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Di nuovo insieme, troppo presto
Oggi
Grauman Theater, New York
Primo giorno di prove
Accelero il passo sul marciapiede affollato, sudando per la tensione.
In testa sento la voce di mia madre: Una vera signora non suda, Cassie. Luccica.
In tal caso, mamma, in questo momento «luccico» come un maiale.
E, comunque, non ho mai preteso di essere una signora.
Mi ripeto che «luccico» solo perché sono in ritardo e sto correndo. Non per lui.
Tristan, il mio coinquilino/life coach, è convinto che non mi sia ancora passata. Cazzate.
Certo che mi è passata.
Mi è passata da un sacco di tempo.
Attraverso la strada di fretta, schivando il traffico incessante di New York. I tassisti mi insultano in tante lingue diverse e io rispondo allegramente alzando il dito medio: sono abbastanza sicura che significhi «vaffanculo» in tutto il mondo.
Entro in teatro e vado diritta in sala prove guardando l’orologio.
Merda.
Sono in ritardo.
Immagino l’espressione divertita sulla faccia di quello stronzo. Già prima di mettere piede nella stanza ho una gran voglia di prenderlo a schiaffi.
Mi fermo davanti alla porta.
Ce la posso fare. Riuscirò a vederlo senza crollare.
Ce la faccio.
Sospiro e appoggio la fronte al muro.
Ma chi credo di prendere in giro?
Sì, certo, sarò in grado di interpretare una storia d’amore con il mio ex, che mi ha spezzato il cuore non una volta, ma due. Nessun problema.
Batto la testa contro la parete.
Se esistesse il Regno degli Stupidi, io ne sarei la regina.
Inspiro a fondo ed espiro piano.
Il giorno in cui la mia agente mi ha chiamato per comunicarmi che avrei esordito a Broadway, dovevo aspettarmi una fregatura. Era entusiasta del coprotagonista, Ethan Holt, la nuova star del teatro. Continuava a ripetermi quanto è bravo, quanti premi ha vinto, quante fan lo adorano. E quanto è affascinante.
Ovviamente lei non sa della nostra relazione. Perché dovrebbe? Non parlo mai di lui. Anzi, se solo sento pronunciare il suo nome me ne vado. Quando stava dall’altra parte del mondo era più facile, tuttavia ora che è tornato e che la sua presenza minaccia il lavoro dei miei sogni…
Tipico.
Stronzo.
Non sarà semplice sfoggiare la mia solita faccia impassibile, ma devo farlo.
Tiro fuori lo specchietto e mi guardo.
Merda, sono più lucida del Chrysler Building.
Mi tampono con la cipria e ritocco il gloss. Chissà se mi troverà cambiata dopo tutti questi anni. I capelli, che al college mi arrivavano fino a metà schiena, adesso sfiorano le spalle, sono scalati e leggermente ondulati. Ho il viso un po’ più scavato, però direi che sono rimasta più o meno uguale. Labbra medie. Corpo okay. Occhi né castani né verdi, ma uno strano mix dei due colori. Più oliva che nocciola.
Rimetto lo specchietto nella borsa. Che palle, mi sto di nuovo facendo bella per lui. Non ho imparato niente?
Ripenso a tutti i modi in cui mi ha ferito. Alle sue stupide spiegazioni. Alle sue scuse del cazzo.
Sento montare l’amarezza. È un ottimo rimedio: fa salire la rabbia in superficie. Mi ci avvolgo come fosse una corazza di ferro e trovo conforto nell’aggressività che ribolle. Tiro un sospiro di sollievo.
Ce la posso fare.
Apro la porta ed entro in sala prove con passo deciso.
Avverto il suo sguardo su di me ancora prima di vederlo. Resisto alla tentazione di cercarlo: se c’è una cosa che ho imparato è che con Ethan Holt devo tenere a bada l’istinto. Quando non l’ho fatto, tra noi è andato tutto a rotoli. Era l’istinto a dirmi che lui poteva darmi qualcosa, mentre invece non era affatto così.
Vado subito al tavolo della produzione, dove il regista, Mark Fiori, sta discutendo con i produttori, Ava e Saul Weinstein. Accanto a loro c’è un volto familiare. Elissa, la direttrice di scena, nonché sorella di Ethan.
Ethan ed Elissa si muovono in coppia: lui fa scrivere sul contratto che lei deve lavorare in ogni suo spettacolo. È una cosa che mi lascia piuttosto perplessa, visto che litigano come cane e gatto.
È come se lei fosse la sua coperta di Linus, ma perché dovrebbe averne bisogno? Lui non ha mai bisogno di niente e di nessuno. È indistruttibile. Tipo il Teflon.
Elissa indica il modello in scala del set che useremo per le prove e parla della meccanica di scena.
I produttori ascoltano e annuiscono.
Non mi crea il minimo problema. È bravissima nel suo lavoro, e abbiamo già avuto occasione di collaborare in passato. Anzi, un milione di anni fa eravamo buone amiche, quando ancora pensavo che suo fratello fosse un essere umano, e non un mostro senza cuore.
Alzano tutti lo sguardo mentre mi avvicino.
«Lo so, lo so» dico, appoggiando la borsa su una sedia. «Scusate il ritardo.»
«Non preoccuparti, cara» risponde Mark. «Stiamo ancora discutendo alcuni dettagli di produzione. Rilassati, prenditi un caffè. Cominciamo tra poco.»
«Ottimo.» Frugo nella borsa in cerca di ciò che potrebbe servirmi per le prove.
