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Aaron sentiva una strana ebbrezza. Non era mai stato fuori di notte, da solo. Thren aveva sempre insistito affinché qualcuno lo accompagnasse nelle sue rare escursioni all’esterno, di solito per motivi di sicurezza: il Triumvirato, e le gilde rivali che volevano vendicare un milione di vecchi torti. Ma, più di ogni altra cosa, pensava Aaron, suo padre voleva impedirgli di assaporare la libertà .
Il ragazzo si muoveva rapido sui tetti. Con tanti villaggi di taglialegna nelle vicinanze, specialmente quelli lungo il limitare settentrionale della Foresta del Re, le case erano robuste, alte e quasi tutte con coperture piatte. Le assi reggevano senza problemi il suo peso. Atterrava nel modo più morbido possibile, ma allo stesso tempo correva più veloce che poteva. Lembi di stoffa grigia sventolavano nell’aria dietro di lui, i legacci della maschera che gli copriva interamente il volto. Solo i suoi occhi azzurri erano visibili.
A mano a mano che si avvicinava al distretto occidentale, la strada si fece più difficile. La zona ovest era distante dalle residenze più facoltose, ma ogni quartiere della città aveva i suoi ricchi, e di solito tendevano ad abitare uno vicino all’altro. Via via che gli edifici si facevano più lussuosi, i tetti diventavano più spioventi, le case più alte, impreziosite da strane decorazioni e animali di pietra scolpita; e poi c’erano anche le coperture a punta così di moda in un certo periodo. Invece di correre, Aaron saltava e si arrampicava. Il sudore gli scorreva sulla pelle, l’aria era insopportabilmente gelida…ma, nonostante tutto, il ragazzo continuava a sorridere.
Sono Haern adesso, pensò. Sono libero. Haern ha la forza. Haern può ribellarsi.
Erano pensieri strani, ma, in qualche modo, avevano un senso. Che fosse Aaron quello timido. Che fosse lui a farsi piccolo piccolo per la paura davanti a suo padre, che fosse Aaron a rubare come gli veniva ordinato. Haern, però, si sarebbe nascosto, Haern sarebbe sopravvissuto. E quella notte avrebbe ucciso ma, al contrario di Aaron, avrebbe ucciso a fin di bene. Ormai aveva scoperto sul sesso quanto bastava per capire che, qualsiasi cosa Dustin avesse in mente di fare alla bambina prima di ucciderla, per lei sarebbe stata una tortura orribile. Haern non poteva permettere che la piccola sopportasse una cosa del genere, soprattutto sapendo che era solo colpa sua. Perché era stato un codardo, perché non aveva avuto il coraggio di mentire a suo padre.
Alla fine, riuscì a trovare la casa. Si fermò sul tetto di una costruzione ancora più grande sul lato opposto della strada, le braccia strette intorno a una statua di pietra che sembrava un incrocio tra un uomo e un cervo. Le dita tambureggiavano nervose sulle corna scolpite. Nonostante l’oscurità , riusciva a vedere lontano. La luna era brillante, le nubi soltanto falangi sfilacciate che si allungavano spettrali nel cielo.
Non c’era nulla di sospetto. Nessuna finestra rotta, la porta chiusa, e Aaron non vide ombre aggirarsi nei dintorni. Naturalmente, stando a ciò che gli aveva detto Kayla, doveva presumere che Dustin sarebbe stato molto cauto: di certo non si sarebbe presentato alla porta per abbatterla a calci.
Se la bambina si trovava lì, molto probabilmente non era da sola. Magari aveva trovato rifugio al tempio di Ashhur. Seduto dalla parte opposta della strada, Aaron si rese conto che c’erano migliaia di dettagli che non sapeva, e dalla sua posizione non sarebbe riuscito a scoprirne nessuno. Sfiorando il pugnale per darsi coraggio, scese dal tetto e si avvicinò alla casa.
La proprietà era priva delle misure di sicurezza tipiche delle famiglie molto ricche. Non c’erano solchi a terra intorno all’edificio a segnare il percorso delle guardie di ronda, l’edificio non era circondato da una recinzione e non c’erano cani che si aggiravano guardinghi. Senke l’aveva portato molte volte in diverse magioni, indicandogli i punti deboli delle protezioni, e l’aveva fatto entrare durante la notte. Aaron non aveva mai dovuto rubare nulla di prezioso, soltanto qualcosa per dimostrare di essersi spinto all’interno dell’edificio. Da ciò che poteva vedere della dimora degli Escathon, si ritrovò a pensare che Senke non gli avrebbe dato mai un compito tanto facile, se non forse come allenamento in vista di qualcosa di più impegnativo.
Aaron passò dal retro, controllando ogni finestra. Ne trovò una che non era sbarrata dall’interno proprio in quel punto della casa. Il suo cuore si fermò quando si rese conto che poteva essere stato Dustin a scassinarla. Fece un passo indietro e perlustrò l’area: nessuna impronta. Sul davanzale si era accumulata la polvere. Nessuno era passato di là , si trattava di semplice mancanza di precauzioni, decise Aaron, e ringraziò Ashhur.
