Il viaggio di Parvana
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Il viaggio di Parvana

  1. 192 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Il viaggio di Parvana

Informazioni su questo libro

Parvana, la coraggiosa ragazzina protagonista di Sotto il burqa, è rimasta sola nel deserto dell'Afghanistan. Suo padre è morto. E ora lei non sa dove andare: vuole ritrovare a tutti i costi la madre e i fratelli, ma potrebbero essere ovunque. I pericoli sono molti, per una ragazzina sola vestita da maschio: i talebani potrebbero catturarla e scoprirla; il deserto è disseminato di mine; dal cielo cadono bombe. Durante il suo viaggio verso chissà dove, Parvana prende con sé un bambino piccolo, un arrogante ragazzino che ha perso una gamba e una bimbetta temeraria. Tutti soli come lei. Bisogna mangiare; coprirsi; sopravvivere; trovare la forza di andare avanti.

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Informazioni

Editore
BUR
Anno
2014
Print ISBN
9788817076425
eBook ISBN
9788858673867
IL VIAGGIO DI PARVANA
Ai bambini, ai quali chiediamo di essere più coraggiosi di quanto dovrebbero

Uno

Un uomo che Parvana non conosceva gettò un ultimo badile di terra sulla tomba di suo padre. Il mullah del villaggio aveva già recitato la jenazah, la preghiera funebre. La cerimonia era terminata.
Piccole pietre appuntite si conficcarono nelle ginocchia di Parvana quando si inginocchiò sul bordo della fossa e sistemò le grosse pietre che aveva raccolto lì attorno. Le posò piano, una per volta. Non c’era motivo di fare in fretta. Non aveva nessun altro posto dove andare.
Le pietre non bastavano. Quelle che aveva raccolto servivano appena a delimitare la metà del perimetro di terra smossa.
«Distanziale un po’» le disse un uomo, e si chinò per aiutarla.
Distanziarono le pietre, ma a Parvana non piacevano gli spazi vuoti tra una e l’altra. Per un attimo pensò di prendere alcune pietre dalle altre tombe, ma poi si disse che non era giusto. Più tardi ne avrebbe cercate altre. Se c’era una cosa che l’Afghanistan aveva in abbondanza erano le pietre.
«Tirati su adesso, ragazzo» le disse uno degli uomini. I capelli di Parvana erano tagliati corti e lei indossava il semplice mantello e lo shalwar kameez dei ragazzi. «Non serve a niente restare lì per terra.»
«Lasciatelo solo» disse un altro. «Deve piangere per suo padre.»
«Tutti noi abbiamo dei morti per cui piangere, ma non dobbiamo farlo accasciati a terra. Avanti, ragazzo, alzati. Devi essere il ragazzo forte di cui tuo padre sarebbe orgoglioso.»
Andate via, pensò Parvana. Andate via e lasciatemi sola con mio padre. Ma non disse nulla. Lasciò che la aiutassero ad alzarsi. Si ripulì la terra dalle ginocchia e si guardò attorno nel cimitero.
Era un cimitero piuttosto grande, per un villaggio così piccolo. Le tombe si susseguivano in modo disordinato, come se gli abitanti del villaggio fossero stati convinti che ciascuna di loro sarebbe stata l’ultima.
Parvana si ricordò di quella volta che, per guadagnare dei soldi, aveva dissotterrato ossa in un cimitero a Kabul con la sua amica Shauzia.
Non voglio che qualcuno dissotterri mio padre, pensò, e decise che avrebbe ammassato sulla sua tomba così tante pietre che nessuno si sarebbe mai preso la briga di rimuoverle.
Voleva parlare di lui alla gente. Voleva raccontare che era stato un insegnante, che aveva perso la gamba quando la scuola in cui insegnava era stata bombardata. Che le aveva voluto bene e le aveva raccontato tante storie, e adesso lei si ritrovava sola in questa terra vasta e desolata.
Ma rimase in silenzio.
Gli uomini attorno a lei erano quasi tutti anziani. I giovani, in un modo o nell’altro, erano tutti storpi: a chi mancava un braccio, chi aveva un occhio solo, chi aveva perso i piedi. Tutti gli altri uomini erano in guerra, oppure erano morti.
«Qui sono morte un sacco di persone» disse l’uomo che l’aveva aiutata. «A volte ci bombardano i talebani. Altre volte gli altri. Un tempo eravamo agricoltori. Adesso siamo solo dei bersagli.»
Il padre di Parvana non era stato ucciso da una bomba. Era morto e basta.
«Adesso con chi starai, ragazzo?»
Parvana serrò la mascella fino a farsi male nel tentativo di frenare le lacrime.
«Sono solo» riuscì a dire.
