Terzo giorno: martedì
«Buongiorno, V.»
Vanessa sentì i raggi caldi del sole sul viso e si voltò dall’altra parte con un gemito.
«Svegliati. Oggi devi accompagnarmi in palestra, ricordi?»
L’unica cosa che ricordo sono le tue braccia intorno a me e la sensazione di averti dentro.
«Altri dieci minuti» borbottò tra le lenzuola, mentre quel pensiero la riscaldava.
Jax si avvicinò e la sua voce profonda la investì, facendole venire la pelle d’oca. «Di solito non amo le sveltine ma, visto che abbiamo i giorni contati, sarò più che felice di fare un’eccezione.»
Lei aprì gli occhi e vide il suo sorriso diabolico mentre si slacciava i pantaloncini da jogging bianchi.
Dio santissimo.
Era molto tentata – anche se non era sicura che si trattasse di una promessa o di una minaccia –, ma non le piaceva essere colta alla sprovvista.
Quando Jax infilò i pollici sotto l’elastico e fece per abbassare i calzoncini, Vanessa scalciò via le lenzuola e si tirò a sedere, sperando di bloccarlo: se si fosse spogliato, non sarebbe stata capace di resistergli.
«Sono sveglia! Sono sveglia! Solo… ehm…» Si sforzò di trovare qualcosa da dire, ma la sua mente brancolava nel buio. «Dammi del caffè e sarò pronta in un attimo.»
«Già fatto.» Con un sorriso trionfante, si risistemò gli shorts e la sollevò di peso dal letto. «La tazza è sul comodino.»
In quel momento, Vanessa si rese conto di essere completamente nuda. Afferrò di scatto il lenzuolo e si coprì. Lui ridacchiò e si avvicinò, sperando di farla indietreggiare e ricadere sul letto.
«Che c’è di tanto divertente?» chiese lei con aria di sfida.
Jackson le appoggiò le mani possenti sui fianchi ancora nudi, e quel tocco caldo e ruvido la fece eccitare. «Ti nascondi quando solo poche ore fa potevo fare quello che volevo con il tuo corpo?»
«Sì, be’, è molto diverso vedere qualcosa alla luce della luna. Quindi, se permetti…»
Lui si rabbuiò. «Certo, fai pure. Non riesco a credere che una donna bella e decisa come te sia insicura del proprio aspetto. Adesso ne ho la certezza: sei pazza.»
Lei sbuffò. «Tutte le donne lo sono, che siano semplicemente carine o Kate Moss.»
«E allora ti trasformerò nella prima donna al mondo sicura di sé.» La strinse forte e la baciò con tanta passione da non farle dimenticare solo le sue fragilità , ma persino il suo nome. Quando si staccò, erano entrambi senza fiato. «Ma non adesso. Dobbiamo andare in palestra, quindi metti in moto quel bel culetto.» Le diede una pacca sul sedere, e lei cacciò un gridolino per la sorpresa.
Vanessa si avviò verso il bagno facendogli la linguaccia e ancheggiando sensuale, nella speranza di stuzzicarlo e farlo soffrire. Era il minimo, dopo lo scherzo della sera prima. Non che le fosse dispiaciuto, certo. Essere svegliata in quel modo era stato incredibilmente sexy. Ma ora sapeva di dover stare attenta, o lui non le avrebbe tolto solo il controllo.
Jackson si passò una mano tra i capelli ed emise il sospiro che stava trattenendo da quando aveva visto il segno rosso della sua mano sulle natiche di Vanessa.
Cazzo. Sono nei guai.
Era una donna molto determinata, e lui doveva ammettere che quel tratto del suo carattere gli piaceva da morire. Soprattutto perché poteva placarla con un bacio.
Purtroppo non aveva dormito bene come lei. Quell’assaggio non l’aveva appagato, anzi. Aveva passato quasi tutta la notte sull’amaca, cercando di scacciare l’idea di svegliarla di nuovo per una maratona di sesso.
Dopo un paio d’ore di sonno, il sole aveva fatto capolino all’orizzonte, ricordandogli che era il momento della sua corsa mattutina. Adesso si sentiva a pezzi, non aveva avuto nemmeno la forza di radersi.
Non sapeva come sarebbe andata la giornata, ma di una cosa era sicuro: doveva ritagliarsi un po’ di tempo con Miss MacGregor al più presto.
Vanessa fece la doccia e si preparò a tempo di record. Mezz’ora più tardi arrivarono in palestra. I compagni di Jackson erano già lì. Lui la presentò al coach, Roger, spiegando che era un’ospite e che avrebbe assistito all’allenamento.
Gli altri ragazzi le ronzavano intorno come se si trattasse di una coniglietta di «Playboy». Roger le offrì la sua poltrona in pelle – «Molto meglio di quelle schifezze di plastica» – e un drink energetico.
