allen invece era cattolico, un buon cattolico. Il cardinale lo chiamava ogni volta che aveva bisogno e lui non si sottraeva mai: aiutava la Chiesa elargendo grosse offerte o attivando la propria influenza. Lo stesso se lo chiamava un vescovo o il responsabile di qualche congregazione religiosa, come quella dei gesuiti presso i quali aveva studiato a Washington.
Un’infinità di corone floreali ornava l’altare della cattedrale. La più grande, deposta al centro della scalinata, era composta da fiori bianchi e gialli e arrivava direttamente da Roma. Dal Santo Padre.

2

Il papa era stato appena eletto. Alla messa di inaugurazione del pontificato avevano partecipato capi di Stato e di governo di 134 Paesi, oltre a mezzo milione di persone accorse da tutta Italia e da molti Paesi cattolici. Il nuovo pontefice era uscito molto rapidamente dal voto nella Cappella Sistina nonostante il suo nome non fosse tra quanti erano considerati favoriti nei pronostici della vigilia. Tuttavia era apparso chiaro sin dalle riunioni preliminari che intercorrono tra la morte del Santo Padre e il voto del collegio cardinalizio – le Congregazioni generali, in cui i porporati parlano e cercano di farsi apprezzare o semplicemente ascoltare sui temi che ritengono importanti per la vita della Chiesa – che i due candidati accreditati sulla stampa come i più forti alla fine non lo erano affatto. E che i signori cardinali, specialmente quelli delle diocesi più lontane da Roma, non avrebbero accettato di subire le pressioni e gli intrallazzi dei loro colleghi di Curia, che pensano sempre di poter decidere dei destini della Chiesa senza tener conto del miliardo e passa di fedeli. Se questo era vero in passato, non lo era più nell’età presente. E infatti i due favoriti non avevano preso più di una decina di voti nella prima votazione, per poi scomparire del tutto o quasi già nella seconda, quella decisiva.
Il papa aveva scelto il nome di Giustino, in ricordo di Giustino di Nablus: il padre della Chiesa venerato anche dagli ortodossi era originario della Palestina, terra a cui il nuovo pontefice era particolarmente legato e dove aveva a lungo studiato le Sacre scritture. La sua scelta indicava la strada da percorrere per arrivare a un riabbraccio con i fratelli separati della Chiesa ortodossa, soprattutto quella russa, uno dei capitoli irrisolti dai precedenti papi.
«Santo Padre, le ho sistemato tutto sul tavolo da lavoro. I documenti erano lì al momento del sigillo dell’Appartamento, e ho verificato che siano gli stessi» disse il monsignore della Segreteria di Stato – altezza media e capelli nerissimi pettinati di traverso con molta cura, elegante nel portamento e con i gemelli ai polsi – che gli era stato assegnato per i primi giorni dal momento che il segretario particolare che lo serviva da anni aveva appena subìto una delicata operazione al cuore e non aveva potuto seguirlo a Roma. Lo avrebbe raggiunto non appena si fosse ristabilito, ma per ora il papa doveva arrangiarsi con il personale che la Curia gli aveva messo a disposizione.
«Sì, li ho visti stamattina quando abbiamo rotto i sigilli. Vi ho fatto caso subito. Sono parecchi, mi pare.»
«Per la verità, Santità, molti sono documenti di natura formale, che sarebbe auspicabile firmasse quanto prima per prassi canonica. Quelli più direttamente di suo interesse credo siano questi» e sfiorò un pila più bassa, al lato del tavolo.