«Vieni a casa con me. Mia moglie si prenderà cura di te.»
Sulla tomba di suo padre c’erano solo uomini. Le donne erano costrette a restare nelle loro case. I talebani non permettevano alle donne di andarsene in giro per conto loro, ma Parvana aveva rinunciato a cercare di capire perché i talebani odiassero tanto le donne. Aveva altre cose a cui pensare.
«Vieni, ragazzo» disse l’uomo. La sua voce era gentile. Parvana lasciò la tomba del padre e lo seguì. Gli altri uomini camminavano dietro di loro. Parvana sentiva lo strascicare dei sandali sul terreno duro.
«Come ti chiami?» le chiese l’uomo.
«Kaseem» rispose Parvana, pronunciando il suo nome da maschio. Non si chiedeva più se avrebbe dovuto fidarsi di qualcuno dicendo la verità su se stessa. La verità poteva costarle la prigione, o la morte. Era più semplice e prudente non fidarsi di nessuno.
«Andremo prima al tuo rifugio e prenderemo le tue cose. Poi andremo a casa mia.» L’uomo sapeva dov’era la capanna di Parvana e suo padre. Era uno degli uomini che avevano portato il corpo di suo padre al cimitero. Parvana pensò che poteva essere uno di quelli che erano venuti a dare un’occhiata con regolarità, aiutandola nelle cure, ma non poteva esserne sicura. Tutti gli eventi delle ultime settimane erano confusi nella sua mente.
La capanna era al limitare del villaggio, addossata a una parete di fango crollata in seguito all’esplosione di una bomba. Non c’era molto da recuperare. Suo padre era stato seppellito insieme a tutto ciò che possedeva.
Parvana entrò carponi e raccolse le sue cose. Avrebbe voluto restare da sola, per piangere e pensare a suo padre, ma il tetto e le pareti erano fatte di teli di plastica chiara. Sapeva che l’uomo fuori la vedeva e che la stava aspettando per portarla a casa con lui. Si concentrò su quello che doveva fare e si costrinse a non piangere.
Arrotolò le coperte, lo shalwar kameez di ricambio e la padella in un fagotto. Era lo stesso fagotto che aveva portato con sé durante il lungo viaggio da Kabul. Adesso avrebbe dovuto portare anche le altre cose: la borsa a tracolla dove suo padre custodiva la carta per scrivere, le penne e altre piccole cose come i fiammiferi, e i pochi preziosi libri che erano riusciti a tenere nascosti ai talebani.
Uscì dal rifugio trascinando i fagotti. Poi tirò giù il telo di plastica da dove era appeso, sopra l’angolo diroccato di un edificio, lo piegò e lo aggiunse alle coperte.
«Sono pronto» disse.
L’uomo prese uno dei fagotti. «Vieni con me» disse e le fece strada attraverso il villaggio.
Parvana non prestò attenzione alle rozze case dai muri di fango e di pietra distrutte dalle bombe che costituivano il villaggio. Aveva visto molti posti come quello, viaggiando con suo padre. Non provava più a immaginare come poteva essere stato il villaggio prima dei bombardamenti, con le case integre, i bambini che giocavano e i fiori che sbocciavano. Chi aveva tempo per coltivare i fiori, adesso? Era già abbastanza difficile trovare qualcosa da mangiare tutti i giorni. Teneva la testa bassa e calciava i sassi mentre camminava.
«Questa è la mia casa.» L’uomo si fermò davanti a una capanna di fango. «Per cinque volte è stata distrutta dalle bombe, e per cinque volte io l’ho ricostruita» disse orgoglioso. Un lembo di tovaglia verde strappato copriva l’ingresso. La sollevò e fece cenno a Parvana di entrare.
«Ecco il ragazzino che ha perso il padre» disse alla moglie. La donna, china sul suo lavoro di cucito, lo mise da parte e si alzò. Parvana-Kaseem era molto giovane, quindi la donna non indossò il burqa. Tre ragazzine osservavano da un angolo della stanza.
A Parvana, che era l’ospite, fu dato l’angolo più accogliente della stanza buia che costituiva l’intera casa. Sedette per terra sulla stuoia spessa e la donna le portò del tè. Il tè era leggero ma il suo calore era confortante.
«Abbiamo perso nostro figlio» disse la donna. «È morto di malattia, come due delle nostre figlie. Potresti restare con noi, ed essere nostro figlio.»
«Devo trovare la mia famiglia» disse Parvana.
«Hai qualcun altro, oltre a tuo padre?»
