Il libro della gioia perpetua
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Il libro della gioia perpetua

  1. 363 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Il libro della gioia perpetua

Informazioni su questo libro

Uno scrittore, appena arrivato a Napoli, scopre che l'evento a cui doveva partecipare è stato annullato all'ultimo minuto. Ma il viaggio, in apparenza inutile, lo porta all'incontro fortuito con un quaderno misterioso, Il libro di Clara e Riki, scritto da una bambina di otto anni e ambientato nel favoloso mondo di Lossiniere, un paese dove non suonano i telefoni e si viaggia in carrozza. Lentamente, lo scrittore viene rapito dalla dolcezza infantile di questo racconto, e inizia un percorso attraverso quelle pagine miracolose in grado di risvegliarlo dal torpore e dalla rassegnazione in cui era sprofondato. Un romanzo di grande coraggio, capace di avvolgerci in una spirale che, complice una prosa perfetta, porta dritti dritti al nucleo del nostro vivere.

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Informazioni

Editore
BUR
Anno
2013
Print ISBN
9788817070379
eBook ISBN
9788858663455

II
Humana Fragilitas

Il Tema, detto in breve, consiste nell’antichissima storia, divisa in tredici capitoli e un epilogo, della nascita, vita, morte e resurrezione del dio dell’Anno Crescente. I capitoli centrali riguardano la battaglia da lui combattuta e persa contro il dio dell’Anno Calante per amore della capricciosa e onnipotente Triplice Dea, madre di entrambi, loro sposa e seppellitrice. Il poeta identifica se stesso con il dio dell’Anno Crescente e la sua Musa con la Dea; il rivale è il suo fratello di sangue, il suo doppio, il suo weird o destino. Tutto ciò che è vera poesia […] celebra qualche episodio o qualche scena di questa antichissima storia, i cui tre personaggi principali sono a tal punto parte della nostra eredità razziale che non si limitano a imporsi nella poesia, ma si manifestano in occasioni di particolare intensità emotiva sotto forma di sogni, visioni paranoiche e deliri.
Robert Graves, La Dea Bianca











In calce al memoriale c’erano dei recapiti (indirizzo e numero di telefono) che in quei mesi non avevo mai adoperato. A quel punto, la signora Mastellone, che da parte sua non aveva tentato di contattarmi, doveva essersi rassegnata, convinta che quella specie di messaggio nella bottiglia non avesse raggiunto il suo destinatario. Il mio silenzio doveva averla confermata nel timore che il Libro, e di conseguenza la sua testimonianza, non fossero riusciti a catturare la mia attenzione. In realtà, era accaduto l’esatto contrario, ma la mia scortesia aveva una buona ragione nel timore che mi metteva quella volontà, sinceramente espressa, di scaricare il Libro e la sua storia su un paio di nuove spalle. C’è da aggiungere che la singolare patologia del sonno in cui mi dibattevo, con la sensazione di giorno in giorno più stringente di affondare in una sabbia mobile, mi rendeva restìo a ogni forma di impegno con il prossimo. Ho già detto che non riuscivo a chiedere aiuto a nessuno. E più fingevo, più la mia solitudine mi circondava, diventava spessa e opaca come uno schermo, una materia, infine un mondo del quale ero l’unico abitante – il suo demiurgo e nello stesso tempo il suo prigioniero. Mettiamola così: l’infelice vede se stesso precipitato in fondo a un pozzo, il pozzo oscuro e senza fondo della sua infelicità. Ma se qualcuno gli manda giù un pezzo di corda, è frequente che, invece di fare salti di gioia e manifestare tutta la gratitudine che prova, si finga già morto, lasciando penzolare inerte quell’estremo soccorso. Amara e inutile, è una soddisfazione che gli costerà cara – ma in una certa misura, non può farci nulla. È la sua stessa infelicità che, al fine di perpetuarsi, gli detta questo istinto di isolamento. La signora Mastellone, al contrario, si era dimostrata una persona assolutamente autentica, spontanea, capace di dirsi la verità. Nella sua vita, era stata capace di amare e di ammettere il suo amore. La conoscenza del Libro e della sua autrice aveva significato per lei una vera e propria rivelazione. Sentendosi (a torto o a ragione) ormai fragile e vicina alla fine del suo viaggio, desiderava dei testimoni. E il suo carattere, così diverso dal mio, non le metteva bastoni tra le ruote se aveva bisogno di chiedere aiuto, di confidarsi, di confessare i suoi affetti più intimi. Certo, il metodo che aveva scelto per coinvolgermi aveva grandi margini di incertezza e aleatorietà – avrei potuto lasciare la busta che mi aveva consegnato in treno, senza manco aprirla, e non pensarci più. Eppure, cos’altro doveva fare? Pubblicare il Libro a proprie spese? Contattare un giornale? Era una persona intelligente: cercava una persona capace di capire, non un pubblico. C’è del metodo in ogni follia, della follia in ogni metodo. Fatto sta che un risultato si era prodotto, e quel risultato ero proprio io. Come il professor Lucchesi, anch’io avevo preso a considerare Clara e Riki due guide. A differenza di Lucchesi, però, non era l’aldilà a interessarmi, ma un aldiquà altrettanto tenebroso, inesplicabile, sconcertante.











