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PASSIONE
… e lei dovette stendersi. Stendersi là sopra, come una bestia,
mentre lui aspettava e aspettava, in camicia e pantaloni,
gli occhi affamati che scrutavano i movimenti di Connie…
Anche lui si era denudato in parte e lei sentì
la carne nuda di lui contro la sua quando la penetrò…
D.H. LAWRENCE L’amante di Lady Chatterley
Quando affidiamo [alla tecnologia]
le nostre prerogative di esseri umani,
rischiamo di perderle di vista.
KATHERINE LOSSE, Dentro Facebook
1
Quella serata avrebbe rappresentato la svolta: mi sarei lasciata alle spalle il mio mondo per spiccare il classico salto nel buio. Avrei dovuto essere entusiasta, e invece non era così. Ma naturalmente non potevo ammetterlo. Quando il mio ragazzo mi annunciò la grande notizia, sorrisi e accettai di partire con lui. Perché è questo che fai se ami qualcuno.
Non si accorse che avevo la pelle d’oca nonostante il caldo. Mentre salivamo i cinque piani di scale con i pesanti sacchetti di Whole Foods, l’afa era opprimente. Pensai che forse avremmo fatto meglio a organizzare la festa di laurea in un bar lì vicino, nel Village, anziché in casa. Cosa ne avrei fatto poi di tutto quel cibo?
«Dici che abbiamo comprato abbastanza roba?» chiesi a Cliff, osservando il bancone della cucina ingombro di buste.
«Connie, potremmo sfamare il doppio delle persone che ci stanno qui dentro.»
Non aveva tutti i torti.
Il nostro appartamento in Jane Street, nel West Village, era minuscolo. Le assi del parquet erano malandate, c’erano i topi e poche comodità. Ma era diventata ugualmente la nostra casa.
I miei genitori non erano stati molto contenti che fossi andata a convivere con il mio ragazzo prima di finire l’università; ma non era niente paragonato alla reazione dei genitori di Cliff quando avevano saputo che lui voleva proprio abbandonarla.
«Non dobbiamo dare per forza una grande festa, stasera» mi disse, abbracciandomi. «Ho in mente qualche altro modo per festeggiare. Io e te da soli.»
«Qualche altro…?»
Una parte di lui non scherzava affatto. Cliff non era molto socievole; preferiva gli incontri più intimi e ristretti. I party affollati, invece, erano più nelle mie corde. Ma dato che chi si stava laureando ero io, non volevo sentire ragioni.
«Potremo dedicarci a quel tipo di festeggiamenti quando se ne saranno andati tutti.»
Il cellulare di Cliff squillò. Gli scoccai un’occhiataccia.
«Me l’avevi promesso» mi lamentai. Un giorno, uno soltanto, lontano dal lavoro: era l’unico regalo che volessi da lui. E credetemi, non era un regalo da poco.
Lasciò scattare la segreteria.
«Grazie» gli dissi, stringendogli le mani.
A ventidue anni, Cliff era l’amministratore delegato di un’azienda tecnologica. Aveva collezionato ottimi voti alla New York University, dove era stato ammesso con una borsa di studio; ma si era ritirato al secondo anno, dopo aver inventato una piattaforma di social networking simile a Twitter, che aveva chiamato Chatterbox in mio onore.
No, non chatter nel senso di chiacchierona. Era un gioco di parole sul mio cognome, Chatterley.
Tutto era iniziato una notte nel suo dormitorio. Eravamo sdraiati sul letto a fare il giochino del «E se…?». Finché era saltata fuori l’idea di un social network analogo a Twitter, ma con un approccio più flessibile ai contenuti generati dagli utenti. Cliff era un bravissimo programmatore, una volta mi aveva detto che “sognava in codice”, e intendeva proprio in senso letterale. Alle tre del mattino si era messo a giocare con gli algoritmi, e così era nato Chatterbox.