«Mia madre, una sorella maggiore, Nooria, una sorella minore, Maryam, e un fratellino piccolo, Ali.» Parvana li rivide nella sua mente mentre pronunciava i loro nomi. Le venne da piangere ancora una volta. Avrebbe voluto sentire sua madre che le diceva di sbrigare i lavori di casa, o Nooria che le ordinava qualcosa nel suo solito modo autoritario, o sentire le braccia dei due più piccoli che la stringevano.
«Anche la mia famiglia è sparsa un po’ dappertutto» disse la donna. Stava per aggiungere qualcos’altro quando alcuni vicini entrarono in casa. Lei prese rapida il burqa da un chiodo appeso alla parete, lo indossò e portò loro del tè. Poi sedette in un angolo, silenziosa e senza volto.
Gli uomini sedevano sulle stuoie lungo le pareti e guardavano Parvana. Avevano assistito alla sepoltura.
«Hai altri parenti da qualche parte?» chiese uno di loro.
Parvana ripeté i loro nomi. La seconda volta fu più facile.
«Sono in Pakistan?»
«Non so dove sono» disse Parvana. «Io e mio padre abbiamo lasciato Kabul per cercarli. Partirono per Mazar-e-Sharif per il matrimonio di mia sorella, ma i talebani occuparono la città e adesso non so dove sono. Io e mio padre abbiamo passato l’inverno in un campo a nord di Kabul. Lui era malato, ma quando arrivò la primavera credette di sentirsi abbastanza bene da proseguire il viaggio.»
Parvana non voleva parlare di come la salute di suo padre era peggiorata. Per giorni aveva creduto che sarebbe morto mentre attraversavano da soli le terre desolate dell’Afghanistan. Quando avevano raggiunto il villaggio, non era più stato in grado di proseguire.
Avevano vagato a lungo di villaggio in villaggio, da un accampamento provvisorio a campi più grandi occupati dalla gente sfollata dalla guerra. C’erano stati momenti durante il viaggio in cui la tosse e la debolezza erano tali che suo padre non era stato in grado di allontanarsi dal rifugio. Non avevano mai avuto molto cibo, ma talvolta era stato troppo stanco persino per mangiare quel poco che avevano. Parvana si era trascinata per il campo, in cerca di qualcosa che potesse stuzzicare l’appetito di suo padre, ma spesso era ritornata alla loro capanna a mani vuote.
Non raccontò agli uomini di quei momenti: così come non raccontò loro che suo padre era stato in prigione, arrestato dai talebani per aver studiato in Inghilterra.
«Puoi restare qui con noi nel nostro villaggio» disse uno degli uomini. «Questa sarà la tua casa.»
«Devo trovare la mia famiglia.»
«Certo, questo è importante» disse uno degli uomini, «ma non è prudente andartene in giro per l’Afghanistan da solo. Resterai qui. Continuerai la tua ricerca quando sarai più grande.»
La stanchezza investì Parvana come un carro armato. «Resterò» disse. A un tratto si sentì troppo esausta per discutere. La testa le crollò sul petto e sentì la padrona di casa che la adagiava da qualche parte e la copriva con una coperta. Poi si addormentò.
Parvana rimase nel villaggio per un’altra settimana. Ammucchiò le pietre sulla tomba di suo padre e cercò di raccogliere il coraggio di andarsene.
Le ragazze della famiglia che la ospitava l’aiutarono a sentirsi meglio. Giocava alla corda con le bambine più piccole. Le più grandi, che dovevano avere un paio d’anni meno di lei, la accompagnavano ogni giorno alla tomba di suo padre e la aiutavano a trasportare le pietre e a impilarle in modo che fosse al sicuro dai saccheggiatori.
Le era di conforto avere di nuovo una madre che si prendeva cura di lei e che le preparava il cibo, anche se non era davvero sua madre. Vedere attorno a lei i lavori domestici di tutti i giorni, cucinare e pulire le dava una sensazione di normalità. Da ospite, Parvana non era tenuta a dare una mano in casa, quindi passava la maggior parte del tempo riposandosi e pensando a suo padre. Era tentata di restare e di diventare il figlio adottivo di quella brava gente che l’aveva accolta in casa propria. Il viaggio che la attendeva sarebbe stato lungo e solitario.
Ma doveva trovare la sua famiglia. Non poteva far credere di essere un ragazzo per sempre. Ormai aveva tredici anni.
Un pomeriggio, verso la fine della settimana, un gruppetto di bambini fece capolino sulla porta della casa in cui Parvana alloggiava.
«Og...

Indice dei contenuti

  1. Cover
  2. Frontespizio
  3. Il viaggio di parvana
  4. Glossario
  5. Nota dell’autrice
  6. Nota dell’editore