Aprì la finestra, molto più velocemente di quanto avrebbe fatto di solito. Non c’era tempo per la pazienza. Se Dustin l’avesse visto, avrebbe voluto sapere che cosa stesse succedendo. Aaron poteva anche riuscire a prendere un po’ di vantaggio su di lui, ma doveva sbrigarsi. Con la finestra mezza aperta, scivolò dentro e atterrò sul duro pavimento di legno. Fece molto più rumore di quanto avrebbe voluto. Se uno qualsiasi dei suoi insegnanti fosse stato lì, gli avrebbe dato una silenziosa – ma energica – botta in testa.
Gli ci volle un altro istante per decidere cosa fare con la finestra. Una parte di lui voleva lasciarla aperta per avere a disposizione una rapida via di fuga. Poi, però, si rese conto che, se avesse avuto bisogno di scappare, il suo fallimento sarebbe già stato completo e definitivo. Meglio assicurarsi che Dustin non avesse alcun indizio della sua presenza. Chiuse i battenti e risistemò le tende.
Poteva soltanto immaginare la struttura interna della casa: le finestre erano tutte coperte da pesanti tendaggi, e le stanze all’interno erano più buie della notte. Attese un minuto affinché i suoi occhi si abituassero all’oscurità , poi cominciò ad avanzare lentamente. Quando i suoi piedi toccarono un tappeto, sorrise: ora che non doveva più camminare su una superficie dura, poteva muoversi più rapido.
Era entrato in un lungo corridoio con tre finestre che davano all’esterno. La direzione che aveva scelto lo portò in una piccola cucina, o, almeno, era piccola per gli standard di una famiglia ricca. In ogni caso, sembrava ben fornita. Aaron la attraversò in silenzio, estraendo il coltello mentre imboccava un altro breve corridoio che terminava davanti a una porta chiusa. La aprì lentamente, facendo una smorfia per il rumore cigolante dei cardini. Una guardia all’erta avrebbe potuto sentirlo, ma all’interno della stanza vide soltanto un grande letto. Una signora anziana dormiva sul lato più vicino a lui, dalla bocca aperta scivolava un filo di bava. Aveva i capelli completamente grigi. Sdraiata accanto a lei c’era la figlia di Delius.
Aaron non riusciva a crederci. Suo padre era stato ucciso quella mattina, e per di più dalla Gilda del Ragno, e nessuno aveva pensato di affidarle una guardia? Nemmeno uno degli uomini che lavoravano nella casa? Invece, la bambina era con una zia o con una nonna. Completamente priva di difese.
È per questo che ci sono io, pensò Aaron mentre studiava la stanza. C’era soltanto una porta: se Dustin voleva prendere la bambina, doveva passare per forza dalla cucina e poi dallo stesso corridoio che aveva percorso lui. Sapendo di avere poco tempo a disposizione, Aaron si preparò ad accogliere l’assassino. Avrebbe sfruttato il fattore sorpresa.
«Sei sicuro che sia lì?» domandò Dustin, facendo danzare una moneta di rame tra le nocche.
«Sì» disse l’ubriaco di fronte a lui. «Delysia non è abbastanza grande per restare da sola, adesso che suo fratello è via a studiare qualcosa che non ricordo, credo la magia o chissà che altro. Con lei c’è la nonna, una vecchia stupida. Le avrei dato una bella lezione, se non fosse sempre stata così svelta a chiamare suo figlio per salvarla.»
«Non mi importa di lei» disse Dustin. «Perché non hanno condotto Delysia da qualche altra parte?»
L’altro uomo si strinse nelle spalle. Sembrava sul punto di perdere i sensi. Quando Dustin aveva cominciato a fare domande sugli Escathon nelle taverne della città , nessuno gli aveva saputo dire niente finché, al quinto tentativo, un uomo gli aveva indicato un angolo del locale.
«Chiedi di Barney» gli era stato detto. «Quel tipo lavorava per lui, faceva la guardia o qualcosa del genere.»
Barney in realtà aveva fatto il giardiniere, anche se gli piaceva far credere di essere stato una guardia. Dustin temeva che potesse essere troppo leale verso il suo ex datore di lavoro, ma la sua preoccupazione era svanita subito quando aveva scoperto che il giardiniere era stato licenziato quel giorno stesso.
«Quegli idioti pensano di non potersi permettere di pagarmi» borbottò Barney. «Gliela faccio vedere io. Scommetto che quel bastardo di Delius ha una tonnellata d’oro nascosta da qualche parte. A nessuno frega niente di dare qualcosa ai poveri. Tutti lo promettono, nessuno lo fa mai.»
Dustin aveva già offerto tre bicchieri all’uomo. Gli lanciò la monetina, che rotolò giù dal tavolo e finì a terra. Per un istante, sembrò che Barney non se ne fosse accorto.
«Perché li cerchi, comunque?» domandò dopo un rutto sonoro.
«Affari in sospeso» disse Dustin mentre usciva dalla taverna.