«Ehi, ciao» mi saluta Elissa con un sorriso caloroso.
«Ciao, Lissa.»
Un’ondata di nostalgia stempera la rabbia per un istante e mi rendo conto di quanto mi sia mancata. È molto diversa dal fratello. Lei è bassa e lui alto; lei è rotonda e lui spigoloso. Persino i colori sono in contrasto: bionda e liscia lei, moro e arruffato lui. Ma quando la rivedo mi torna in mente il motivo per cui non ci parliamo da anni. È che la associo sempre a lui. Troppi brutti ricordi.
Tiro fuori la bottiglia d’acqua e la borsa cade per terra con un tonfo. Mi fissano tutti. Sento una risatina sommessa e digrigno i denti.
Vaffanculo, Ethan. Non ti guardo nemmeno.
Rimetto la borsa sulla sedia.
Di nuovo quella risatina. Giuro al dio degli Omicidi per Giusta Causa che lo ammazzerò con le mie stesse mani.
Anche se è dall’altra parte della stanza, è come se mi fosse accanto: la sua voce si insinua in me fino al midollo.
Devo fumare.
Lancio un’occhiata a Mark, splendido con il suo foulard mentre parla entusiasta della commedia. È tutta colpa sua. È stato lui a volere Holt e me per questo progetto. Mi sono autoconvinta che sarà un grande passo avanti per la mia carriera e invece sarà il mio ultimo spettacolo, perché se quell’idiota non la smette di ridere scatenerò la mia furia omicida e sarò bandita per sempre dai teatri.
Grazie al cielo la risata si spegne, eppure sento ancora il suo sguardo scorticarmi la pelle.
Lo ignoro e riprendo a frugare nella borsa. Sigarette trovate, accendino disperso. Devo assolutamente pulire questo letamaio. Dio, che cosa non ho qui dentro… Chewing gum, fazzoletti, trucco, aspirina, vecchi biglietti del cinema, una boccetta di profumo, assorbenti, chiavi, il pupazzetto di un lottatore di wrestling senza una gamba…
«Mi scusi, signorina Taylor?»
Alzo la testa e un ragazzo afroamericano molto carino mi porge una tazza. Riconosco la bevanda dal profumo.
«La vedo un po’ stressata» dice. Il suo tono preoccupato mi trattiene dallo strappargli le orecchie a morsi. «Piacere, sono Cody, lo stagista di produzione. Caffè?»
«Ciao, Cody, dammi pure del tu» rispondo, sbirciando nella tazza. «Che cos’è?»
«Doppio caffè verde macchiato con cioccolato e panna.»
Annuisco, colpita. «Come pensavo. È il mio preferito.»
«Lo so. Ho cercato di imparare tutto ciò che piace e non piace a lei e al signor Holt, così da prevedere le vostre necessità e creare un clima piacevole durante le prove.»
Un clima piacevole durante le prove? Con me e Holt? Oh, povero piccolo illuso.
Accetto la bevanda e ne assaporo l’aroma mentre continuo a scavare in questo ammasso di cianfrusaglie. «Ah, sì?»
Dove cazzo è l’accendino?
«Sissignora.» Cody tira fuori un accendino dalla tasca e me lo allunga con un sorriso tenerissimo.
Sospiro e piego la testa all’indietro. Questo ragazzo è un dono del cielo.
Afferro l’accendino e resisto alla tentazione di abbracciare Cody. Secondo Tristan, sono un po’ troppo appiccicosa. In realtà , lui dice «molesta», l’ho corretto io per sentirmi meglio.
Decido di limitarmi a un sorriso. «Spero che non mi fraintenderai, so che ci siamo appena conosciuti, ma… credo di essermi innamorata di te.»
Lui ride e abbassa lo sguardo.
«Se vuoi prendere una boccata d’aria, ti avverto io quando sono pronti per cominciare.»
Se non dimostrasse sedici anni probabilmente lo bacerei. Con la lingua.
«Sei un mito, Cody.»
Con la coda dell’occhio vedo un’ombra stravaccata su una sedia nell’angolo opposto della stanza. Raddrizzo le spalle e avanzo impettita. Non me ne frega niente.
Il calore del suo sguardo mi segue finché non raggiungo le scale, poi divento insensibile a tutto.
Quel calore non mi è mancato. Proprio no.
Le scale sono ripide e buie, e affacciano su un vicolo dietro il teatro. Accendo la sigaretta senza nemmeno aspettare che la porta si chiuda. Do un tiro e mi appoggio al muro freddo guardando la sottile striscia di cielo tra gli edifici. La nicotina non basta a calmarmi i nervi: oggi è uno di quei giorni in cui mi servirebbe una dose di sedativi.
Finisco di fumare e faccio per tornare dentro ma, prima ancora che afferri la maniglia, la porta si apre. Ecco la scintilla di tutte le mie peggiori incazzature. So che non dovrei notarlo, però indossa un paio di jeans scuri che aderiscono al suo corpo in modo spettacolare.
I suoi occhi sono esattamente come li ricordo: azzurro chiaro, ipnotici, con ciglia lunghe e nere. Intensi fino a bruciare.
E il resto…
Me n’ero dimenticata. Ho voluto dimenticare.
È sempre il ragazzo più bello del mondo. No, non è vero. «Bello» non gli rende giustizia. Gli attori delle soap opera sono belli, ma di una bellezza banale, insipida. Holt invece è… ammaliante. Come una pantera, rara ed esotica. Un mix perfetto di bellezza e forza. Enigmatico senza...