PRIMA PARTE
Il cambio della marea
1
La scritta luminosa ALLACCIARE LE CINTURE si spense e Imogen sganciò la fibbia di metallo. Si appoggiò allo schienale, lo inclinò e guardò fuori dallo stretto finestrino le nuvole bianche e gonfie nel cielo sopra Bangkok: più in basso, la città era coperta da una spessa coltre di smog. Tra pochi istanti, accompagnati dall’aria condizionata, avrebbero abbandonato lo spazio aereo thailandese.
Da quando aveva parlato con sua sorella Anna erano passate trentasei ore, incluso un lungo viaggio in barca e un tragitto in autobus. Imogen aveva dormito appena qualche minuto, con la testa appoggiata al finestrino tremolante del bus, le cuffie dell’iPod che coprivano il chiocciare dei polli tra i sedili.
Imogen ripensò a quando aveva visto il volto familiare della sorella maggiore durante l’incerto collegamento via Skype, nell’internet café della strada principale dell’isola.
«Si tratta di nonna Vivien» aveva detto Anna, con gli occhi nocciola e i folti capelli castani squadrettati in pixel mentre si muoveva. «Imo, ci ha lasciati.»
Quelle parole le riecheggiavano ancora nella testa, irreali.
Scoprire i particolari della morte della nonna non era stato di alcun aiuto: un attacco di cuore, problemi di salute di cui Vivien non aveva parlato con nessuno tranne il suo medico. Non aveva alcun senso. Nonna Vivien non sarebbe dovuta morire, quantomeno non ancora. Appena aveva finito di parlare con Anna, Imogen aveva prenotato il biglietto aereo.
La hostess si avvicinò spingendo il carrello bar e Imogen la fermò.
«Potrei avere un vodka tonic, per favore?»
Pensò alla casa dove stava tornando, in Inghilterra. Non sarebbe più stata la stessa ora, senza la nonna, una delle persone a cui Imogen teneva di più. Non aveva nemmeno avuto l’occasione di dirle addio.
«Anzi» disse alla hostess, «potrebbe farmelo doppio?»
Imogen prese il drink e lo sorseggiò lentamente. L’alcol la cullò, accompagnandola verso qualcosa di simile al sonno. Smise di seguire il film che stava guardando, le palpebre si fecero pesanti e quindi si chiusero.
Sognò di trovarsi nel giardino sul retro della casa della nonna. Lei e Anna stavano giocando a swingball, facendo a gara a chi colpiva la palla più forte, e Vivien teneva il punteggio. Era in piedi, sorridente, vicino a un tavolo con la limonata e i biscotti all’avena fatti in casa. Indossava un abito lungo a fiori, un cappello di paglia e i sandali con i tacchi alti che portava sempre, come se stesse aspettando di essere invitata a una festa. Gli occhi azzurri luminosi erano messi in risalto dall’eyeliner liquido. Imogen aveva sempre pensato che somigliasse a una diva del cinema degli anni Quaranta.
Imogen si svegliò di soprassalto ed ebbe quasi l’impressione di sentire il profumo inconfondibile della nonna: le mandorle e il miele del suo olio da bagno e, sotto, la nota ancora più accogliente degli aromi della cucina, che le rimanevano sui vestiti.
Imogen spense lo schermo e cercò di concentrarsi sulla rivista che aveva preso all’aeroporto, ma le foto dei vestiti da red carpet sembravano tutte uguali.
Voleva qualcosa, qualsiasi cosa che bloccasse il dolore della perdita della nonna. Sull’isola la notizia le era parsa uno strano sogno, ma adesso, mentre tornava a casa in Inghilterra, stava diventando terribilmente reale. L’ultima cosa che voleva era mettersi a piangere lì, sull’aereo, davanti a tutti, ma le lacrime cominciavano già a spuntare. Per distrarsi, chiuse gli occhi e ripensò alla notte appena trascorsa.
«Tornerai, vero?» le aveva chiesto Luca, abbracciandola nell’acqua scura. Nel mare intorno a loro luccicavano bagliori simili a lucciole. Il volto abbronzato di Luca, con i capelli bruni bagnati e le guance coperte da un’ombra di barba, era parzialmente illuminato dalla luna. Avevano trascorso la serata al Komodo, un bar sulla spiaggia con musica dal vivo, e poi, quando Imogen gli aveva spiegato che doveva andarsene, avevano lasciato gli amici e si erano allontanati insieme.
«Certo che tornerò!» aveva risposto lei, ridendo e baciandolo ancora. Quello era un viaggio inevitabile, non una vacanza. La Thailandia era diventata la sua casa e Imogen aveva scattato solo metà delle foto subacquee che le servivano per il suo progetto. Le giornate piovose e i bastoncini di pesce in Inghilterra non potevano competere con le palme, il sole e le notti con Luca.