Come per lasciare a Clara e Riki il tempo di riposarsi e riprendersi dalle emozioni della gita a Roma con lo zio Roby, il Libro dedica un breve intermezzo, che occupa tutto il sesto capitolo, a Carol, la bambina dai riccioli biondi già incontrata, fra gli altri “amiconi”, nelle prime pagine. La vita a Lossiniere scorre nel migliore dei modi possibili, non c’è dubbio, ma nulla ci permette di ritenere che il villaggio, pur così ridente, sia del tutto al riparo dai vincoli della Necessità, come ogni altro luogo di questo afflitto e angosciato mondo. Carol, per esempio, appartiene a una famiglia decisamente povera. Ogni giorno si alza all’alba per prendere le uova nel pollaio, mungere le mucche, cogliere non meglio precisati “frutti per la colazione”. Il padre, che deve andare a lavorare, non può aiutarla, e la mamma è troppo “malandata di salute”. Ciò non le impedisce, a undici anni, di vedere la vita dal suo lato giusto. Con una delle sue espressioni ardite e folgoranti, che conviene sottolineare, il Libro dice che Carol “trovava tutte le cose belle della sua vita”. Ben diverso sarebbe stato dire che Carol “trovava belle tutte le cose della sua vita” – disposizione d’animo verosimile solo in un idiota o in un ipocrita. Non è bello essere poveri, non è bello alzarsi all’alba a mungere vacche e raccogliere uova. Semmai, le cose belle vanno trovate, dopo essersi messi in testa che vale la pena cercarle. Alla sommità di tutte le cose belle, per Carol c’è Frank il pastore. A torto, mi rendo conto, ho definito l’idillio di Carol e Frank il pastore un intermezzo. Semmai il Libro, nel momento in cui più sembra divagare, sta affrontando una delle sue verità più importanti. Il margine coincide con il centro. A prima vista, infatti, questo amore sembra una replica, una versione proletaria, lietamente campestre del legame tra Clara e Riki. E invece, alla maniera di un chiaroscuro, il confronto esalta una differenza fondamentale. Tra gli innumerevoli fili che legano Clara e Riki, tanto da renderli indistricabili come i getti di un rampicante tropicale, possiamo certamente supporre che l’amore abbia la sua parte. E nella gerarchia corrente delle relazioni umane, esiste qualcosa di immaginabile, per intensità e pienezza, oltre l’amore? Come in una grande fiamma divoratrice, tutto il resto sembra venire bruciato lì dentro. Tanto che se dico che amo una persona, o che due persone si amano, sto indicando un limite, oltre il quale non si può presumere un ulteriore grado. In tutti i tempi e in tutte le culture, i mistici si sono rivolti al loro Dio col linguaggio e i sentimenti dell’amore umano, proprio perché, in tutto ciò che è umano, non c’è nulla di più prezioso da offrire – né l’amicizia né il rispetto, né la devozione né la compassione. Eppure, se è indubbio che esiste la felicità dell’amore, non c’è nulla al mondo di più incerto, reversibile, soggetto alle insidie del tempo. Fin dalla prima volta che proviamo amore, accediamo a una serie particolare di dolori e sofferenze che non sospettavamo nemmeno di poter provare, sofferenze e dolori capaci, letteralmente, di annientare qualunque individuo, di prosciugare le sue riserve di energia vitale. Il solo fatto di sentire che una persona è preferibile a qualunque altra comporta uno squilibrio, una lesione fondamentale del carattere. L’amante dubita e spera, mente e si confessa, perpetuamente oscilla, alla vana ricerca di una qualunque certezza, tra pulsioni e istinti inconciliabili, e spesso inconfessabili. A queste montagne russe, non può rinunciare fino a quando al bisogno subentra l’abitudine, alla gelosia il disincanto – e ogni antidoto è ancora più doloroso del veleno. All’origine di questo sostanziale fallimento, c’è forse il fatto che l’amore, come nozione astratta, non è nemmeno pensabile per noi, che non facciamo mai esperienza dell’amore in sé (già solo l’espressione sembra una sciocchezza) ma di storie d’amore. E trascinando un sentimento così puro e nobile nel fango di una narrazione, noi non possiamo impedire che queste cosiddette storie d’amore imitino la vita in quanto essa ha di più ingannevole e illusorio: il senso del prima e del dopo, dell’inizio e della fine, della necessaria metamorfosi, dell’irrevocabile deperimento e dell’improbabile riscatto di tutte le cose. Consideriamo adesso Clara e Riki, voltando finalmente le spalle al malinconico, accidentato paesaggio della storia d’amore. La loro unione ha più l’apparenza di una legge di natura e di un istinto che di una scelta. Non si nutre né di bisogno né di mancanza, ed è stabile, uniforme, certa come il susseguirsi delle ore. Dove è l’una, lì è anche l’altro, e in ciò sembra consistere l’essenza stessa del loro piacere. Nessuno dei due, agli occhi dell’altro, è il protagonista o la posta in gioco di una storia. Semmai, si hanno a vicenda così come si hanno le lentiggini, il passo svelto, una data età, un’ombra. E in questo supremo equilibrio, non possono né trovarsi né perdersi. Mentre leggevo e rileggevo il Libro, mi tornava sempre in mente quell’accenno fatto dalla signora Mastellone al periodo di latenza, quell’intervallo benefico, simile a un immobile meriggio estivo, che i bambini attraversano quando si lasciano alle spalle le pulsioni della prima infanzia e sono ancora in attesa della pubertà. Come l’autrice del Libro, anche i suoi protagonisti guardano al mondo, alle insidie del tempo dal rifugio della loro latenza. È un cerchio di fuoco, una fortezza inviolabile, l’unico aspetto della vita umana capace di rivelare un’essenza divina, un sospetto di immortalità. Parlare della vita degli dèi, non è forse parlare della latenza, della forza della latenza?











