Shadowdance V - La danza degli specchi
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Shadowdance V - La danza degli specchi

  1. 236 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Shadowdance V - La danza degli specchi

Informazioni su questo libro

La città di Angelport non vive giorni di pace. Le relazioni con il popolo degli elfi sono peggiorate, e già soffiano i venti di una guerra che avrebbe esiti terribili. All'interno delle mura cittadine, i Lord mercanti, desiderosi di soppiantare il rappresentante del Triumvirato, Laurie Keenan, hanno ingaggiato una lotta per il potere fatta di intrighi, sotterfugi, cospirazioni. E da qualche tempo un misterioso assassino sembra essersi materializzato tra i palazzi dei nobili e i vicoli del porto: si fa chiamare Fantasma, e il suo simbolo è un occhio spalancato, tracciato con il sangue delle vittime. Un simbolo che tutti conoscono, a Veldaren. Il segno inconfondibile del passaggio del Guardiano. Qualcuno sta sfidando Haern, lo sta chiamando allo scontro. Invitato da Alyssa e dalla Senzavolto al suo servizio, Zusa, il ragazzo decide di recarsi in segreto ad Angelport per capire cosa succede. Quando scatta la trappola ed Haern viene accusato degli omicidi avvenuti in città, imprigionato, torturato, non resta che una possibilità: fuggire, e trovare i veri responsabili dell'ondata di morte e dolore che si sta abbattendo sulle strade di Angelport. Non è facile, però, distinguere verità e menzogna in una città ancora più corrotta di Veldaren. Chi è il Fantasma? Cosa vuole? E chi manovra nell'ombra contro il Triumvirato e Alyssa? Come si inseriscono gli elfi in questo intrigo di potere? Haern vuole sapere. E per scoprirlo può contare solo sull'aiuto di Zusa e sulla lama dei suoi pugnali.