«Promettimelo» aveva detto lui con un sorriso obliquo. «Non sarai una di quelle ragazze, vero? Quelle che a casa ricevono un’offerta che non possono rifiutare e lasciano i tipi da spiaggia come me a struggersi con il cuore spezzato. L’ho visto accadere molte volte. Spero soltanto di non essere così stupido da lasciare che succeda a me» aveva aggiunto guardandola con una timidezza e un’incertezza insolite in lui.
«Oh, non devi preoccuparti» l’aveva rassicurato Imogen, «sono solo un paio di settimane. Devo andare al funerale e passare un po’ di tempo con papà e la mia famiglia. Poi tornerò subito a Bangkok. Non c’è forza al mondo che potrebbe tenermi lontana da qui.» Si era sporta verso di lui per dargli un bacio salato.
«Aspetta» l’aveva fermata Luca, facendo un passo indietro e togliendosi la collana con il dente di squalo che portava al collo. «Tienila tu» aveva detto, scostandole i capelli e facendole scivolare il filo di cuoio sopra la testa, «e poi riportamela.»
Imogen aveva sorriso avvicinando le dita al dente di squalo levigato. «Affare fatto.»
Ora, toccando il filo di cuoio attorno al collo, pensò a Luca. Le mancava sentire la pelle calda di lui contro la sua. Due settimane lontani le sembravano un’eternità .
Era contenta di rivedere Anna e i suoi genitori – papà , almeno – ma il pensiero di tornare a casa le faceva mancare l’aria. L’ultima volta che ci era stata si era appena laureata in fotografia a Bournemouth. Aveva mandato un’ottantina di curricula, ma nessuno l’aveva chiamata nemmeno per un colloquio e così, ritrovandosi a ventidue anni a vivere con i genitori, con la madre che le stava sempre addosso, si era resa conto di doversene andare.
Due mesi dopo aveva trovato lavoro in un bar e aveva cominciato a mettere da parte qualche soldo, sognando di lasciare Lewes e sfuggire alle pretese e alle domande della madre. Quando lei e la sua amica Lucy erano riuscite a risparmiare abbastanza per un volo per l’Asia, erano finite in Thailandia. E, anche se Lucy era tornata in Inghilterra sei mesi prima, Imogen non si era più voltata indietro. Ben presto sull’isola aveva conosciuto nuovi amici, tra cui Santiana, una ragazza colombiana appassionata come lei di immersioni.
L’Asia sembrava un mondo del tutto differente da quello verso cui era diretta ora, la piccola città di Lewes dove era cresciuta.
«Pollo o pasta?» chiese la hostess in tono scontroso, rovistando nel carrello di metallo.
Imogen pensò al fragrante curry verde thailandese che aveva mangiato appena prima di lasciare l’isola. Il delizioso lassi al cocco che aveva sorseggiato a un chiosco lungo la strada mentre l’autobus faceva benzina.
Abbassò il vassoio del sedile. «Pasta, grazie» disse, prendendo il contenitore di stagnola.
Imogen aprì lo zaino nella camera degli ospiti a casa dei genitori, a Lewes, e un po’ di sabbia cadde sulla coperta all’uncinetto. La spazzò via con la mano e sentì una fitta al cuore quando toccò i riquadri lavorati con tanto amore. Alzò gli occhi e incrociò lo sguardo della sorella. Fu Anna a spezzare il silenzio.
«Qui è pieno di cose che ce la ricordano.»
«Non mi sembra ancora vero» disse Imogen. «Non riesco a pensare che quando andremo a Brighton, lei non ci sarà . La gelateria, senza di lei…»
Anna prese una tazza di tè dal comodino di quercia, gliela porse e poi le posò affettuosamente una mano sulla spalla. Aveva gli occhi gonfi e rossi, la punta del naso irritata a furia di soffiarselo.
«Mi sento malissimo. È passato più di un anno dall’ultima volta che l’ho vista.»
Fuori riecheggiò il richiamo dei gabbiani. Il cottage a due piani del diciottesimo secolo dei genitori era vicino alla costa meridionale.
«Non ti tormentare» la rassicurò Anna, «adorava ricevere le tue telefonate e le cartoline… sentire cosa stavi facendo rallegrava le sue giornate.»
Imogen cercò di ricacciare indietro il groppo che le serrava la gola.
«Sarai esausta» disse Anna.
«È stato un lungo viaggio, ma non riesco a smettere di pensare» rispose Imogen, bevendo un rinfrancante sorso di tè caldo. «Come hai trovato la nonna l’ultima volta che l’hai vista?»