Ma il Libro, che non fa troppo caso ai ragionamenti astratti, incalza. All’inizio del capitolo settimo, ritroviamo Clara che si affretta verso casa di Riki. La cosa insolita è l’ora: le sei di mattina (“Sei diventata matta?” esclama Riki dopo averle aperto). Ma la notizia è di quelle che non tollerano pazienti attese per essere comunicate. Il giorno dopo, infatti, sarà finalmente inaugurata la nuova ferrovia. “E un treno ci passerà sopra” precisa Clara. La sua mamma potrà accompagnarli tutti e due, ottenuto il permesso di rito, a godersi lo spettacolo. Ovviamente, in carrozza. Dove si va senza carrozza? Per gli abitanti di Lossiniere, la tecnologia non è necessariamente un motivo valido per cambiare abitudini di vita sagge e consolidate. Semmai, l’arrivo del treno potrà essere festeggiato come uno svago, l’occasione di indossare un vestito nuovo (quello di Clara è verde con dei merletti gialli), l’innocua magia di un prestigiatore da fiera. E sembra proprio che la fatica di portare fino a Lossiniere la nuova ferrovia non abbia altra finalità che quella di dar luogo a uno spettacolo, a una transitoria meraviglia. Nel cuore stesso di ogni spettacolo e di ogni festa convivono le due maggiori fonti di saggezza di cui l’umanità può andare fiera – lo stupore, e la consapevolezza della natura effimera di tutto ciò che bello. Ed è su questi due binari, potremmo dire, che il treno fa il suo ingresso regale nel nostro villaggio. Nonostante tutto, è il suo momento. Tanta è la folla assiepata in attesa del nuovo portento, che Clara e Riki devono accontentarsi, al loro arrivo, di un posto in quinta fila. L’imminenza del prodigio satura l’atmosfera. La sintesi del Libro è degna di quegli storici latini capaci di contenere in un solo ablativo la caduta di un impero. “A un tratto si sentì un rumore: ciuf, ciuf, ciuf, era il treno che arrivava.” Da dove? E per ripartire in quale direzione? A quanto pare, ci sono cose più importanti da raccontare. Di un coniglio che esce dal cappello, non ci si chiede mai cosa mangia, dove fa i suoi bisogni. Una volta che il treno è fermo, ai ragazzi viene dato il permesso di visitarne l’interno. Se Clara e Riki non disdegnano di confondersi in una folla festante, c’è sempre, a un certo punto, qualcosa che riguarda solo loro, che all’improvviso li separa dagli altri. Ci sono, infatti, anche dei passeggeri in questo treno senza mèta e senza orari. Passeggeri dilettanti, si direbbe, se ciò è mai possibile: spronati dal desiderio di completare, rendere perfetta l’idea del treno, anziché dalla necessità di spostarsi da un luogo a un altro. “E indovinate Riki chi incontrò nel treno?” – la risposta non è difficile. Poteva latitare da questa fantasmagoria ferroviaria proprio quel dilettante dei dilettanti, quel sublime perditempo, l’ubiquo, insondabile, generoso zio Roby? Carattere tale da considerare un disonore intollerabile presentarsi a Lossiniere, anche in veste di passeggero ferroviario, a corto di regali, eccolo consegnare a Clara un braccialetto di bronzo, e a Riki un treno in miniatura. Ma non basta. Non è la prima volta che zio Roby, sotto la sua maschera di buontempone e spensierato gaudente, maestro nell’arte di apparire e scomparire nei momenti più impensati, lascia sospettare un suo ruolo di regista occulto, di previdente ed efficace macchinatore di eventi il cui significato è meno palese di quanto appare a prima vista. Fatto sta che lo zio Roby può usare il suo ascendente (ciò che raramente accade a un semplice passeggero) nientemeno che sul capotreno, dal quale ottiene seduta stante un giro sul treno per Clara e Riki. Un giro? Da dove a dove? “Il capotreno” racconta impassibile il Libro, “andò velocissimo facendo divertire un mondo i due bambini.” È da pensare che questo giro vada inteso in senso letterale, come un percorso il cui punto di partenza coincide con il punto di arrivo. In altre parole, questo treno festeggiato da tutta Lossiniere, con tanto di capotreno e passeggeri, a parte le dimensioni, è perfettamente identico, sia per lo scopo che per il funzionamento, a un trenino elettrico. Con una sorpresa venata di lieve inquietudine, il lettore del Libro non può fare a meno di ricordare che lo zio Roby ha portato in dono a Riki proprio un treno in miniatura. Come tutti gli altri giocattoli, anche questo trenino dovrebbe accontentarsi del suo ruolo di simbolo, di riduzione in scala, di miniatura appunto, della realtà. Ma a Lossiniere può anche accadere che i giocattoli siano svincolati da questo umiliante ruolo pedagogico. Invece che fare da miniature alle cose vere (armi, neonati, mezzi di locomozione…) ne rivelano la natura più profonda – quella dell’illusione e del gioco. Sciogliete le briglie ai giocattoli, e invece che innocui servi della realtà, si riveleranno come il suo segreto più geloso, il suo nord magnetico, la sua apocalisse. Fino al punto in cui non ci sarà una sola cosa al mondo talmente reale da non poter essere giudicata per quello che è – un giocattolo di grandi dimensioni.