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Informazioni

Print ISBN
9788845199585
eBook ISBN
9788865973936

1

Haern si calò il cappuccio sulla testa e legò le sciabole alla cintura, mentre il capo dei mercenari, il mago Tarlak, restava seduto alla sua scrivania e lo osservava.
«Vuoi il nostro aiuto?» domandò Tarlak, togliendosi un minuscolo frammento di terriccio dalla veste gialla.
«No» rispose Haern, scuotendo la testa. «Questo deve essere un messaggio per il mondo clandestino della città. Ci penserò da solo.»
Tarlak annuì, come se non fosse per nulla sorpreso da quella replica.
«E che mi dici di Alyssa?»
Haern strinse la fibbia del suo mantello. Avevano sentito dire che Alyssa stava pianificando una sorta di rappresaglia contro le gilde dei ladri, anche se il motivo per cui aveva deciso di agire non era del tutto chiaro. La loro fonte era una persona piuttosto rispettata nella casata dei Gemcroft, e questo era sufficiente per costringerli a prendere la cosa seriamente. Era stata programmata una riunione alla magione dei Gemcroft per discutere i dettagli del piano, a un’ora imprecisata di quella notte.
«Ne parleremo dopo» tagliò corto Haern. «Sono sicuro che capirai.»
«È così» assentì Tarlak. «Buona fortuna. E ricorda: non potrò pagarti se morirai.»
«Non sarò io a morire, stanotte» concluse Haern, sentendo il gelo della maschera del Guardiano del Re calare su di lui.
Lasciò la torre e percorse rapidamente la breve distanza che lo separava dalla città. Una decina di passaggi segreti, funi e appigli era a sua disposizione per scavalcare le mura, che Haern oltrepassò nella parte più a sud. Il potenziale conflitto tra Alyssa e le gilde dei ladri rappresentava, a lungo termine, una minaccia molto grande, ma non poteva concentrarsi su quello, non al momento. Il suo bersaglio era un topo di fogna di nome Brann Goodfinger, che aveva i suoi traffici all’estremità sud di Veldaren. E fu lì che Haern si diresse.
Di solito provava un senso di orgoglio mentre, attraversando gli edifici da un tetto all’altro, osservava con attenzione il comportamento delle varie gilde. Da quando le ostilità con il Triumvirato erano cessate, le varie fazioni si erano attenute a una tregua piuttosto precaria. I primi mesi erano stati i peggiori, in cui le sciabole di Haern avevano versato il sangue di centinaia di uomini. Fedele alla severa brutalità delle proprie azioni, era riuscito a mettere in ginocchio entrambe le parti in causa. Era la minaccia silenziosa, colui che tutto osservava e nulla tollerava. Quella conquista, tuttavia, gli aveva lasciato un retrogusto amaro: per la prima volta, il suo piano era stato rivoltato contro di lui in termini estremamente crudeli e personali.
I ladri che rubavano al Triumvirato morivano. Questo lo sapevano tutti. E così Brann aveva reclutato dei bambini: una sfida aperta contro la minaccia del Guardiano.
«Dov’è che ti nascondi?» sussurrò Haern tra sé, acquattato su un tetto. Per due giorni Brann era riuscito a evitarlo, e i suoi ragazzini avevano agito indisturbati. Ma non quella notte. Haern riconobbe uno dei più piccoli, un bambino che di sicuro non poteva avere più di sette anni, che stava uscendo dalla finestra rotta di una bottega, con una manciata di monete di rame stretta al petto. Si mise a correre, e Haern lo seguì.
Il bambino tentò di variare il suo percorso, di sicuro era stato addestrato ad agire in quel modo, ma per uno come Haern era un fastidio di poco conto. Si mantenne a distanza per non rivelare la sua presenza, non voleva metterlo in allerta. Già due volte aveva pedinato i bambini-ladri di Brann, e uno di loro, quando l’aveva visto, aveva abbandonato il denaro rubato ed era fuggito. L’altro era stato ucciso da una gilda avversaria prima che Haern avesse la possibilità di interrogarlo. I bambini versavano il loro sangue per le strade di Veldaren. La collera del Guardiano sarebbe stata terribile.
Haern svoltò un angolo e osservò il piccolo ladro infilarsi di soppiatto in un magazzino. Avvicinandosi alla porta dell’edificio, si mosse nell’ombra e sbirciò dalla fessura tra la porta e i cardini. All’interno bruciava la luce fioca di una lanterna e, da ciò che riusciva a vedere, c’erano altri due bambini.