Mentre faceva stretching, Jax la osservò divertito: rideva alle battute dei suoi compagni, che l’avevano nominata mascotte della squadra per quel giorno. Non poteva certo biasimarli: era uno schianto anche con i capelli raccolti, gli shorts kaki e una semplice T-shirt. Senza contare il carattere estroverso e il sorriso contagioso che in un attimo avevano incantato tutti.
Jax sapeva che, se fossero stati da qualche altra parte, quelle attenzioni non gli sarebbero piaciute per niente. Ma era chiaro che Vanessa era lì con lui e, che fossero solo amici o uscissero insieme, nessuno avrebbe mai osato provarci davvero con lei.
Dopo pochi minuti, Roger li richiamò all’ordine. Fecero qualche esercizio di riscaldamento, poi cominciarono a correre. Tutti davano il massimo, il centodieci per cento per soddisfare il coach, e alla fine erano sudati fradici. Si divisero in gruppi: sollevamento pesi, lotta corpo a corpo, boxe contro il sacco, salto alla corda.
Durante la pausa, mentre beveva il suo Powerade appoggiato al muro, Jackson si chiese perché sentisse il bisogno di andare da Vanessa e parlarle, di passare con lei i pochi minuti di riposo.
Ma rimase dov’era, deciso a dimostrare a se stesso che era solo un capriccio. Divertirsi con lei tra le lenzuola era un conto, mentre desiderarla in altre circostanze era una sensazione a lui sconosciuta, che non riusciva a capire appieno.
In quel momento, la porta della palestra si aprì ed entrò un ragazzo molto giovane, con un borsone su una spalla. Si sistemò gli occhiali da sole sulla fronte.
Roger diede un’occhiata all’orologio, poi lo fulminò con lo sguardo. «Akana! Chi cazzo ti ha detto che puoi arrivare quando ti pare?»
Ruminando vistosamente una gomma da masticare, Danny Akana si scusò, sincero come un leone che sta per sbranare una zebra. «Mi dispiace molto, coach. Non ho sentito la sveglia. Non si ripeterà .»
«Sarà meglio» rispose Roger, puntandogli il dito contro. «La prossima volta ti farò lavare tutti i sospensori.»
Akana alzò le mani in segno di resa ma, non appena l’allenatore si fu voltato, fece una smorfia.
Era il figlio di uno dei più vecchi amici di Roger, il che spiegava la sua tolleranza. Se chiunque altro si fosse azzardato a fare una cosa simile, lui lo avrebbe massacrato. Jackson non conosceva bene Akana, perché frequentava la palestra solo da un paio di settimane, ma quel ragazzino non gli piaceva. Era arrogante e maleducato, e Jax non vedeva l’ora che qualcuno gli desse una bella lezione sul ring.
«Ehi, riprendiamo tra un minuto!»
Jax vuotò la bottiglia in un sorso e andò a riempirla d’acqua nel lavandino di fianco a Vanessa, prima di spostarsi sul tapis roulant. Vide che si era tolta le infradito e aveva infilato una gamba sotto il sedere. Sembrava una principessa in abiti sportivi che osservava i propri sudditi dal suo comodo trono.
Sorrise mentre ne studiava il profilo. Una principessa delle fate, con quei riccioli ribelli, la pelle chiara, il corpo esile e flessuoso. Il naso leggermente all’insù, le labbra piene ma delicate, le orecchie che parevano disegnate. Ma aveva un’indole difficile, e chiunque la conosceva doveva imparare subito a diffidare delle apparenze.
Jax stava per tornare al suo allenamento, quando con la coda dell’occhio notò qualcosa che lo bloccò. Akana flirtava con Vanessa. E in modo tutt’altro che innocuo.
I suoi muscoli si tesero all’istante. Incapace di trattenersi, andò verso di loro, pronto a fargli capire che doveva girarle alla larga.
«Ti sta importunando, V?»
Lei gli sorrise e rispose: «No, affatto. Danny è stato tanto gentile da offrirmi i suoi… servigi. Ha detto che gli piacerebbe mostrarmi cosa fanno i ragazzi dell’isola». Il suo tono era decisamente ironico: aveva intenzione di punirlo per le sue avance fin troppo esplicite.
Jax fissò Akana, valutando la sua reazione. «Davvero gentile.»
Vanessa annuì. «Già , ma purtroppo io non frequento i ragazzi e, comunque, ho già un uomo disposto a farmi da guida.»
Danny arrossì, turbato. Digrignava i denti e il sudore gli imperlava la fronte.
«Hai sentito la signorina?» disse Jax. «Adesso muoviti, prima che il coach ti costringa a pulire i sospensori con il tuo spazzolino.»