All’arrivo dell’estate una nuova avventura, gravida di importanti conseguenze, attende i protagonisti del Libro. Come ai tempi della gita a Roma organizzata da zio Roby, Riki riceve una lettera che lo riempie d’impazienza e felicità. Questa volta, è sua nonna che invita al mare lui e Clara. Di questa nonna che abita in riva al mare ci piacerebbe sapere di più. Ma il Libro dice solo che, il mattino del giorno stabilito, si presenta a Lossiniere alla guida di un “carro”, sul quale fa salire i due bambini per portarli a destinazione. Muta come una divinità arcaica, una custode degli elementi, una Parca, ben le si addice questo carro di sapore liturgico, molto più intonato delle allegre carrozze di Lossiniere al deciso sapore iniziatico e lustrale di questo capitolo – l’ottavo – del Libro. Nessun altro episodio, a ben vedere, è ricco come questo di sottili allusioni misteriche e sapienziali. E il ruolo dell’acqua è preponderante fin da quando, correndo da Clara con la bella notizia dell’invito al mare, Riki la trova immersa nel lago, come se la bambina sentisse di doversi purificare prima dell’immersione in acque più importanti, più profonde. Il mare, del resto, come dice Riki, è un “mare qua vicino”. La geografia visionaria del Libro raggiunge una stupefa...

Indice dei contenuti

  1. Cover
  2. BUR
  3. Frontespizio
  4. Dedica
  5. Citazione
  6. Prologo
  7. I: Il periodo di latenza
  8. II: Humana Fragilitas
  9. Chiarimenti e ringraziamenti
  10. Il libro
  11. Indice