Sperando che si trattasse del nascondiglio di Brann e non di una semplice banda di orfani, Haern estrasse le sue sciabole dai foderi. Non ci sarebbe stata nessuna entrata di soppiatto, quello non era il momento per morti silenziose e notturne.
Spalancò la porta con una spallata. Senza fermarsi né rallentare osservò ciò che lo circondava. Il magazzino era pieno di casse e sacchi di grano che limitavano il suo spazio di manovra. Almeno venti bambini erano radunati in cerchio e, di fronte a loro, la faccia sporca coperta da una folta barba, c’era proprio Brann. L’uomo sollevò lo sguardo, d’istinto spalancò la bocca per urlare, poi si voltò per darsela a gambe.
«Fermatelo!» gridò Haern ai bambini. Imprecò quando li vide estrarre piccoli coltelli e pugnali. Balzò in mezzo a loro, facendo roteare il mantello per distrarli. Con un calcio rotante ne abbatté tre, quindi si lanciò nello spazio rimasto libero. Il magazzino era diviso a metà da un’alta parete, e Brann scomparve nella porta che vi si apriva al centro. Haern si lanciò dietro di lui, spalancandola con una spallata. Con sua sorpresa, Brann non era codardo come si era aspettato. Una spada emerse da dietro il legno della porta, ma la velocità di Haern era troppo superiore, e in un balzo fu fuori dal raggio d’azione del suo avversario. Scartò di lato, girò su se stesso, e infine saltò di nuovo.
Brann era una biscia di fogna, una carogna che si avvantaggiava della superiorità numerica, capace soltanto di colpire alle spalle. Haern aveva già combattuto con persone della sua risma, e conosceva le loro tattiche. Tre fendenti bene assestati, e la spada di Brann cadde a terra, abbandonata da una mano sanguinante. Due calci gli ruppero una rotula, poi l’uomo crollò. Haern lo afferrò per i capelli e gli tirò la testa all’indietro, premendogli il filo della sciabola contro la gola.
«Come osi» sussurrò. La maschera gli scivolò sul viso, e Haern scosse la testa per rimetterla a posto. Voleva che Brann potesse cogliere la furia che fiammeggiava nel suo sguardo.
«Proprio tu, che tieni in ostaggio questa città, mi fai una simile domanda?» replicò prontamente Brann.
Haern lo colpì sulla bocca con l’elsa di una sciabola. Mentre l’uomo sputava un dente sul pavimento, i bambini si riversarono nella stanza, circondandoli entrambi.
«State indietro» intimò loro Brann, quindi sogghignò rivolto a Haern, i denti gialli chiazzati del rosso del suo stesso sangue. Nello sguardo c’era un’espressione selvaggia che metteva Haern a disagio. Quello non era un uomo a cui importava qualcosa della vita, fosse la sua o quella di altri.
«A che gioco vuoi giocare?» domandò Haern, la voce ridotta a un sussurro gelido. «Perché i bambini? Credevi che non l’avrei scoperto?»
«Gli altri hanno paura di te» rispose lui, ridendo. «Ma io so che cosa sei. Gli altri pensano che tu sia cattivo come noi, ma non è vero. Non ancora. Quando le gilde dei ladri se ne renderanno conto, infilzeranno la tua testa su una picca.»
Rivolse un cenno ai bambini, che erano tutti pronti ad attaccare. Haern non osava immaginare ciò che Brann li aveva costretti a subire per ottenere un tale livello di controllo su di loro.
«Uccidimi» disse. «Fallo, e ti assaliranno come uno sciame di api. Non morirai, sei troppo scaltro per loro, ma non riuscirai a fuggire senza ucciderne almeno uno. E a quel punto, cosa farai, Guardiano? Sei in grado di prenderti la mia vita, se ciò significa prenderti anche la vita di un bambino?»
Haern guardò i bambini. Alcuni sembravano avere appena sette anni, ma altri potevano averne undici o dodici. Sarebbe bastato un colpo fortunato da parte di uno di loro, e lui sarebbe potuto cadere.
La sua sciabola premette con maggior forza sulla gola di Brann. Si avvicinò ancora, in modo da potergli sussurrare all’orecchio.
«Niente, Brann. Non sai niente di me. Se tu muori, loro sono liberi. Per questi ragazzini non è mai stata una scelta.»