Anna si sedette sul bordo del letto e si appoggiò un cuscino in grembo. «Sono andata a trovarla poco più di una settimana fa» disse. «Mi sembrava stesse bene, era quasi in forma. Non ha voluto uscire a pranzo, ha detto che preferiva restare in casa, ma non mi è parso strano. Avrei dovuto capire che qualcosa non andava.»
«Sembrava sempre così giovanile» disse Imogen. «Era diversa da tutte le altre nonne. Ero sicura che sarebbe vissuta ancora qualche anno.»
«Anch’io» annuì Anna. «Papà è a pezzi, come puoi immaginare.»
«Povero papà » disse Imogen, mordendosi il labbro inferiore. Si erano abbracciati al piano di sotto, e anche se avevano scambiato a malapena qualche parola, non le era sfuggito il dolore che segnava il suo volto.
«La cremazione è giovedì, mamma te l’ha detto, vero?» chiese Anna.
Imogen annuì. «Sì. Mi puoi prestare un vestito? Non sono mai stata a una cerimonia del genere, ma immagino che quelli che ho nello zaino non siano adatti.»
«Naturalmente» disse Anna con un sorriso e si alzò in piedi. «La mamma ha detto che la cena sarà pronta tra venti minuti. Fatti una doccia veloce, ci vediamo giù.»
«Certo» rispose Imogen prendendo l’asciugamano piegato con cura in fondo al letto. Quella stanza che un tempo era stata sua adesso le sembrava aliena. Era come la camera pulita e ordinata di un bed & breakfast, i suoi poster erano stati rimpiazzati da cornici con stampe floreali.
«È bello riaverti qui» disse Anna abbracciandola con delicatezza. «Vorrei che le circostanze fossero diverse, ma in ogni caso sono felice di vederti.»
«Anch’io» fece Imogen, confortata dall’affetto della sorella.
Imogen si fece la doccia, si avvolse i capelli in un asciugamano e indossò i primi vestiti puliti che riuscì a trovare.
Al piano di sotto, attraverso la porta della cucina, vide Anna che chiacchierava e preparava la cena insieme alla madre. Passò oltre in silenzio ed entrò in sala da pranzo.
Era proprio come la ricordava, le foto sulla mensola del caminetto e i fiori freschi sul tavolo. Di solito quella stanza veniva usata per mangiare solo quando c’erano ospiti.
Suo padre Tom era seduto al tavolo e si teneva la testa tra le mani grandi e forti. Quelle mani avevano stretto Imogen e Anna quando erano bambine, le avevano fatte salire sulle altalene e sulle sue larghe spalle. Adesso il padre sembrava fragile, come se la più leggera delle brezze potesse farlo volare via. Imogen si avvicinò e gli posò una mano sul braccio.
«Tutto okay, papà ?» chiese con dolcezza.
«Oh, sì, tesoro» rispose lui in tono sommesso. «E tu…» i suoi occhi azzurro chiaro la imploravano di farsi carico della conversazione, «sei sempre felice di viaggiare?»
«Sì» disse Imogen. «Il mondo là fuori è bellissimo.»
«Me lo ricordo» fece il padre. La sua voce era priva del piacere che l’animava rievocando il suo passato da hippie. «Negli anni Sessanta, in sella alla mia moto e con il vento tra i capelli… all’epoca li avevo ancora… ho viaggiato attraverso il Vietnam e il Laos. A quei tempi era tutto diverso…» Le sue parole si spensero e abbassò lo sguardo sulla tovaglia bianca.
«Papà » disse Imogen piano, «è normale che tu sia turbato. Lo siamo tutti.»
«Il fatto è» aggiunse lui, senza sollevare lo sguardo, «sai che prima o poi succederà … È una cosa naturale… E, nel caso del nonno, con tutti i problemi di salute che aveva, non è stato uno shock. Ma non pensavo che sarebbe successo così presto anche alla nonna. È terribile.»
Imogen fu dispiaciuta nel sentire il dolore nella voce del padre. In altre circostanze sarebbe stato impegnato ad aprire una bottiglia di vino e a raccontare a lei e ad Anna dell’ultima scultura che aveva realizzato nello studio in giardino. Ma ora il suo volto era cinereo, sembrava l’ombra di se stesso.
«Era una donna incredibile» disse Imogen stringendogli il braccio. «Sentiremo tutti la sua mancanza.»
«Sentirò la mancanza delle piccole cose» disse Tom. «Persino di quelle che una volta mi mandavano su tutte le furie, come quando mi chiamava all’ora di cena tutta eccitata per qualcosa che aveva visto in una serie tv.»
«O quando a Natale faceva sparire tutte le Quality Street viola e fingeva che non ci fossero mai state» fece Imogen.
«Proprio così» rise Tom. «E poi a Natale si ...