La proprietà degli Escathon non era molto distante: a quanto pareva, al giardiniere piaceva bere vicino a casa. Dustin si mantenne nell’ombra mentre si avvicinava all’abitazione, la mano posata con noncuranza sull’impugnatura della mazza ferrata. Con la sua solida testa di metallo, somigliava più a una lunga barra di ferro: un colpo ben assestato poteva spaccare il cranio di un uomo come fosse una zucca. Dustin preferiva rompere ossa che far scorrere il sangue, per lui era più emozionante. La gente sanguinava sempre. I tagli erano all’esterno. Le ossa, invece, erano dentro, e il modo in cui le persone ululavano di dolore quando gli rompeva le dita o gli faceva saltare via la rotula… al solo pensiero gli venivano i brividi.
C’era anche un ulteriore beneficio nel portare una mazza piuttosto che una spada. Dustin scivolò sul retro dell’edificio, trovò la prima finestra sul lato orientale che non desse direttamente sulla strada, quindi ruppe il vetro con un colpo secco. Barney gli aveva detto chiaramente che in casa c’erano soltanto Delysia e sua nonna, e che non avrebbe trovato guardie. Anche se si fossero svegliate per il rumore, che cosa avrebbero potuto fare? Lottare?
Dustin ridacchiò. Lo sperava, lo sperava davvero. Non era molto appassionato di vecchie signore, ma Delysia doveva avere nove anni, più o meno. Sentirla supplicare e dimenarsi sarebbe stato dannatamente eccitante.
Una volta all’interno, Dustin appoggiò la schiena alla parete accanto alla porta. Se qualcuno fosse arrivato a controllare, gli avrebbe assestato un colpo di mazza sul cranio. Non venne nessuno. Dustin scosse la testa: chiunque fossero questi Escathon, erano molto stupidi. In silenzio arrivò in una cucina modesta, facendo attenzione a non urtare nulla. Era stato poco cauto con la finestra, lo sapeva, ma fare troppo rumore mentre cercava la bambina significava sfidare la sorte. E, a parte questo, se le due avessero tentato di fuggire, voleva essere sicuro di riuscire a sentirle.
Non era preparato, però, per ciò che vide quando raggiunse l’altro lato della cucina. Un ragazzo, vestito con il grigio della Gilda del Ragno, era inginocchiato accanto a una porta alla fine di un piccolo corridoio. Dustin si fermò, allo scoperto sulla soglia della cucina, e si chiese se per caso non si fosse introdotto nella casa sbagliata.
Il ragazzino continuava a dargli le spalle. Dustin si guardò intorno, vide un grosso pezzo di crosta di pane, e lo lanciò. Colpì il ragazzino proprio sull’orecchio. Il corpo minuto ebbe un sussulto, e Dustin reagì con una smorfia a tutto quel trambusto. Non era eccessivo, ma immaginava che oltre la porta ci fosse una camera da letto.
«Che cosa diavolo ci fai tu qui?» sussurrò ferocemente Dustin quando il ragazzo lo raggiunse in cucina. Lui lo guardò: attraverso la maschera che gli copriva il volto erano visibili soltanto gli occhi. Dustin immaginò che fosse uno dei ladri più giovani, ma non aveva la minima idea di chi potesse essere.
«Perché la maschera?» sussurrò.
«Sto rimediando a un errore» rispose il ragazzo.
Dustin indicò la porta della camera, poi con l’indice gli sfiorò più volte la tempia, mostrando chiaramente cosa pensava del suo piano.
«Sei solo un bambino, adesso va’ a casa» disse. «Ho del lavoro da sbrigare.»
Quando tentò di spingerlo di lato, il ragazzo gli afferrò il polso e lo tenne stretto.
«Ero io che dovevo ucciderla» sussurrò il giovane, la voce fin troppo forte. Dustin si sentì rizzare i peli sulla nuca. C’era qualcosa di sbagliato. Quegli occhi gli sembravano familiari.
«Aaron?» domandò, liberandosi il braccio con uno strattone.
«No» rispose il ragazzo. «Il mio nome è Haern.»
Un dolore acuto perforò il fianco di Dustin. D’istinto, il ladro si girò su se stesso, rendendosi conto solo in parte di essere stato pugnalato. Il suo movimento fece uscire la lama, spargendo un fiotto di sangue sui cassetti più bassi della cucina. L’uomo fece roteare la mazza, gemendo quando ruppe lo stipite della porta. Haern si chinò, schivando il colpo, scalciò via il tavolo e poi balzò all’attacco con il coltello in pugno.
Dustin parò il colpo, avanzò con il piede sinistro e poi fece roteare la spranga, sperando che Haern inciampasse nel tentativo di evitarla. Invece, il ragazzo si chinò, passando sotto, agganciò la gamba al piede di Dustin e gli conficcò il pugnale nel polpaccio.
Soffocando un grido, Dustin abbassò la mazza con forza. Un colpo, un colpo solo bene assestato, e il cervello di Haern sarebbe finito sparso su tutto il pavimento. Il problema era che il ragazzo si muoveva troppo velocemente: saltava da una parte all’altra, evitando per pochi centimetri ogni attacco. Com’era possibile che...