Era un vero genio.
Gli scostai una ciocca di capelli scuri dagli occhi. Sarà anche stato un nerd, ma sembrava uscito da una boy band: snello, spettinato e con due zigomi da modello di Calvin Klein. Fortunatamente, non se ne rendeva conto.
«La tua laurea è importante per me» disse, baciandomi. «Ne sono molto orgoglioso.» Cercò di trascinarmi verso la camera da letto.
«Cliff, no… Devo mettere la roba in frigo…» protestai. Debolmente, devo ammettere. La verità è che lo desideravo. Non avevo mai smesso di volerlo, fin dalla prima volta che l’avevo visto alla lezione di letteratura inglese, quand’eravamo matricole.
Premette le labbra sulle mie, e io mi abbandonai a quel tocco così piacevolmente familiare e dimenticai la spesa. Chiusi gli occhi mentre mi sfilava la canottiera, scoprendo il seno. Si chinò a succhiarmi piano i capezzoli, strappandomi un mugolio.
Cliff mi ripeteva in continuazione che adorava il mio corpo, che ero la donna più bella che avesse mai conosciuto. All’inizio non sapevo come reagire a quei complimenti. Ero «sbocciata tardi», come si suol dire, e ci avevo messo un po’ a diventare consapevole del mio aspetto. A un certo punto, mi ero lasciata crescere i capelli, dopo averli portati corti per anni, e non mi coprivo più le lentiggini sul naso con il fondotinta. A Cliff piacevano, le baciava sempre.
«Ti amo» mi sussurrò, facendo scorrere le mani sul mio corpo, e stringendomi a sé. Sentii il suo membro duro contro la coscia e spinsi i fianchi verso di lui, eccitata.
Aveva il respiro accelerato e gli sfiorai l’erezione attraverso i pantaloni. Cliff mi leccò il collo e mi sbottonò i jeans mentre anch’io gli slacciavo i calzoni e li abbassavo.
In un istante i nostri corpi si toccarono e si strusciarono avidi l’uno contro l’altro. Cliff mi accarezzò tra le gambe e poi mi infilò un dito dentro, con un gesto fluido. Ero già molto bagnata, e quando se ne accorse mi salì sopra. Il suo pene si fece strada in me con movimenti sapienti e delicati. Lo baciai sulla guancia e lo abbracciai, lasciando scivolare una mano fino al sedere.
«Cliff» mormorai, mentre mi penetrava più forte e i nostri corpi pulsavano all’unisono.
Contrasse il viso in una smorfia di piacere, ansimò, un velo di sudore gli imperlava la fronte. In quel momento provai per lui un amore travolgente, qualcosa che andava molto oltre il sesso. Ma poi la passione mi annebbiò i pensieri, finché sentii solo il palpito prepotente del mio corpo che si univa al suo, una pressione sempre più intensa che infine culminò in uno sfogo liberatorio. Il mio piacere si propagò in spasmi, contraendosi ritmicamente sul suo sesso.
«Vieni con me» lo spronai. Non venivamo mai insieme, ma lo dissi lo stesso, perché quelle parole lo portavano al di là del limite, anche se troppo tardi per raggiungermi.
Lanciò un grido e le sue spinte divennero più veloci: vibrava in me e stavo per avere un orgasmo. Mi piaceva assistere alla sua estasi.
Ci separammo lentamente e ci sdraiammo uno accanto all’altra, sudati e ansimanti. Ci guardammo, e io sorrisi.
«Wow» fece lui.
«Adesso sono in ritardo con i preparativi per la festa» scherzai, passandogli una mano sul petto.
«Ehi, se oggi devo oziare, lo farai anche tu» disse lui prendendomi la mano. Fissammo il soffitto in un silenzio appagato.
Poi lui scattò a sedere. «Hai sentito?»
«No, cosa?»
«Qualcuno sta bussando.»