Poi scattò, un gesto secco che mandò uno schizzo di sangue a imbrattargli i vestiti. Nella speranza di muoversi prima che i bambini avessero il tempo di reagire, si voltò e fece un balzo, piroettando sopra il cerchio che avevano formato. Loro lo inseguirono, per nulla turbati dalla morte del padrone. Haern si rimise in piedi, incrociando le sciabole per parare i deboli affondi con cui lo attaccavano. Una rapida occhiata e si rese conto di non avere altre vie d’uscita disponibili, a parte la porta da cui era entrato. Facendo tutto ciò che gli era possibile per trattenere i suoi istinti di combattimento, si spinse al centro del gruppo. I suoi mantelli vorticarono e si intrecciarono, respingendo i fiacchi tentativi dei piccoli avversari.
Smise di girare su se stesso e si precipitò verso la porta. Lì lo attendeva uno dei bambini più grandi, e Haern sentì il panico invadergli la gola quando si accorse dell’angolazione mortale dell’affondo con cui lo minacciava. Reagì d’istinto, parando con forza sufficiente a togliere il pugnale di mano al giovane avversario e facendo seguire la mossa difensiva da un calcio che mandò il ragazzino a gambe all’aria. Riprendendo a correre, abbatté una pila di casse per volteggiare verso l’alto, fino ad aggrapparsi con una mano a una trave. Vi si arrampicò e guardò in basso. Diversi bambini si erano radunati intorno al corpo del ragazzo che aveva appena abbattuto con il calcio.
«Ascoltatemi» esordì Haern, tentando di dimenticare l’attacco appena subìto. Dopotutto, non conoscevano che quell’atteggiamento. «Il vostro padrone è morto. Non avete nessuna speranza di vincere questa battaglia.»
«Fottiti» gli rispose uno dei bambini. Haern ricacciò indietro la rabbia, colpito da un simile affronto. Erano soltanto piccoli sbandati spaventati, costretti a vivere in un mondo che Haern conosceva fin troppo bene. Se la ragione non fosse bastata, sapeva cosa avrebbe potuto funzionare.
«Dillo ancora e ti taglierò la lingua.»
Il ragazzino fece un passo indietro, come stordito dalla freddezza di quella voce. Gli altri sollevarono lo sguardo verso di lui. Stavano per piangere, oppure erano infuriati, ma la maggior parte era pervasa da un’indifferenza che gli fece male al cuore.
Haern indicò il cadavere di Brann Goodfinger. «Prendete le sue monete» disse. «Andatevene, e cercate di fare una vita migliore di questa. Continuate a rubare e cadrete nelle mani delle gilde, o nelle mie. Non voglio uccidervi, ma lo farò, se necessario. Non c’è futuro per voi. Non in questo modo.»
«Nemmeno per te» intervenne un altro ragazzino, ma Haern non riuscì a individuarlo nel gruppo. Con rapida efficienza, i bambini raccolsero ogni cosa di valore dal cadavere di Brann e scomparvero per le strade della città. Haern non sapeva dove fossero andati, né gli importava. Sentiva soltanto una grande rabbia. Brann era morto molto alla svelta, tutt’altro che l’esempio che avrebbe desiderato mostrare. E poi c’era il ragazzo a cui aveva dato un calcio…
Si lasciò cadere dalla trave, atterrando con leggerezza. Con un groppo in gola, si accovacciò e girò sulla schiena il ragazzino riverso a terra, quindi premette le dita sul suo collo. Aspettò e aspettò, eppure, a prescindere da quanto fosse rimasto lì a sperare, non sarebbe accaduto nulla: non c’erano pulsazioni.
«Che tu sia maledetto, Brann» sussurrò tra i denti. «Spero che brucerai per l’eternità.»
Lasciare lì il corpo non era una possibilità da prendere in considerazione. Haern si riteneva una persona migliore.
Sollevandolo sulle spalle, uscì in strada, pregando che nessun membro particolarmente coraggioso di una delle gilde dei ladri lo vedesse e tentasse di fare qualcosa di troppo eroico e stupido.
C’erano diversi becchini a Veldaren, più un altro che bruciava i cadaveri invece che seppellirli. Haern andò da lui, scassinò la serratura della porta ed entrò nella bottega. Il proprietario era addormentato su una branda in una piccola stanzetta. Lui lo svegliò pungolandolo energicamente con la punta della sciabola.
«Cosa? Chi sei… ah, tu.»
Il vecchio, Willard, si stropicciò gli occhi, quindi li riaprì quando Haern gli fece cadere tra le mani una manciata di monete.
«Non badare a spese… e seppellisci le sue ceneri.»
«Come si chiamava?» domandò Willard, guardando il cadavere del ragazzo mentre Haern l...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Prologo
  4. 1
  5. 2
  6. 3
  7. 4
  8. 5
  9. 6
  10. 7
  11. 8
  12. 9
  13. 10
  14. 11
  15. 12
  16. Elenco dei personaggi
  17. Indice