Akana non aprì bocca, ma la sua espressione era inequivocabile: Vaffanculo. Jax inarcò un sopracciglio come per sfidarlo a fare la prima mossa, ma l’altro girò sui tacchi e si allontanò in fretta.
«Ottimo lavoro» si complimentò con Vanessa facendole l’occhiolino. «Tutto bene?»
«Stai scherzando?» ribatté lei alzandosi. «Se avessi saputo che guardare uomini sudati con il fisico da gladiatori era così divertente, avrei cominciato anni fa! La prossima volta porto anche i popcorn.»
Lui ridacchiò e le si avvicinò, non poteva resistere ancora. Le posò una mano sulla vita e si protese verso di lei. Voleva toccare la sua pelle e respirare il suo profumo di agrumi. «Possiamo andarcene quando vuoi. Una tua parola e prendo le mie cose.»
«Oh» fece lei con una smorfia. «Sei già stanco? Non ti preoccupare, sei comunque molto virile.»
Lui rovesciò indietro la testa e rise.
Non l’ha detto sul serio.
Poi le sfiorò la guancia con le labbra. «Ti sei appena guadagnata un’altra punizione.»
Lei sorrise, indietreggiò e gli rivolse un’occhiata impertinente. «Sei proprio sicuro che si tratti di una punizione?» Poi gli diede una pacca sul sedere e si allontanò, annunciando ad alta voce: «Se qualcuno di voi entra negli spogliatoi nei prossimi cinque minuti, lo trasformo in una signorina, intesi?».
I ragazzi si voltarono, stupiti dalla loro mascotte. Vedendo le loro facce, Vanessa scoppiò in una sonora risata, che echeggiò nello spogliatoio mentre la porta si chiudeva alle sue spalle.
Jax avrebbe voluto che si sdraiasse sul materassino più vicino, strapparle i vestiti di dosso e farle urlare il suo nome. E l’avrebbe fatto. Non in quel preciso istante e forse nemmeno nelle ore successive, ma l’avrebbe fatto. Presto.
Sentì i pantaloncini tendersi e sbuffò per la frustrazione avviandosi al tapis roulant.
«Splendido» borbottò. «Adesso devo correre con un’erezione. Merda.»
Era davvero nei guai.
Vanessa si diede dell’idiota.
Si maledì per non aver ascoltato con più attenzione i racconti di Lucie sugli allenamenti di Reid e di suo fratello: odiava non capire perfettamente ciò che la circondava, e si sentiva una vera ignorante.
In quelle due ore, Jackson aveva fatto un sacco di cose: corsa con i pesi legati alle caviglie, flessioni, addominali. A ogni esercizio i suoi muscoli si tendevano e guizzavano sotto la pelle, ricordandole le onde che si infrangevano sulla spiaggia. Quel corpo era una macchina perfetta: per quanto sudasse o avesse il fiato corto, non aveva mai rallentato il ritmo, né si era lamentato. Al contrario, sembrava sforzarsi e impegnarsi sempre di più.
La lotta corpo a corpo la affascinò particolarmente: due uomini che cercavano di avere la meglio l’uno sull’altro usando solo le mani.
Non contava tanto la forza fisica, quanto la capacità di reagire in fretta e di sopraffare l’avversario sfruttando l’attimo in cui abbassava la guardia e si rendeva vulnerabile.
Jax aveva quasi sempre battuto il compagno di allenamento di quel giorno, e tutti si erano complimentati con lui.
Adesso si stava bendando le mani con una striscia di tessuto scuro, facendola aderire al polso e al palmo, proteggendo le nocche. Quando terminò, tese le dita e chiuse il pugno un paio di volte, poi infilò i guantoni e si piazzò davanti a un sacco appeso al soffitto.
Nella mezz’ora successiva, non fece altro che colpirlo e colpirlo. Ogni tanto cambiava tecnica, ma la foga restava la stessa. Aveva i capelli appiccicati alla fronte, e la T-shirt era ricoperta di aloni scuri.
Wow.
«Maris!»
Jackson si voltò verso Roger, che era sul ring. «Sì, coach?»
«Vieni qui e lavora con Danny.»
Un sorriso diabolico gli increspò le labbra. «Con piacere.»
Vanessa, che aveva capito che tra i due non correva buon sangue, si chiese come si comportassero sul ring due pugili che non si piacevano.
Be’, lo scoprirò presto. Quanto vorrei avere dei popcorn! pensò sistemandosi sulla poltrona.
Jackson si sfilò la T-shirt, prese dalla tasca il paradenti e se lo mise.
Ma non portava il casco, come Danny e gli altri ragazzi.
«Ehi» gli gridò Vanessa. «Dov’è il tuo casco, Maris?»
Lui la guardò come un adolescente messo in imbarazzo dalla madre di fronte agli amici. «Non ti preoccupare, tesoro.» La sua voce era carica di ...