Si infilò pantaloni e maglietta e andò alla porta. Mi concessi un minuto da sola sul letto, a godermi quegli istanti di felicità.
Quando mi alzai per fare una doccia, immaginai che chiunque avesse bussato alla porta se ne fosse già andato da un pezzo.
2
Ivy Bolton bussò di nuovo alla porta di Cliff.
Al più grande astro nascente della tecnologia non funzionava il campanello. Roba da matti.
Aspettò, irritata. Dovevano esserci trenta gradi su quel pianerottolo. Non era affatto contenta di essere dovuta andare fin lì di persona. Perché diavolo Cliff non rispondeva al telefono?
«Ciao» disse lui quando le aprì. Aveva i vestiti sgualciti ed era spettinato. Ivy sentì odore di sesso.
Fantastico. Lei lavorava come un mulo su Chatterbox anche di venerdì, quando tanti suoi coetanei passavano il weekend negli Hamptons; e intanto Cliff era occupato a scoparsi la sua inutile fidanzata.
«Perché non rispondi al telefono?» gli chiese, passandogli davanti per entrare.
«Avevo promesso a Connie di prendermi un giorno libero, ricordi? Per la sua festa di laurea.»
Connie di qua, Connie di là. Perché Cliff non capiva che una ragazza era una perdita di tempo, proprio in un momento in cui non c’era tempo da perdere? Chatterbox stava per sfondare davvero.
Lavorava fianco a fianco con Cliff da un anno e mezzo. Era la sua assistente, oltre che l’unica che capisse qualcosa di affari in quel branco di programmatori brillanti ma con la testa tra le nuvole. E sapeva che la grande occasione stava per arrivare. Connie avrebbe dovuto festeggiare la sua stupida laurea senza Cliff.
«Hanno chiamato quelli della Evergreen Capital, vogliono vederci.»
«Oggi?»
«Sì, alle quattro e mezzo.»
Cliff si passò una mano tra i capelli. «È un brutto momento.» Controllò il telefono.
«Non c’è niente di brutto in questa storia, Cliff.»
«Sì, hai ragione. Mi hanno lasciato un messaggio.»
«Certo che ho ragione! Non puoi fare così, Cliff. In questa fase dei giochi, non è possibile sparire per un giorno intero.»
Lui annuì. «Come ti hanno contattata?»
«Hanno chiamato il numero dell’ufficio.» Il «numero dell’ufficio» era un secondo cellulare che Ivy aveva sempre con sé. «Dobbiamo prepararci.»
«Faccio una doccia veloce» disse Cliff.
Ivy tirò fuori il portatile. «Controllo quella presentazione che abbiamo mostrato loro il mese scorso. È aggiornata?»
«Che succede?»
Ivy si voltò e scorse Connie all’altro lato del soggiorno, i lunghi capelli bagnati sulle spalle, i grandi occhi castani, le guance arrossate.
Tornò a fissare lo schermo, cercando di soffocare la gelosia che le bruciava dentro. Non vedeva l’ora che Cliff si sbarazzasse di lei. Era inevitabile che accadesse, com’era inevitabile il successo di Chatterbox.
Ivy Bolton era l’ultima persona che avrei voluto incontrare.
E invece eccola lì, china sul computer, con indosso la sua uniforme: jeans strappati e anfibi, nonostante il caldo. I capelli nero corvino erano tagliati in un caschetto geometrico che le incorniciava il volto pallido; l’effetto era completato da una borchia nella narice destra. Se un regista avesse dovuto scegliere un’attrice per il ruolo di una giovane hacker con le palle, avrebbe voluto Ivy. Ma in realtà lei non ne sapeva niente di tecnologia. Eppure era riuscita, chissà come, a rendersi indispensabile agli occhi di Cliff.
«Ciao, Ivy, che ci fai da queste parti?» le chiesi.
«Cliff non rispondeva al telefono» borbottò lei.
E quindi…? avre...