«In che senso sono di mio più diretto interesse?»
«Sono le carte che le ha trasmesso direttamente il suo predecessore, nessuno le ha aperte…»
«… e avremo modo, se lo ritiene, di esaminarle insieme domattina, Santità» lo interruppe Carlo Montemurro, il Segretario di Stato, entrato in quel momento nello studio senza bussare.
«Ah. Buonasera, cardinale.»
Il papa si era voltato di scatto con uno sguardo sorpreso. Anche il tono tradì una certa irritazione per come l’altro era entrato nello studio. L’anziano porporato, alto, magro e con folti capelli bianchi, capì di essere stato inopportuno. L’atteggiamento quantomeno disinvolto che aveva potuto tenere con il predecessore lo aveva indotto a un’imprudenza.
«Santo Padre, mi scusi se sono entrato così, ma non ho trovato nessuno in anticamera e mi sono affacciato…»
«Ed è normale?»
«Che cosa?»
«Che non vi sia nessuno in anticamera?»
«No, direi di no… non saprei. Monsignore?»
«Non ci sono addetti di anticamera. La Vostra Santità non ha indicato espressamente nei giorni scorsi un segretario particolare e la Segreteria di Stato le ha assegnato provvisoriamente… me, e quindi in sostanza non vengono impartiti ordini nuovi» rispose il prelato.
«Beh, lo faccia lei, se e quando è necessario: mi è stato assegnato a questo scopo, mi pare. Lei è il mio segretario particolare, fino a nuovo ordine. Però non parli di ordini, non siamo in una caserma militare. Li chiami incarichi, mi pare più appropriato, no?»
«Certo, Santità.»
«Bene, allora buona notte. Io mi ritirerò a leggere e pregare, domani vedremo il da farsi. Domattina non farò udienze, ne riparliamo più avanti. E lei, cardinale, non so… faccia quello che fa di solito… insomma, la chiamerò io.»
«Ah… certo, come desidera, Santità.»
I due uscirono dall’Appartamento senza proferire parola. Sulle scale Montemurro sussurrò una frase breve, girandosi appena verso il giovane ma senza guardarlo in faccia.
«Monsignore, mi faccia sapere. Tutto.»
«Non dubiti, Eminenza.»
Là, in quelle stanze, bastavano poche parole.
La verità era che il Segretario di Stato con quella elezione era stato totalmente tagliato fuori da qualsiasi futuro assetto. A parte l’età avanzata, la sua formazione e la sua opera – giudicata quantomeno discutibile durante il precedente pontificato – lo escludevano da una conferma che andasse oltre la mera formalità. Infatti le leggi vaticane racchiuse nella costituzione apostolica Universi Dominici Gregis prevedono che, non appena un pontefice muore, tutte le cariche di Curia decadano automaticamente; di norma ogni nuovo papa conferma gli incarichi precedenti donec aliter provideatur, fino a quando non si provvederà in modo diverso, prendendosi così un po’ di tempo per decidere i collaboratori di sua fiducia, primo fra tutti il Segretario di Stato che è il primo ministro del governo pontificio. Non perde il suo titolo, però, il Penitenziere maggiore: il capo del dicastero per le confessioni e le indulgenze deve prendersi cura delle anime anche durante la sede vacante. Non decadono neppure il Vicario per Roma – il vero «vice» del papa, poiché il pontefice è tale in quanto vescovo di Roma, e non il contrario – né l’Arciprete di San Pietro. Ma soprattutto non decade l’incarico del Sostituto della Segreteria di Stato, il numero tre della Curia, che deve garantire la continuità delle funzioni di governo. È il prelato che di fatto ha in mano tutta la macchina delle Sacre stanze. Ma solo se è uno sveglio.

3

L’arcivescovo Ranuccio Altomonti era senz’altro uno sveglio. Nominato Sostituto dal precedente papa quattro anni prima, a un’età abbastanza giovane per quel posto, era già stato nunzio apostolico, ambasciatore della Santa Sede, in Cile e aveva ricoperto incarichi delicati negli uffici romani della seconda sezione della Segreteria di Stato, quella delle relazioni internazionali, poi nell’ufficio dell’osservatore vaticano all’ONU e successivamente nella nunziatura in Israele a Tel Aviv, che ha competenza anche sulla delegazione apostolica per la Palestina, sul Monte degli Ulivi a Gerusalemme Est. Era stato posto su quella poltrona contro la volontà del suo capo diretto, il Segretario di Stato Montemurro, che gli avrebbe preferito un suo protetto poco brillante ma sicuramente molto più fedele e meno ingombrante. Di certo meno antipatico.
Nei quattro anni di incarico il Sostituto era riuscito a far confluire sul proprio tavolo tutti i principali dossier sulle questioni interne della Curia, a partire da quello, fondamentale, riguardante le finanze vaticane, tralasciando invece quelli internazionali – di cui si occupava il Segretario per i Rapporti con gli Stati – che nella politica del precedente pontificato avevano ricoperto un ruolo molto marginale. Altomonti era appoggiato dalla potente lobby dei nordamericani, che negli ultimi anni si era molto rafforzata soprattutto grazie alle indiscrezioni fatte arrivare alla stampa tramite cui erano state stroncate diverse carriere, sia laiche sia ecclesiastiche. In quel modo il Sostituto aveva avuto l’appoggio di potenti organizzazioni laicali statunitensi, una su tutte quella dei ricchissimi Cavalieri di Colombo, che avevano eroso terreno nelle Sacre stanze ai ben più antichi Cavalieri di Malta, che pure contavano ancora molti appoggi tra le porpore.
Erano due anni che Altomonti metteva insieme tutti i possibili tasselli per spiccare il grande salto alla guida della Segreteria di Stato, ma il diavolo ci aveva messo lo zampino facendo aggravare e poi morire in poco tempo il vecchio papa. Troppo presto per ciò che aveva in testa. Ora paradossalmente il vecchio Segretario di Stato, sicuramente più autorevole di lui nell’aspetto fisico, per qualche tempo sarebbe tornato nella pienezza dei poteri. In attesa delle decisioni del nuovo capo della Chiesa, con cui non aveva mai avuto contatti diretti in passato.
Il Sostituto accese il computer e si collegò a un server esterno alla rete vaticana a cui aveva agganciato un indirizzo riservato di posta elettronica anonimo. Lesse il messaggio appena arrivato:
I faldoni sono ancora là, non li ha aperti. Dovrebbe farlo domani, ma non credo convocherà Montemurro. Alla sua proposta poco fa non ha risposto, anzi mi pare che lo abbia liquidato in modo sbrigativo. Il cardinale mi ha intimato di tenerlo aggiornato.
La risposta fu secca. Senza firma.
E lei lo tenga aggiornato, ma sappia selezionare i contenuti. Sa cosa voglio dire.
Altomonti aveva discretamente fatto in modo che il segretario provvisorio del pontefice fosse un prelato di suo gradimento, selezionato con cura, al quale aveva affidato il mandato senza mezzi termini né giri di parole ricchi di metafore dottrinali: «Lei sarà i miei occhi e le mie orecchie. Non mi deluda» gli aveva detto pochi giorni addietro, a mezz’ora dalla fine del conclave e appena prima dell’inizio del discorso papale dalla grande loggia di San Pietro. Lui non era cardinale, quindi era rimasto fuori dal conclave, aveva atteso la fumata bianca dal suo ufficio e poi si era avvicinato al portone della Sistina per fare atto di omaggio al nuovo papa, insieme agli altri. Appena un inchino, mentre Giustino era girato dalla parte opposta per dire qualcosa al maestro delle celebrazioni.
Il giovane ...

Indice dei contenuti

  1. Cover
  2. Frontespizio
  3. Copyright
  4. Dedica
  5. 1
  6. 2
  7. 3
  8. 4
  9. 5
  10. 6
  11. 7
  12. 8
  13. 9
  14. 10
  15. 11
  16. 12
  17. 13
  18. 14
  19. 15
  20. 16
  21. 17
  22. 18
  23. 19
  24. 20
  25. 21
  26. 22
  27. 23
  28. 24
  29. 25
  30. 26
  31. 27
  32. 28
  33. 29
  34. 30
  35. 31
  36. 32
  37. 33
  38. 34
  39. 35
  40. 36
  41. 37
  42. 38
  43. 39
  44. 40
  45. 41
  46. 42
  47. 43
  48. 44
  49. 45
  50. 46
  51. 47
  52. 48
  53. 49
  54. 50
  55. 51
  56. 52
  57. 53
  58. 54
  59. 55
  60. 56
  61. 57
  62. 58
  63. 59
  64. 60
  65. 61
  66. 62
  67. 63
  68. 64
  69. 65
  70. 66
  71. 67